venerdì 23 dicembre 2011

UN NATALE DIFFICILE PER TUTTI

Con l'avvicinarsi delle festività natalizie auguro a tutti delle feste serene in famiglia e con i propri cari sperando che questo difficile natale, per il momento economico, sociale, politico ed economico di enorme dififcoltà, possa essere un punto di partenza per tutti per un 2012 diverso....la speranza è l'ultima a morire...a risentirci nel 2012...!!!!!!!!!!!!

mercoledì 14 dicembre 2011

La Casta e le indennità

La Casta non esiste, questo vi sentireste rispondere se porreste la domanda a uno dei deputati che si oppongono al taglio delle indennità? Se, invece, chiedete a un mafioso: la mafia esiste? Vi risponderà, la mafia non esiste. Un esempio estremo che, però, rende bene l’idea. Sia chiaro, non vale il principio parlamentare = mafioso. Certo qualcuno degli attuali politici ha appena una condannuccia in appello per reati mafiosi, qualcun altro vede pendere sul suo capo una richiesta d’arresto per aver messo su, qualche affare con i Casalesi, ma sono pecore nere. Si dice il marcio sia ovunque, in tutte le categorie. C’è chi nella difesa dei suoi interessi esagera. L’On. Mussolini, alla proposta di abbassare le indennità a 5000 euro, ha così reagito, attraverso le pagine del settimanale “A”: “E’ come se ci mandassero nudi per strada. Poi è ovvio che uno si ammala, prende l’influenza, si aggrava, arriva la polmonite e quindi…” Già lo stop ai vitalizi è un’istigazione al suicidio, figurarsi ora.” L’Onorevole prosegue: “Per i cittadini soffriamo ancora poco. Vogliono vederci soffrire ancora di più. Se abbassassero i nostri stipendi a 1000 euro al mese, la gente ci vorrebbe vedere prendere 5oo euro”. Morale della favola, i cittadini sono i cattivi, lei la buona. Prendiamone atto!

giovedì 1 dicembre 2011

SOLDI PER LA GUERRA E PER FINMECCANICA

Dalla Commissione Difesa della Camera dei Deputati è arrivato l’ok bipartisan alla spesa di mezzo miliardo di euro per l’acquisto di ulteriori mezzi militari da utilizzare per la cosiddetta “missione di pace” in Afghanistan.
A fare affari ancora una volta i grandi carrozzoni pubblici dell’industria bellica, in primo luogo Finmeccanica, al centro da giorni dell’inchiesta sul giro di tangenti ai partiti e uomini politici.
Mentre sono allo studio le strategie per rastrellare denaro dai cittadini per fronteggiare debito pubblico, spread, ecc… si continuano a sperperare miliardi e miliardi di euro per una guerra che costa all’incirca un miliardo all’anno, con esiti disastrosi come dichiarato dagli stessi vertici militari, e di cui non si comprende come e quando possa finire.Come è avvenuto per le spese di gestione della missione militare in Afghanistan, anche per l’acquisto di questi mezzi militari sarà necessario stornare una quota di fondi FAS per lo sviluppo per destinarli al bilancio della Difesa e rendere possibile in questo modo l’acquisto.
Buttare questa montagna di soldi per portare avanti una guerra senza senso è uno scandalo, farlo in tempo di crisi è una ignobile vergogna!

mercoledì 23 novembre 2011

GIUSTAMENTE PROCESSATI BUSH E BLAIR

Per la prima volta saranno esaminate le accuse per crimini di guerra contro due ex capi di Stato, il processo contro George W. Bush (l’ex presidente degli Stati Uniti) e Anthony L. Blair (ex Primo Ministro britannico) si terrà a Kuala Lumpur. Questa è la prima volta che le accuse per crimini di guerra contro i due ex capi di Stato saranno esaminate nel rispetto di una corretta procedura legale.
Le accuse sono state dirette contro gli accusati dalla Commissione per i Crimini di Guerra di Kuala Lumpur (KLWCC), a seguito delle procedure previste dalla legge. La Commissione, dopo aver ricevuto denunce da vittime della guerra in Iraq nel 2009, ha proceduto ad effettuare un’accurata e approfondita indagine per quasi due anni e, nel 2011, ha costituito accuse formali per crimini di guerra contro Bush, Blair e i loro associati.
L’invasione dell’Iraq nel 2003 e la sua occupazione hanno provocato la morte di 1,4 milioni di iracheni. Innumerevoli altri hanno sopportato torture e privazioni indicibili. Le grida di queste vittime sono finora rimaste inascoltate dalla comunità internazionale. Il diritto umano fondamentale di essere ascoltati è stato loro negato.
Come risultato, nel 2008 è stato costituito il KLWCC  per colmare questo vuoto e per agire, come iniziativa  dei popoli, per fornire un modo a tali vittime per presentare le loro lamentele e per avere la loro giornata in una corte di giustizia popolare.
La prima accusa contro George W. Bush e Anthony L. Blair per Crimini contro la Pace:
Gli imputati hanno commesso crimini contro la pace, nel senso che le persone Accusate hanno pianificato, predisposto e invaso lo stato sovrano dell’Iraq il 19 marzo 2003 in violazione della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale.
La seconda accusa è di crimine di tortura e crimini di guerra, nei confronti di otto cittadini degli Stati Uniti che sono in particolare George W. Bush, Donald Rumsfeld, Dick Cheney, Alberto Gonzales, David Addington, William Haynes, Jay Bybee e John Yoo, in cui:
Le persone Accusate hanno commesso il crimine di tortura e crimini di guerra, in quanto: gli imputati hanno volontariamente partecipato alla formulazione di ordini esecutivi e direttive per escludere l’applicabilità di tutte le convenzioni e le leggi internazionali, in particolare la Convenzione contro la tortura del 1984, la Convenzione di Ginevra III, 1949, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Carta delle Nazioni Unite, in relazione alla guerra lanciata dagli Stati Uniti e altri in Afghanistan (nel 2001) e in Iraq (marzo 2003), inoltre, e/o sulla base e nel perseguimento dello stesso, le persone Accusate hanno  autorizzato o sono stati conniventi, ordinando atti di tortura e trattamenti crudeli, degradante e inumano trattamento nei confronti di vittime, in violazione del diritto internazionale, dei trattati e delle convenzioni tra cui la Convenzione contro la tortura del 1984 e le Convenzioni di Ginevra, inclusa la Convenzione di Ginevra III del 1949.
Il processo si terrà davanti al Tribunale per i crimini di guerra di Kuala Lumpur, che è costituito da eminenti personalità in possesso di qualifiche legali.
Il Tribunale giudicherà e valuterà le prove presentate, come in ogni tribunale. I giudici del tribunale devono essere convinti che le accuse sono provate oltre ogni ragionevole dubbio e fornire un giudizio motivato.
Nel caso in cui il tribunale condannasse uno qualsiasi degli imputati, l’unica sanzione è che il nome del colpevole sarà iscritta nel Registro dei Criminali di Guerra della Commissione e pubblicizzato in tutto il mondo. Il tribunale è un tribunale di coscienza e un’iniziativa dei popoli.


sabato 5 novembre 2011

L'ITALIA COMMISSARIATA

E alla fine arriva l’Europa. Al termine di un G20 vago e inconcludente come solo i vertici internazionali sanno essere, la notizia più interessante che portiamo a casa è il commissariamento del nostro Paese da parte del Fondo monetario internazionale e della Commissione europea. Ma anche per arrivare a questa meta la strada non è stata priva di ostacoli. Anzi. Ieri mattina a Cannes è andato in scena un vero e proprio giallo sulla sorte che sarebbe toccata all’Italia.

