Mentre
tutti guardano alle elezioni europee come test per la tenuta dei
governi nazionali, c’è qualcuno che prepara le uniche “riforme dei
trattati” possibili: quelle volute dalla Germania e accettate dalla
Francia.
Visto che il prossimo Parlamento continentale rischia di vedere una minoranza rilevante di deputati “euroscettici” (ce ne sono di veri e di falsi, di estrema destra e di sinistra autentica), l’establishment prepara trincee, forche caudine, trappole in grado – se l’onda cosiddetta “sovranista” (termine semplicemente infame) resterà al di sotto di una certa soglia – di aggirare ostacoli che fin qui non sono esistiti (se non sulla ripartizione dei migranti salvati in mare).
Il primo meccanismo istituzionale da rivedere è il principio dell’unanimità su una serie di materie nel Consiglio europeo. Come spiega Wolfgang Schaeuble, se si vuole arrivare a un bilancio comune bisogna unificare le politiche fiscali nazionali, fin qui caratterizzate dalla competizione nel favorire l’ingresso di capitali. Una concorrenza alla fin fine suicida (Olanda, Irlanda e altri paesi impongono tasse bassissime alle multinazionali) e che alla lunga impedisce all’Unione Europea di fare un passo verso una maggiore integrazione.
In questo modo si elimina pure il “diritto di veto” che alcuni governi potrebbero porre a decisioni sgradite perché dannose per le economie nazionali e dunque per la tenuta della coesione sociale. Un incremento del carattere “forzoso” delle prescrizioni di Bruxelles, che liquida anche la retorica sulla “condivisione” delle scelte.
Ma c’è un capitolo ancora più interessante che riguarda l’annoso ritardo nell’elaborazione di un vera “unione bancaria”. I pilastri fin qui piantati riguardano infatti aspetti rilevanti (la definizione di standard per la valutazione della solidità delle banche, la sorveglianza Bce, ecc), ma non l’assicurazione dei conti correnti.
Il problema è relativamente semplice: se una banca fallisce, con le regole vigenti, i correntisti sanno che i loro soldi saranno restituiti dallo Stato nazionale (non dall’Unione), ma solo fino a 100.000 euro (cifra rispettabile, comunque…).
La Germania è sempre stata indisponibile alla condivisione di questa assicurazione in base al noto slogan “non verseremo un euro dei tedeschi o degli olandesi per quelle cicale mediterranee che spendono tutto in donne e champagne” (Jeroen Dijsselbloem, ex presidente dell’Eurogruppo).
Purtroppo per loro, i tedeschi hanno dovuto scoprire che le banche messe peggio nel continente sono proprio quelle made in Germany. Anzi, addirittura sono sull’orlo del fallimento i due principali giganti del settore, Deutsche Bank e Commerzbank.
Banche che hanno in pancia “prodotti derivati” invendibili per un valore nominale svariate volte superiore al Pil tedesco (la sola Deutsche Bank 48,26 trilioni, ossia migliaia di miliardi di euro) e che potrebbero facilmente saltare in aria alla prossima (sia in senso di “successiva” che di “imminente”) crisi finanziaria globale.
Fatti due conti, il governo tedesco ha capito che la sola assicurazione nazionale sui conti correnti lo costringerebbe a sborsare cifre tali da far dimenticare per sempre la “stabilità di bilancio” del Reich. E dunque, voilà, si cambia idea: adesso sì, effettivamente, è meglio avere un’assicurazione europea, che redistribuisca tra tutti i paesi il costo del risarcimento ai correntisti tedeschi.
Morale: non verseremo mai un euro a favore di italiani, greci, portoghesi spagnoli, ecc, ma – quando ci serve – pretendiamo che tutti gli altri ci diano i soldi per coprire i nostri buchi.
Del resto, è stato proprio un prestigioso istituto di ricerca tedesco a spiegare – soltanto ieri – che i trattati europei, e soprattutto quel trattato che ha istituito la moneta comune, sono geneticamente sbilanciati a favore dei paesi forti. Detto in soldoni: grazie all’euro ogni cittadino italiano, anche se soltanto neonato, dal 1999 al 2017 ad oggi, ha perso reddito per 73.600 euro. Mentre ogni cittadino tedesco, anche se in fasce o in manicomio, ne ha guadagnati 23.100.
Facendo due conti della serva: una famiglia italiana di quattro persone in questo lasso di tempo ha perso circa 294.400 euro, più o meno 1.360 euro al mese; quanto basta a comprarsi una casa più che confortevole o campare decisamente meglio…
E, in previsione del fallimento dei colossi di Francoforte, si preparano a chiederne ancora. E in contanti.