Fin dalle prime ore iniziano a circolare indiscrezioni stampa e bisbigli a mezza bocca da parte di vari e oscuri funzionari europei. La cosa davvero strana – alla luce di com’è andata a finire – è che fino al primo pomeriggio diverse fonti italiane si ostinano a negare la possibilità che il governo di Roma possa essere messo sotto controllo da Bruxelles e Washington.

Gettano la spugna solo quando, dal palco ufficiale, prende la parola Josè Manuel Barroso: “La prossima settimana – spiega il presidente della Commissione europea – sarò a Roma con i rappresentanti del Fondo Monetario per una missione che ha lo scopo di monitorare l’andamento delle misure in Italia”. Ma non è finita. La vera bomba arriva quando il portoghese specifica che “‘l’Italia ha deciso di sua iniziativa di chiedere a Ue e Fmi di monitorare i suoi impegni di riforme fiscali ed economiche”. Ah sì? Lo abbiamo deciso noi? E allora perché ce lo sta annunciando un portoghese?

Tanto per farci capire che aria tira, subito dopo Barroso prende la parola Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo: “Non si tratta di un diktat – ribadisce con forza - non abbiamo messo l’Italia all’angolo. La situazione è totalmente diversa dalla Grecia”. E ancora sottolinea che l’invito è arrivato direttamente dal nostro Esecutivo, in modo del tutto volontario. Poi, finalmente, un’illuminazione: “Tutto questo è estremamente importante per la credibilità delle misure annunciate”. Già, perché è questo il nostro vero problema. Se fossimo lasciati a noi stessi, nessuno – mercati in primis – si fiderebbe di noi.

La vera bastonata arriva però a fine pomeriggio, quando Christine Lagarde (non una parlamentare del Pd o dell’Udc, ma nientedimeno che il presidente dell’Fmi) decide di parlar chiaro: ”Il problema sul tavolo, chiaramente identificato tanto dalle autorità italiane che dai loro partner – sentenzia candidamente l’economista francese - è la mancanza di credibilità delle misure che sono state annunciate”.

Se questo concetto non risultasse ancora abbastanza chiaro, è sufficiente dare un’occhiata alle dichiarazioni dispensate nel frattempo da Silvio Berlusconi. Una conferenza stampa praticamente sotto dettatura, ma come al solito il Cavaliere non rinuncia a metterci un pizzico del suo spirito. Iniziamo dalle frasi di rito: “In questi giorni sono stato lungamente al telefono con il Presidente della Repubblica – rivela il premier – e abbiamo concordato con il Quirinale la nostra richiesta di certificazione al Fmi”. Addirittura l’istituzione di Washington ci avrebbe “offerto dei fondi”, ma noi, eroicamente, “abbiamo rifiutato”. In serata, poi, verrà seccamente smentito anche su questo.

Dopo di che inizia lo show. Di fronte alla crisi finanziaria che stritola come una tenaglia i conti italiani, il Presidente del consiglio liquida “l’avventarsi” degli investitori “sui titoli del nostro debito” come “una moda passeggera”. Rispolvera perfino un vecchio classico, quello del “cambio Lira-Euro che è stato fatto dal governo di allora a un livello che da sempre abbiamo ritenuto incongruo e penalizzante”. Si tratta di un vero cavallo di battaglia degli anni passati, che però, ormai da qualche tempo, non ricorreva più nella dialettica berlusconiana. Qualcuno doveva avergli spiegato che un cambio più forte di quello stabilito (1936,27 lire per un euro) avrebbe massacrato le nostre esportazioni. Ma ecco che questa chicca riemerge proprio oggi, a Cannes, nel 2011. Quasi che per un attimo Berlusconi abbia cercato di sentirsi di nuovo quello del 2001.

Purtroppo però non è finita. A sentire il premier, la stessa crisi in sé sarebbe una mezza invenzione: “L’Italia non la sente nel modo spasmodico che appare nella rappresentazione che ne fanno i giornali”. Poi, confondendo vita privata e Paese reale: “La vita in Italia è la vita di un Paese benestante. I consumi non sono diminuiti, i ristoranti sono pieni, per gli aerei si riesce a fatica a prenotare un posto”. Frasi che riecheggerebbero soavi nei patii di Arcore, ma che in un summit internazionale hanno tutto un altro effetto. Frasi che spiegano meglio di un trattato le ragioni del commissariamento.

martedì 25 ottobre 2011

La malmessa italia di oggi

Qualcosa ci inventeremo”, ha detto Silvio Berlusconi a proposito del rilancio dell’economia italiana. Niente male come programma. Detto questo, ecco una seria proposta per migliorare i nostri dissestati conti pubblici: il condono politico tombale. C’è chi fino a ieri faceva il baciamano al raìs di Arcore e oggi si lancia in dichiarazioni frementi di sdegno antigovernativo. Lo fa gratis, e questo non è giusto. Ma sia: essendo passati di moda i campi di rieducazione, non resta che agire sulla leva economica. Una tassa. Ebbene sì. Bassa, ovviamente, per chi in buona fede, complice l’ignoranza, il Tg4, le comparse di Forum e Minzolini,  ha creduto alla propaganda del regime. Più alta (fino al sequestro dei beni) per chi, pur avendo gli strumenti culturali per distinguere la merda dal cioccolato, ha gridato per anni “viva la merda”. Qualcuno obietterà: non è con lo stipendio dei numerosi Capezzone che si riduce il debito pubblico, ed è vero. Ma che dire di organizzazioni ricche e potenti come la Chiesa Cattolica? Per anni, pur sapendo perfettamente con chi aveva a che fare, è passata all’incasso, e ora molla al suo destino il fornitore di privilegi e “leggi etiche” ormai avviato al fallimento. Vedete che si comincia a parlare di cifre consistenti. Dovrebbe aderire al condono politico anche Rosa Marcegaglia la rude combattente antiberlusconiana di oggi. E insieme a lei gli imprenditori italiani, assistiti, coccolati, sovvenzionati, ingrassati, che oggi si travestono da strenui e un po’ ridicoli oppositori. Per non dire dei gloriosi padani, poveretti, tutti impegnati a far fuori il loro Gheddafi per mettere Maroni al suo posto. Ecco. Pagare. Senza eccessi, per carità: non vogliamo certo impedire ai giovani industriali di travestirsi da indignados come hanno fatto ieri a Capri. Ma almeno che facciano vedere la ricevuta con la scritta: “Ho aderito al condono politico tombale”. E mostrino a richiesta la ricevuta del versamento!

mercoledì 12 ottobre 2011

LA LEGGE BAVAGLIO

Dunque il ddl intercettazioni è nuovamente argomento di discussione; sarà dunque possibile rendere noto ai cittadini quello che è già pubblico – in quanto noto all’indagato stesso – «solo dopo che si sarà stabilito quali siano gli ascolti rilevanti o meno». Un concetto che ricorda tanto, troppo a dirla tutta, un’omertà stile Marlon Brando– per non dire mafiosa.
Va ricordato che la privacy degli indagati è già tutelata dalla legge, dal momento che non è consentita la pubblicazione di notizie coperte dal segreto istruttorio o investigativo. Il discorso, dunque, non è di tipo legale ma politico, se non anche morale considerato che il diritto all’informazione dovrebbe essere una pietra miliare del sistema democratico.
Non si deve certo viaggiare con la fantasia per congetturare sulle conseguenze di un sistema informativo manipolato a fini politici. Basta attingere all’archivio della memoria e tenere presente con quanto sdegno e costernazione si pensa alla propaganda dei regimi totalitari.
Con quanta ammirazione, all’inverso, si guarda al fenomeno della primavera araba, a come l’informazione libera, quella dei blog nella fattispecie, ha contribuito a fare il primo passo verso il complesso sviluppo dell’emancipazione nordafricana.
Ma, si sa, in Italia è difficile guardare al di là del proprio naso. Un apparato politico avviluppato nelle sue questioni di palazzo, faticosamente trae dalle realtà estere un’occasione di riflessione  sui miglioramenti da apportare al proprio sistema.
Oggi, non soltanto il decreto riprende vita, ma vengono apportate anche delle modifiche che ostacolano il normale flusso dell’informazione. Se si intende quest’ultima come peculiare esempio di comunicazione, allora si dovrebbe presumere la presenza di un mittente: il giornalista e un destinatario: il lettore. Il primo dovrebbe portare al secondo il suo messaggio: la notizia. Ebbene, noncuranti di questo elementare movimento da chi comunica la notizia a chi la riceve, gli autori e i sostenitori della cosiddetta legge bavaglio bloccano il “naturale” processo informativo.
Dal momento che il contenuto delle intercettazioni è documento, e non rappresenta l’orecchio
indiscreto di un estraneo che guarda attraverso il buco della serratura – ad appagare questa esigenza ci pensano i reality show – è diritto del cittadino/lettore essere a conoscenza di documenti pubblici che riguardano personaggi pubblici. Personaggi che, in ultima analisi, sono gli stessi che quel  cittadino/lettore informato e consapevole sceglie quali suoi rappresentanti nel momento in cui esercita il diritto al voto.
E mentre ai “piani alti” si continua ad azzuffarsi, intrattenersi con barzellette da osteria, sedersi sulla poltrona più comoda e  inveire l’uno contro l’altro senza uno straccio di autentica iniziativa per far fronte ad una complessa situazione economica, sociale e politica, questo decreto legge si presenta come un ulteriore ostacolo verso la risalita.
Ma fino a quando la gente, quella che legge i giornali, che va a votare e che scende in piazza con la bocca imbavagliata per ricucire l’Italia sarà disponibile a farsi prendere in giro?! Se nella penisola iberica e oltreoceano si fanno sentire gli indignados, impossibile negare che anche lo stivale ha la sua buona dose di incazzati!


sabato 1 ottobre 2011

Se facessimo come i cittadini di Parma

I cittadini di Parma si sono liberati di una giunta travolta da un’ondata di scandali, dopo l’arresto di 4 persone tra funzionari pubblici e un assessore che ha svelato un giro di corruzione e concussione. In giugno erano stati arrestati altri funzionari pubblici, ma i signori che lunedì sono finiti in carcere hanno continuato a farsi i fatti loro, manifestando non solo un incredibile sentimento di impunità, ma un totale disprezzo per i loro cittadini. S’indaga per tangenti perfino sui servizi mensa degli asili. I cittadini di Parma sono scesi in piazza, continuamente e senza mollare, manifestando la loro volontà di mandare a casa questi amministratori ritenuti – e come dar loro torto – non meritevoli di fiducia. Indignados contro indegni: hanno vinto gli indignados. Così, il rapporto giuridico tra cittadino e amministrazione è sensato: perché è chiaro che di fronte a episodi di questo genere, la fiducia del popolo viene meno e quindi il mandato degli amministratori non ha più fondamento. È un concetto che va oltre il decoro, l’etica, la trasparenza. È il senso della rappresentanza politica.

Al governo del Paese, la situazione penale dei ministri è questa: Raffaele Fitto, imputato per associazione a delinquere, corruzione e altre cosette; Altero Matteoli, imputato per favoreggiamento; Paolo Romano, imputato – fresco di fiducia – per mafia; Umberto Bossi, pregiudicato per mazzette e istigazione a delinquere; Roberto Maroni, condannato per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale; poi alcuni “ex” come Aldo Brancher, Guido Bertolaso, Nicola Cosentino e il ministro a sua insaputa Claudio Scajola. Il Parlamento accorda loro fiducia, con solerte regolarità: non a caso tra Camera e Senato siedono 24 pregiudicati e circa 90 fra imputati, indagati, prescritti e condannati provvisori. Per non dire, naturalmente, di un premier imputato e indagato per reati ignobili che ci sta portando – lo scrive la stampa internazionale – nel baratro insieme a lui.

Non è la dittatura della magistratura o lo “scontro tra toghe e politica”, per usare un’infelice espressione di Napolitano. Sembra che i magistrati ovunque si girino, s’imbattano in un politico delinquente. Hanno l’obbligo d’indagare e perseguire i reati (almeno fino ora). Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Ora, si fa un gran parlare della possibilità del Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere: secondo chi di diritto ne sa, ora il Colle non può liquidare governo e Parlamento. Può farsi sentire, anche pubblicamente, anche con il rigore e la durezza che l’inaudita situazione impongono.

Ma questo riguarda i poteri dello Stato. Noi, i cittadini, dove siamo? Perché non riusciamo a essere, moltiplicati alla “n”, come i cittadini di Parma? All’università ci insegnano che il concetto di Stato deriva dalla somma di territorio, popolo e sovranità. Lo Stato è nostro, perché non riusciamo a organizzare un movimento di cittadini che banalmente chiedono e ottengono un governo che governi, magari nell’interesse dei cittadini, non faccia affari e affronti la crisi finanziaria? L’alternativa non è solo questo ridicolo stallo-stagno nel quale siamo caduti: se non riusciamo a riprenderci il nostro Paese, non saremo più cittadini, ma stranieri d’Italia.

domenica 25 settembre 2011

MINZOLINI "SCODINZOLINI"


Gli editoriali di Minzolini disseminano, ogni volta, una scia d’inevitabili polemiche. Politici, giornalisti, blogger, comuni cittadini, ne attaccano i contenuti sfacciatamente di parte, combacianti perfettamente con le opinioni politiche del presidente del Consiglio.

Tutto nasce dal fatto che il principale tg del servizio pubblico si è contraddistinto, sotto la guida di Minzolini, nel produrre un pessimo modo d’interpretare e fare informazione; caratterizzato da FALSITÀ , notizie, DIFFUSE IN TUTTO IL MONDO, non date perché ritenute mediaticamente scomode al governo e ridotte a estivi GOSSIP DA OMBRELLONE, una riduzione di spazio e quindi d’attenzione alle questioni politiche, economiche e sociali in favore di fatti inutili fine a se stessi – come “LE SCIMMIE ORFANE DEL KENYA, aquile reali, cappellini e cavalli inglesi ad Ascot, cappelli senza cavalli a Milano, il ritorno in classifica di Raffaella Carrà”, ecc – spacciati, al contrario, per vere e proprie notizie d’importanza nazionale da dover esser comunicate all’opinione pubblica.

Operazioni di controllo dell’informazione che tre giornalisti del comitato di redazione del telegiornale hanno condensato e raccolto in un DOSSIER intitolato Il tg1 secondo Minzolini, utile a capire che oltre a porsi contro la correttezza richiesta ne LA CARTA DEI DOVERI DEL GIORNALISTA esse sono la causa di numerosi problemi che hanno investito il tg1 in questi anni di linea “minzoliniana”: una FORTE PERDITA DI ASCOLTI, DIFFIDE e MULTE  per il continuo squilibrio di minuti concesso al governo e a Silvio Berlusconi.