Visto che il prossimo Parlamento continentale rischia di vedere una minoranza rilevante di deputati “euroscettici” (ce ne sono di veri e di falsi, di estrema destra e di sinistra autentica), l’establishment prepara trincee, forche caudine, trappole in grado – se l’onda cosiddetta “sovranista” (termine semplicemente infame) resterà al di sotto di una certa soglia – di aggirare ostacoli che fin qui non sono esistiti (se non sulla ripartizione dei migranti salvati in mare).
Il primo meccanismo istituzionale da rivedere è il principio dell’unanimità su una serie di materie nel Consiglio europeo. Come spiega Wolfgang Schaeuble, se si vuole arrivare a un bilancio comune bisogna unificare le politiche fiscali nazionali, fin qui caratterizzate dalla competizione nel favorire l’ingresso di capitali. Una concorrenza alla fin fine suicida (Olanda, Irlanda e altri paesi impongono tasse bassissime alle multinazionali) e che alla lunga impedisce all’Unione Europea di fare un passo verso una maggiore integrazione.
In questo modo si elimina pure il “diritto di veto” che alcuni governi potrebbero porre a decisioni sgradite perché dannose per le economie nazionali e dunque per la tenuta della coesione sociale. Un incremento del carattere “forzoso” delle prescrizioni di Bruxelles, che liquida anche la retorica sulla “condivisione” delle scelte.
Ma c’è un capitolo ancora più interessante che riguarda l’annoso ritardo nell’elaborazione di un vera “unione bancaria”. I pilastri fin qui piantati riguardano infatti aspetti rilevanti (la definizione di standard per la valutazione della solidità delle banche, la sorveglianza Bce, ecc), ma non l’assicurazione dei conti correnti.
Il problema è relativamente semplice: se una banca fallisce, con le regole vigenti, i correntisti sanno che i loro soldi saranno restituiti dallo Stato nazionale (non dall’Unione), ma solo fino a 100.000 euro (cifra rispettabile, comunque…).
La Germania è sempre stata indisponibile alla condivisione di questa assicurazione in base al noto slogan “non verseremo un euro dei tedeschi o degli olandesi per quelle cicale mediterranee che spendono tutto in donne e champagne” (Jeroen Dijsselbloem, ex presidente dell’Eurogruppo).
Purtroppo per loro, i tedeschi hanno dovuto scoprire che le banche messe peggio nel continente sono proprio quelle made in Germany. Anzi, addirittura sono sull’orlo del fallimento i due principali giganti del settore, Deutsche Bank e Commerzbank.
Banche che hanno in pancia “prodotti derivati” invendibili per un valore nominale svariate volte superiore al Pil tedesco (la sola Deutsche Bank 48,26 trilioni, ossia migliaia di miliardi di euro) e che potrebbero facilmente saltare in aria alla prossima (sia in senso di “successiva” che di “imminente”) crisi finanziaria globale.
Fatti due conti, il governo tedesco ha capito che la sola assicurazione nazionale sui conti correnti lo costringerebbe a sborsare cifre tali da far dimenticare per sempre la “stabilità di bilancio” del Reich. E dunque, voilà, si cambia idea: adesso sì, effettivamente, è meglio avere un’assicurazione europea, che redistribuisca tra tutti i paesi il costo del risarcimento ai correntisti tedeschi.
Morale: non verseremo mai un euro a favore di italiani, greci, portoghesi spagnoli, ecc, ma – quando ci serve – pretendiamo che tutti gli altri ci diano i soldi per coprire i nostri buchi.
Del resto, è stato proprio un prestigioso istituto di ricerca tedesco a spiegare – soltanto ieri – che i trattati europei, e soprattutto quel trattato che ha istituito la moneta comune, sono geneticamente sbilanciati a favore dei paesi forti. Detto in soldoni: grazie all’euro ogni cittadino italiano, anche se soltanto neonato, dal 1999 al 2017 ad oggi, ha perso reddito per 73.600 euro. Mentre ogni cittadino tedesco, anche se in fasce o in manicomio, ne ha guadagnati 23.100.
Facendo due conti della serva: una famiglia italiana di quattro persone in questo lasso di tempo ha perso circa 294.400 euro, più o meno 1.360 euro al mese; quanto basta a comprarsi una casa più che confortevole o campare decisamente meglio…
E, in previsione del fallimento dei colossi di Francoforte, si preparano a chiederne ancora. E in contanti.
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