L’esasperazione verso questo tipo di giornalismo, asservito (e in difesa) al potente di turno, ha inasprito le critiche rivoltegli, tanto da far pretendere, in svariate di esse, che Minzolini smetta di fare editoriali, poiché – sostengono – un direttore di un telegiornale, tanto più del servizio pubblico, per rimanere imparziale non dovrebbe esprimere un proprio punto di vista riguardo realtà politiche/economiche nazionali ed internazionali.

L’errore di tali richieste d’imparzialità sta nel considerare fonte di paragone come Minzolini si pone nel ruolo da direttore del tg1. I suoi editoriali, difatti, non sono analisi critiche basate su letture di accadimenti avulse da interessi di partito o di parte. Ogni volta che Minzolini parla non cerca mai d’inserire il suo punto di vista in una lettura intellettualmente onesta del Paese, che può anche non essere condivisibile, ma che fa interrogare, poiché alternativa al proprio pensiero, avente anche ha il coraggio, eventualmente, di risultare non esatta, sbagliando per questo in prima persona e non, come ironizzava Biagi, per conto terzi.

Al contrario, l’intento del “direttorissimo” è quello di difendere il potente, avallare le sue svariate pretese di comando e controllo, attaccando i “nemici”-POLITICI , GIORNALISTI, MAGISTRATI - del suo ideale editore di riferimento (Silvio Berlusconi). Legame politico, tra l’altro, che lo stesso giornalista HA CONFERMATO, dichiarando che la sua permanenza alla direzione del tg1 è strettamente connessa alla durata del presidente del Consiglio nella guida del governo.

Insomma, gli editoriali di Minzolini, sono editoriali nella forma ma non nella sostanza, in quanto si contraddistinguono per fare della pura e semplice propaganda politica.

Proprio per questo motivo, basare il proprio giudizio su come dovrebbero essere gestiti il ruolo e i compiti di un direttore di telegiornale, avendo come termine di paragone la propaganda e non il giornalismo, può portare ad una cura ben peggiore della malattia, in quanto il passaggio dal desiderio d’imparzialità del giornalista alla pretesa di avere un tg asettico come una lista della spesa, in cui le notizie vengono semplicemente lette, senza un approfondimento e un utile e attenta analisi è qualunquisticamente sottile.

Pericolo che non possiamo permetterci, maggiormente in un periodo come questo, in cui il conformismo e il servilismo giornalistico televisivo sono più dilaganti che mai, per evitare di non riuscire più a distinguere tra informazione e mera propaganda.

Ecco perché un direttore di telegiornale, se lo ritiene necessario, è libero di poter fare tutti gli editoriali che vuole, informando, ma non può permettersi d’inscenare comizi dal pulpito della prima rete del servizio pubblico, basando la sua opinione su fatti forzati o manomettendo e manipolando circostanze della realtà politica e sociale di questo Paese per fare un favore al potente di turno.

Perché, COME SOSTENEVA, nel 1994, un ottimo giornalista d’assalto, definito lo squalo, “il mio referente è il lettore e non il politico e (…) il mio compito è quello di rappresentarlo come è senza mediazioni”.

martedì 13 settembre 2011

IL CASUALE IMPEGNO DI BERLUSCONI

Tutti lo criticano perchè pensa solo alle puttane ed invece lui si sacrifica, si impegna, e ci tiene a farcelo sapere.
Chi meglio di Canale 5 e Belpietro potevano informare gli italiani che il presidente non fugge dai giudici, ci mancherebbe altro non ha niente da temere, ma per spiegare ai colleghi europei la manovra ed è per questo che ha chiesto appuntamento a qualcuno a Strasburgo  che lo stesse ad ascoltare.
A stretto giro di posta Buzek, presidente dell’europarlamento, gli ha fatto sapere che non lo vuole vedere.
Come farà a spiegare una manovra che non hanno ancora capito chi l’ha proposta e nemmeno chi la paga, noi, è un mistero.
Comunque lui non ha rimorsi, ha solamente aiutato una famiglia in difficoltà ed è la prima volta che lo fa senza che ci siano figlie minorenni in ballo, solo e semplicemente un ricatto.
Ovvio che gli dispiaccia l’impegno improvviso, che si è costruito e preparato, non tanto perchè non può rispondere alle domande dei magistrati ma per il fatto che domani sera a Barcellona si gioca Barcellona-Milan, prima partita di champions...e lui non potrà esserci in tribuna..!

 





martedì 6 settembre 2011

LA FINE DEL CAPITALISMO?

La crisi è globale ma il capitalismo, la speculazione, il profitto, le guerre e la falsa democrazia, spacciata per l’unico modo di vivere che sia possibile al mondo, continua imperterrita a bruciare ricchezza costruita sfruttando i più deboli, arricchendo i parassiti come le banche e gli speculatori, ed emarginando da una vita dignitosa gli artefici di tanta ricchezza.
Come esempio di vita democratica, dopo gli errori e gli orrori del comunismo, il sistema economico globale ci propina come unico modo di vivere la finta democrazia delle multinazionali, delle banche mondiali o locali, che sperperano la ricchezza mondiale pur di non condividere, più o meno equamente, la ricchezza mondiale e tutto questo avviene per salvaguardare il profitto, le lor ricchezze accumulate a suon di guerre ed invasioni, le  esportazioni di guerre portatrici di libertà per i pozzi petroliferi.
Il capitalismo globale, l’economia parassitaria delle banche e degli speculatori mondiali, nessuno escluso, mi fanno ricordare quello che anni fa mi raccontò un collega in merito al fatto che suo fratello non contribuiva al mantenimento dei loro genitori.
Il mio collega era uno che non sembrava molto normale ed è per questo che era un genio, un giorno gli chiesi ma tuo fratello non ti dà una mano?
E’ meglio di no, mi rispose, è meglio che a casa non si faccia vedere. Quello porta un zuccherino al cavallo e si porta via il cavallo. L’ultima volta che è stato a casa mia a trovare i nostri genitori si è portato via un orologio d’oro, di quelli rotondi che chiamiamo a cipolla. Un pezzo d’epoca e pertanto dal valore ancora più alto.
Il capitalismo parassita è uguale, intanto che parla di sacrifici, da far fare ai lavoratori, per salvare l’economia globale aumenta a dismisura i suoi profitti, abbatte democrazia e diritti dei lavoratori e specula pure sui debiti dei quali è la causa, pur facendoli pagare a noi, la massa lavoratrice e vittima della falsa democrazia.
Non è un problema di governo italiano, europeo, cinese o americano, è un problema che il capitalismo ha questo tumore in sè che si chiama profitto, che non ha occhi, testa, progetti ed azioni che non siamo puntati al solo obiettivo di arricchire, sempre di più e sempre gli stessi. Di qualsiasi colore siano.
Gli indignati di tutto il mondo manifestano chiedendo una distribuzione più equa della ricchezza e ciò avviene sotto tutti i tipi di governi, di società, dai socialisti alle destre ai comunisti cinesi o pseudo tali, intesi come comunisti. Spagna, Israele, Grecia, Inghilterra, Germania, ovunque nascono gli indignati che non chiedono un cambiamento di sistema politico in sè, destra, sinistra, centro, centrosinistra,centrodestra, chiedono solo di ripartire la ricchezza di ogni paese in modo equo, più giusto.
Senza nemmeno rendersene conto sono tutti marxisti ma guai a parlare di comunismo al giorno d’oggi, soprattutto in Cina.
Un’altra società è possibile, sia a livello locale che mondiale, ma non dobbiamo rendercene conto, sarebbe deleterio per il sistema, dobbiamo essere persuasi che salvando le banche, gli investimenti parassitari, arricchendo i miliardari di tutti i colori salviamo la nostra indipendenza, libertà e democrazia.
Libertà di essere sfruttati, democrazia che ci impone sacrifici persino sulla spesa, sulla qualità della vita, indipendenza dalla conoscenza e dalla cultura che potrebbe liberarci da questo giogo che ci opprima da centinaia d’anni e che ha sconfitto, anche per sue colpe, l’unita alternativa che eravamo   riusciti a creare, il comunismo, la società diversa che dava un valore diverso al proletariato.
Anche una socialdemocrazia aggiornata ci andrebbe bene, in queste condizioni economiche, ma finchè tutti i governi, di tutti i colori, all’ordine del giorno hanno sempre, e solo, il salvataggio delle banche e la salvaguardia dei profitti degli speculatori ciò non sarà mai possibile, se la luce guida dell’economia globale è il mercato saremo sempre vittime di noi stessi, del tumore che ci hanno iniettato immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, il consumismo.
Non per niente un geniale cineasta, poeta scrittore, autore, intellettuale come Pier Paolo Pasolini ebbe a dire in una trasmissione televisiva, oltre 40 anni fa, che noi non abbiamo nessun valore come uomini, persone, ma solo ed in quanto consumatori.Un profeta, altro che Cristo.
Ecco perchè chi non consuma, non può consumare, non ha nessun valore per l’economia globale, chi non può spendere, spandere, pensionati in testa, deve morire perchè non è di nessuna utilità ai mercati, alle banche.
Difficile che un ottantenne possa attingere ad un mutuo trentennale per comprarsi una casa e muovere il mercato.
A meno che il delirio del nostro presidente del consiglio evasore, piduista, puttaniere, non mantenga la sua parola e di faccia vivere, in media, sino a 120 anni. In salute però, altrimenti ci fanno fuori per risparmiare sulla sanità e sui ticket.

sabato 27 agosto 2011

Le Guerre e l'esportazione della democrazia

Alla fine dell’800 i "civilissimi" inglesi, nella guerra coloniale del capitalismo alla ricerca di materie prime da rubare e di schiavi da deportare, invasero e occuparono il territorio degli "incivili" Zulù. Faccio questo esempio estremo, perché gli Zulù erano una popolazione semi-primitiva, la più lontana dalle nostre concezioni che opprimeva a sua volta altre popolazioni con metodi terribili. Gli Zulù si difesero come poterono con archi e frecce contro le armi allora moderne e potenti dell’esercito inglese, e dettero anche delle sonore lezioni di dignità e di coraggio agli inglesi, che poi però con la forza delle armi, col cinismo criminale e con l’inganno li sconfissero e stabilirono in Sudafrica la vergogna del regime bianco dell’apartheid. In tutte le guerre coloniali e imperialistiche sono stato sempre dalla parte degli oppressi contro gli oppressori, dalla parte dei popoli africani, molto più “incivili” e contro le potenze europee civilissime, democraticissime, ma che hanno per secoli applicato persino lo SCHIAVISMO agli altri popoli “inferiori” perchè più “incivili”. Sono sempre stato dalla parte degli indiani e indios d’America contro i colonizzatori inglesi, francesi, spagnoli. Dalla parte dei popoli latinoamericani contro l’oppressore, torturatore, nord-americano. Dalla parte degli indiani e dei cinesi contro le civilissime e criminalissime potenze europee sfruttatrici,  Mettendo in primo piano la contraddizione principale, che è quella dell’oppressore colonialista e imperialista contro il popolo oppresso, colonizzato, occupato, invaso, sfruttato, senza per questo aderire ai regimi sociali o alle culture dei popoli oppressi. Anche oggi, dalla parte del popolo libico contro l’illegale aggressione guerrafondaia e neocoloniale della Nato, della Francia di Sarkozy moderna santa alleanza degli Stati imperialisti in declino irreversibile, che vince solo perchè è super-armata di armi modernissime e terrificanti, ma che non esporta democrazia ma solo beceri interessi economici di parte.

venerdì 12 agosto 2011

2011: La fine del Capitalismo?

Il comunismo, la dittatura del proletariato, il sogno di una società più equa e più giusta si infranse nella corruzione e nella violenza come quasi sempre quando c’è di mezzo l’uomo con le sue miserie.
D’altronde era la prima esperienza di una società diversa nata da un feudalesimo nobiliare di repressione e miserie.
Marx è ancora attuale e l’applicazione delle sue teorie vanno riviste e corrette, alludo alla redistribuzione della ricchezza dei paesi in modo più equo ed equilibrato.
D’altronde è quello che chiedono gli indignados di tutto il pianeta.
Il sogno americano, la destra mondiale, il parassitismo speculativo capitalista ha fatto credere a tutto il mondo che il mercato imposto dal capitalismo sia il sistema più giusto ed il profitto, a qualsiasi prezzo etico e morale, il suo Dio.
Così non è il capitalismo è un tumore della società globale che arricchisce a dismisura i pochi ed affama miliardi di persone.
C’entra anche il fato, il destino, c’è chi ha la sfortuna di nascere miserabile in certe parti del mondo con l’unica prospettiva di una vita di stenti e sfruttamenti e di una morte che diventa una liberazione.
Per qualche migliaio, milione, di individui che grazie a capacità superiori in qualche campo della vita riesce ad emergere ed a elevarsi sul piano economico e culturale, alludo per esempio ad un cantante, un calciatore, un laureato, un attore, solo per fare un esempio ce ne sono miliardi che non hanno un tetto, una casa , una prospettiva.
Il capitalismo, per sopravvivere e prosperare ha bisogno di due cose: o le guerre periodiche per rilanciare la speculazione o delle crisi globali per fare la stessa cosa, speculare.
Entrambe portano solo miseria, ingiustizia, ineguaglianza e privilegi. Ieri per la nobiltà oggi per la borghesia parassitaria dell’economia globale.
Quello che stiamo vivendo in questi anni è la caduta del burqa del capitalismo globale.
Il burqa del capitalismo è tessuto con i fili delle religioni, tutte, del mercato, del profitto, della speculazione, e nasconde al mondo i veri responsabili della crisi globale che arriva a seconda dei luoghi anche a uccidere per fame milioni di persone, vedere quello che succede nel corno d’Africa.
Il capitalismo è la ricchezza dei pochi sulle spalle e lo sfruttamento dei molti, non è eticamente, moralmente, direi quasi religiosamente accettabile che l’8% degli abitanti di un Paese detengano il 50% della ricchezza.
Questo concetto fa rabbrividire, da solo dovrebbe bastare per una rivoluzione di massa, e vorrei fare un esempio dell’indecenza di una situazione del genere.
Se ci fossero a disposizione 100.000 euro avremmo, abbiamo, una situazione del genere: 8 persone si spartirebbero 50.000 euro, 6250 a testa, gli altri 92 si spartirebbero 543,48 euro.
Abbiamo, nel mondo, qualche migliaio di speculatori che sono in grado di mettere in crisi qualsiasi paese che non abbia una politica forte in grado di condizionare il loro movimenti, le loro speculazioni, di tassare in modo giusto e proporzionale i loro immensi guadagni parassitari.
Oggi l’Unità titola: Il governo inutile, ed è giusto ma non vale solo per noi, vale per tutta Europa e per tutto il mondo, sinchè la politica sarà schiava dei poteri economici ed incapace di imporre regole, tasse, limitazioni,etica, equità, agli speculatori del globo.
I modi ci sono per condizionare questa gentaglia, più o meno anonima, che è in grado di rovinare Stati interi. Se solo la politica globale avesse la volontà e la forza di togliere il burqa che copre le nefandezze del capitalismo, sempre che non siano tutti complici visto che anche la sinistra ragiona esclusivamente nell’ambito del sistema capitalistico, incapace di proporre una alternativa economica e sociale.
Abbiamo la nostra Costituzione che è più a sinistra della sinistra estrema del Paese, ma non se ne è accorto nessuno.
E’ più giusto, equa, solidale, libertaria di chi ci governa e di chi è all’opposizione.
Basti pensare che ognuno deve contribuire allo Stato in base alle sue possibilità e noi abbiamo un governo che tassa la benzina, i pensionati, i lavoratori, taglia l’assistenza e la sanità ma non tocca i miliardari che hanno il 50% della nostra ricchezza nazionale.
Il burqa del capitalismo è caduto, senza nemmeno una legge che lo proibisca, adesso dovremmo fare una legge che impedisca ai parassiti di rimetterlo e di nascondersi dietro una libertà che non è libera, di un mercato che è solo un sopruso, di una uguaglianza che non è uguale e di una religione che giustifica tutto per sopravvivere nei suoi privilegi.
Basta solo che la massa se ne renda conto, il capitalismo è scoperto, mostra tutte le sue incongruenze e le ineguaglianze, mostra le sue miserie, che sono nostre, e le sue debolezze.
E’ un sistema bacato che agevola i pochi ricchi a scapito dei molti poveri. Ci hanno, vi hanno, fatto credere che è il migliore ed il più democratico sistema al mondo ed invece è un sistema che produce una ricchezza malata e piramidale e che alla sua base ha miliardi di poveri sempre più oppressi.
La politica mondiale è miope o collusa, alludo alle destre in generale, poi si meravigliano se danno l’assalto ai negozi o alle banche.
Non è importante se rubano un televisore o un i-pad, rubano i simboli di questa ricchezza fittizia ed inutile che crea solo disparità ed ineguaglianza.
Almeno noi, che abbiamo la mente libera, togliamo il burqa al capitalismo, facciamo vedere a tutti che faccia ha, anche sapendo che non sarà un belvedere. Mostriamo l’orrido di un sistema economico iniquo ed orrendo.
L’orologio della storia ha i suoi tempi, se il 1989 ha segnato la fine del comunismo reale il 2011 segna la fine del capitalismo globale, basta esserne consapevoli anche se le macerie non sono di ferro, polvere e cemento, sono visibili a tutti.
E’ su tutte le prime pagine dei giornali il crollo delle borse mondiali è lo sfilarsi del burqa del capitalismo, senza volerlo ci mostra il suo vero volto.
Se non è iena è avvoltoio, se non sono iene ed avvoltoi sono vermi che mangiano le carcasse della nostra economia.
A destra ed a sinistra, nel popolino, si tende scaricare sulla politica le anomalie del capitalismo senza rendersi conto che la politica, tutta, è succube del capitalismo, mancando di fatto al suo ruolo di governo e di controllo.
Cadendo nel tranello del capitalismo parassita da tutte le parti si invoca meno politica, un autentico suicidio, per cambiare le cose ci vuole più politica, che sia più forte e che condizioni ed imponga le regole a questo capitalismo incontrollabile ed anarchico che pensa solo ai, suoi, profitti.
Che privatizza i profitti e socializza le perdite.

sabato 30 luglio 2011

LA TRAGICA FARSA DEI MINISTERI AL NORD

Che ci siano o no a Monza tre ministeri, scomparsi di conseguenza da Roma, è un quesito cui nessuno saprebbe dare risposta. Certo c’è stata una inaugurazione di locali, e dopo che Bossi ha respinto al mittente la lettera di Napolitano, “i ministeri li abbiamo fatti e li lasciamo lì”, si dovrebbe parlare appunto di fatto compiuto. Senonché la cosa non è così semplice.  
A parte che i ministeri non sono costituiti soltanto dai ministri, ma si servono pure di direzioni, gabinetti, uffici di vario genere tuttora di stanza a Roma, l’impressione è che per ora il braccio di ferro si eserciti su una questione virtuale. Dice il capo dello Stato che il trasferimento a Monza non si può fare, salvo rivedere la Costituzione, chiamare in causa la Corte dei Conti per valutare costi e benefici: ossia, con l’aria che tira, rinviare tutto a babbo morto. E prima di andare avanti servirà un inciso sull’utilità dell’iniziativa, visto che i costi sarebbero a carico di noi cittadini mentre i benefici andrebbero ad esclusivo vantaggio degli spot leghisti. Diremmo insomma che la faccenda è grave ma non seria. Grave perché un partito di governo pretende di coartare la volontà altrui per mere ragioni propagandistiche: e gravissima, va aggiunto, per la protervia con cui Bossi risponde al messaggio di Napolitano. Grave anche per l’imbarazzo del Pdl, non da oggi stretto fra due opposte necessità, pensare ai problemi nazionali e fingere che la Lega vada presa sul serio. Ma proprio questo è il punto. Serietà? Come diceva Totò, ma per piacere...
Ricordiamo tutti i precedenti. Si era in vista di elezioni e referendum, con pronostici negativi per la maggioranza. Per calmare la base, da tempo irritata con Berlusconi per i noti motivi, dalla questione morale al deficit di efficienza, i capi leghisti avevano avuto la bella pensata dei ministeri in Brianza. Federalismo portato dalla teoria alla pratica, con Bossi, Calderoli e possibilmente Tremonti insediati nella Villa Reale. Poi la doppia batosta elettorale e, adesso, l’arredamento raffazzonato di qualche ufficio, sostenendo che in quelle stanze ormai i ministeri ci sono e di là non si muovono.
Serietà, come no. Sul piano umano, è da compiangere il presidente della Repubblica che, di fronte ad azioni ed esternazioni insensate, è costretto a mettere in guardia sia i responsabili sia i corresponsabili. Con tutte le preoccupazioni che ha, almeno Napolitano dovrebbe essere al riparo di simili goliardate. Ma è sul piano politico, scivoloso come ben sappiamo, che la farsa può trasformarsi in dramma.
Con questi chiari di luna, dall’economia che traballa all’indifferenza verso i bisogni delle famiglie italiane, ci mancava solo il problema di Monza capitale. Altro che Ruby o processi assortiti. Oggi più che mai Berlusconi dovrà stare molto ma molto attento.  

domenica 24 luglio 2011

IL DISAGIO DI DONNE E GIOVANI

Donne e giovani, in questo paese, si trovano a dover portare, senza averlo scelto, un fardello pesantissimo, la diseguaglianza tra ricchi e poveri.

L’importante è nascere in una famiglia giusta, è lì che si gioca il destino del nascituro.

Essere poveri fin da bambini è molto peggio che ritrovarsi poveri nel corso della vita.

Mancano gli interventi che funzionino da elemento di compensazione di fronte alla presenza dei figli, come per esempio, il sostegno all’occupazione delle madri.

Nei fatti c’è l’idea di restituire alla famiglia i problemi. Si considera la rete famigliare come la protezione e la soluzione di ogni problema, sia che si parli di minori, sia che si parli di anziani o disabili.

E’ un’idea sbagliata, anche se è una vecchia idea italiana, perché, pur senza disconoscere tutto quello che hanno fatto le famiglie, di fronte ai dati sulle disuguaglianze e la povertà crescente, restituire i problemi alle famiglie vuol dire amplificarli ancora di più e far aumentare le distanza tra chi ha le risorse per fare qualcosa a chi questa risorse economiche, ma anche sociali e culturali, non le ha.

E intanto, per non toccare l’evasione fiscale, le rendite finanziarie, i privilegi della casta, si reintroduce l’Irpef sulla prima casa, quella adibita ad abitazione. Quella casa che molti hanno pagato con enormi sacrifici, e che costituisce forse l’unico bene di tanti poveri cristi che hanno lavorato una vita intera per pagarsela. 

martedì 12 luglio 2011

LA COLOSSALE PRESA IN GIRO

La manovra economica recentemente varata introduce, oltre a vari dolorosi tagli, il famoso superbollo sui Suv e sulle auto di lusso.
Sono anche le più inquinanti. Dovrei gioire. Invece è una colossale presa in giro. Il testo inviato al Quirinale recita che sono dovuto 10 euro per ogni kilowatt di potenza eccedente rispetto al limite dei 225 kilowatt.
Significa che nulla è dovuto, ad esempio, se si possiede una Mercedes S 350 (vari modelli che arrivano a costare fino a 104 mila e rotti euro) o una Bmw 740d da 89.000 euro: hano una potenza di 225 kilowatt. Non pagano neanche l’Audi Q5 (132 kilowatt) e Q7 (200 kilowatt), e la jeep Grand Cherokee (prezzo fino a 63 mila euro circa): 177 chilowatt nella versione più potente.
E allora mi sono chiesta: ma chi paga? PAGANO SEMPRE I SOLITI!!

giovedì 30 giugno 2011

L'AGONIA DEL CAPITALISMO

Da tempo sostengo che la crisi attuale del capitalismo è più che congiunturale e strutturale: E’ terminale!
Due ragioni, però, mi portano a questa interpretazione:
La prima è la seguente, la crisi è terminale perchè tutti noi, ma in particolare il capitalismo, abbiamo oltrepassato i limiti della Terra. Abbiamo occupato e depredato tutto il pianeta spezzando il suo sottile equilibrio ed esaurendo i suoi beni e i suoi servizi, fino al punto che non riesce più a sostituire da solo quello che gli hanno sequestrato. Già a metà del secolo XIX qualcuno scriveva profeticamente che la tendenza del capitale era di andare in direzione della distruzione delle sue due fonti di ricchezza e di riproduzione: la natura e il lavoro. E’ quello che sta succedendo.
La natura, in effetti, sta subendo un grande stress, come mai prima, per lo meno nell’ultimo secolo, i fenomeni estremi verificabili in tutte le regioni, i cambi climatici che tendono ad un riscaldamento globale crescente, parlano a favore di questa tesi.  Senza natura, come si riprodurrà il capitalismo? Ha incontrato un limite insuperabile.
Il capitalismo precarizza o prescinde dal lavoro. Esiste un grande sviluppo senza lavoro. L’apparato produttivo informatizzato e robotizzato produce di più e meglio, senza quasi alcun lavoro.
La conseguenza diretta è la disoccupazione strutturale.
Milioni di persone non entreranno mai più nel mondo del lavoro, neppure come esercito di riserva. Il lavoro, dalla dipendenza dal capitale, è passato a prescindere da esso. In Spagna la disoccupazione raggiunge il 20% della popolazione generale, e il 40% dei giovani. In Portogallo il 12% del paese e il 30% dei giovani. Questo significa una grave crisi sociale, come quella che devasta in questo momento la Grecia.
Tutta la società viene sacrificata in nome di un’economia fatta non per rispondere alle richieste umane ma per pagare i debiti con le banche e con il sistema finanziario.
La seconda ragione è legata alla crisi umanitaria che il capitalismo sta generando. Prima era limitata ai paesi periferici. Oggi è globale e ha raggiunto i paesi centrali. Non si può risolvere la questione economica smontando la società.
Le vittime, legate tra loro da nuovi viali di comunicazione, resistono, si ribellano e minacciano l’ordine vigente. Ogni volta più persone, specialmente giovani, non accettano la logica perversa dell’economia politica capitalista: la dittatura della finanza che, attraverso il mercato, sottomette gli Stati ai suoi interessi e la redditività dei capitali speculativi che circolano da una borsa ad un’altra ottenendo profitti senza produrre assolutamente niente che non sia più denaro per i suoi possessori di rendite.
E’ stato il capitale stesso a creare il veleno che lo può uccidere: nell’esigere dai lavoratori una formazione tecnica ogni volta migliore per essere all’altezza della crescita accelerata e della maggiore competitività, ha creato involontariamente persone che pensano. Queste, lentamente, vanno scoprendo la perversità del sistema che spella le persone in nome di un’accumulazione meramente materiale, che si mostra senza cuore nell’esigere più e più efficienza, fino al punto di portare i lavoratori ad un profondo stress, alla disperazione e, in alcuni casi, al suicidio, come succede in vari paesi del mondo.
Le strade di vari paesi europei e arabi, gli “indignati” che riempiono le piazza della Spagna e della Grecia, sono espressione di una ribellione contro il sistema politico esistente a rimorchio del mercato e della logica del capitale. I giovani spagnoli gridano “non è una crisi, è una rapina”. I ladroni hanno le loro radici a Wall Street, nel F.M.I. e nella Banca Centrale Europea, che sono i sommi sacerdoti del capitale globalizzato e sfruttatore.
All’aggravarsi della crisi cresceranno in tutto il mondo le moltitudini che non sopporteranno più le conseguenze del supersfruttamento delle loro vite e della vita della Terra e si ribelleranno contro questo sistema economico che ora agonizza, non per la vecchiaia ma per la forza del veleno e delle contraddizioni che ha creato, castigando la Madre Terra e affliggendo la vita dei suoi figli e delle sue figlie.

martedì 14 giugno 2011

L'UOMO CHE HA FREGATO UN INTERA NAZIONE

Silvio Berlusconi ha di che sorridere. A 74 anni ha creato un impero mediatico che lo ha reso l’uomo più ricco d’Italia. Domina la scena politica italiana dal 1994, è il Premier più longevo dopo Benito Mussolini ed è sopravvissuto a innumerevoli profezie di fine imminente. Eppure, nonostante i successi personali, come leader del Paese è stato un disastro, per tre motivi.
Due sono ben noti. Il primo riguarda lo scandalo della saga dei “bunga bunga”, uno dei quali ha prodotto il poco edificante spettacolo di un Presidente del Consiglio messo sotto processo a Milano con accuse che parlano di sesso a pagamento con una minorenne: il ‘Rubygate’ mette in cattiva luce non solo Berlusconi ma anche il resto del Paese. Per quanto vergognoso, lo scandalo a sfondo sessuale ha influito poco sull’attività del Berlusconi-uomo politico ed ecco perché l’Economist l’ha ampiamente ignorato.
In questi anni è stato processato più di una decina di volte, per frode, per falso in bilancio e per corruzione. Chi lo difende sostiene che non è stato mai condannato, cosa per altro non vera: alcuni casi sono arrivati a condanna, salvo poi essere prescritti per decorrenza dei termini; è successo almeno un paio di volte, visto che Berlusconi stesso ha fatto cambiare la legge.
Ma ora è chiaro che né la storia dei suoi loschi affari sessuali né quella dei suoi dubbi affari finanziari sarebbero la ragione principale per cui gli italiani dovrebbero ricordare Berlusconi come un disastro, anzi peggio, come una vero e proprio fallimento. Peggiore di tutti è il terzo difetto: la sua assoluta indifferenza nei confronti della condizione economica del Paese. Forse perché distratto dai problemi con la giustizia, in quasi nove anni da presidente del Consiglio non ha saputo riconoscere né rimediare alla grave debolezza economica dell’Italia. E’ per questo che lascerà dietro di sé un Paese in pessime acque.

mercoledì 8 giugno 2011

REFERENDUM 12-13 GIUGNO VOTA 4 SI!!

È im­por­tante il 12 e il 13 giu­gno rag­giun­gere il quo­rum ai Re­fe­ren­dum e sce­gliere il SI a tutti i que­siti. È un voto che può porre al­cuni li­miti a un mo­dello di svi­luppo in­so­ste­ni­bile, che ignora i co­sti am­bien­tali, so­ciali e i beni co­muni, e a un po­tere po­li­tico che cal­pe­sta giu­sti­zia e democrazia.
Un suc­cesso dei SI al Re­fe­ren­dum co­strin­ge­rebbe la po­li­tica – sia del go­verno che dell’opposizione – a fare i conti con la vo­lontà dei cit­ta­dini. L’impegno delle mo­bi­li­ta­zioni so­ciali non si li­mi­te­rebbe a ma­ni­fe­sta­zioni fi­nora ina­scol­tate, ma can­cel­le­rebbe al­cune delle peg­giori leggi in­tro­dotte dal governo.
Votate convintamente 4 SI!!!!!!!!!!!!!

martedì 31 maggio 2011

GAME OVER

Era il Presidente-Imprenditore, venuto dal mondo del lavoro. Finisce come un vecchio politicante abbarbicato a una maggioranza che si regge sul trasformismo parlamentare. Aveva chiesto, ancora una volta, forse l’ultima, un voto contro i magistrati e i comunisti, interessando alla faccenda perfino l’allibito Obama. E a Milano e a Napoli perdono, straperdono due imprenditori, Letizia Moratti e Gianni Lettieri, contro un post-comunista e contro un ex pubblico ministero. Fine più beffarda non si è mai vista. Trionfa Giuliano Pisapia a Milano, dieci punti di distacco alla manager Moratti, l’avvocato mite con il sorriso mite, non un trascinatore di folle, che aveva già vinto le primarie contro il candidato del Pd (c’è ancora qualcuno che si opporrà ai gazebo?) e che ha indicato alla città una speranza, dopo decenni di candidature di imprenditori, prefetti, aristocratici di dubbia fama (ricordate Diego Maria Masi de Vargas y Machuca…?). Vola addirittura Luigi De Magistris a Napoli, una vittoria che sconquassa il sistema di potentati, di destra e di sinistra, che ha lasciato andare in questi anni la città del Golfo in malora, nella putredine dei rifiuti e della politica che si ingrossava come un ratto nella monnezza. Una valanga fuori dai partiti, il successo di una persona, come nella storia della Repubblica è successo solo un paio di volte, a Palermo con Leoluca Orlando (che però era un figlio della Dc) e sempre a Napoli con Achille Lauro (che però aveva i soldi).
Il centrosinistra espugna perfino la roccaforte azzurra di Cagliari, con il giovane vendoliano Massimo Zedda. Vince, udite udite, ad Arcore e forse anche a Gallarate. La sconfitta del centrodestra era attesa, annunciata, ma non in queste proporzioni. Con queste cifre, e con una geografia elettorale interamente sconvolta, è un terremoto. Il ballottaggio di fine primavera 2011 è un’onda d’urto che spazza via tonnellate di articoli, analisi pigre, commenti mesozoici, tipo la divisione tra radicali e riformisti e altre amenità politologiche. Alleanze, giochi e giochetti, manovrine di Palazzo non ci sono più, come sempre accade quando larghe fasce di elettorato mollano i porti sicuri della tradizionale appartenenza e si rimettono in movimento.
Dopo questo voto non esisterà più il centrodestra così come lo abbiamo conosciuto finora. Quello fondato sul patto tra Silvio e Umberto. Sulle cene di Arcore e sui vertici di via Bellerio. Il centrodestra che si è presentato con il volto di Daniela Santanchè, Michela Brambilla, Maristella Gelmini, Sandro Bondi, Ignazio La Russa, le mutande di Ferrara e le igieniste, i ciellini con la camicia a fiori e i puttanieri in tunica bianca. Ma non ci sarà più neppure il centrosinistra di questi anni, quello che si dibatte convulsamente tra la tentazione di affidarsi a Casini e quella di corteggiare Tremonti, quello che ha il complesso della sconfitta, che il paese-è-di-destra, che ha paura di vincere da solo e chiede l’eterno aiutino alla controparte. Oppure salta direttamente dalla parte opposta: come ha fatto l’ex dalemiano Velardi, spin doctor di Lettieri dopo essere stato assessore di Bassolino. Bel risultato, doctor Velardi.
Il vento del cambiamento spazzerà via anche il governo del Cavaliere? E’ ancora troppo presto per dirlo. Anzi, fin da ora si può scommettere che la maggioranza Pdl-Lega-Responsabili, almeno in prima battuta, proverà a inchiodarsi alle poltrone. Anche se i numeri della disfatta sono troppo clamorosi per giustificare un voltare la testa dall’altra parte. E di certo sarà difficile per il solerte onorevole Maurizio Paniz tornare nell’aula di Montecitorio per chiedere un voto a favore di Berlusconi che aveva creduto alla nipotina di Mubarak. Ma è già in questo il rovesciamento della logica berlusconiana: l’uomo di Arcore che non ha più la maggioranza del Paese si rifugia nella ridotta di Montecitorio. Da extraparlamentare diventerà super-parlamentare. E accuserà (lui!) di demagogia e di populismo chi chiederà elezioni anticipate.
E’ solo la prova che da stasera Berlusconi può ancora battersi per la sopravvivenza di se stesso, un tirare a campare disperato come quello di Craxi e Andreotti nel 1992, quando la somma di inchieste giudiziarie e crisi economica buttò giù il sistema del pentapartito, le sconfitte elettorali arrivarono al termine. L’alternativa ancora non c’è, è tutta da costruire. E Berlusconi è ancora a Palazzo Chigi. Ma il berlusconismo non c’è più.
Game Over.

venerdì 6 maggio 2011

L'ATTACCO ALLA GIUSTIZIA

Questa storia è iniziata diciassette anni fa, quando una anomala formazione politica, un inusitato partito-azienda, ottenne uno straordinario successo alle elezioni del 27/28 marzo 1994 ed un affarista che aveva accumulato una enorme ricchezza divenne Presidente del Consiglio. Giuseppe Dossetti avvertì immediatamente il pericolo ed il 15 aprile 1994, con la famosa lettera al Sindaco di Bologna Vitali,  lanciò un allarme invocando una mobilitazione popolare capillare per difendere la Costituzione italiana dal pericolo che si profilava all’orizzonte e che minacciava di travolgerla.
Questo allarme  fu raccolto da migliaia di cittadini che si mobilitarono in tutto il paese, ma rimase del tutto inascoltato fra le forze politiche, ivi comprese quelle che, per storia politica e sensibilità istituzionale, dovevano essere più interessate alla difesa della democrazia costituzionale, che invece fecero orecchie da mercante e continuarono a dilaniarsi per la supremazia o per la leadership, incuranti che la barca affondava.
Sono passati 17 anni durante i quali la Costituzione italiana, nella sua architettura fondamentale, è riuscita a sopravvivere, fortunosamente, ma il cancro del berlusconismo, malgrado importanti battute d’arresto come la sconfitta sul referendum che ha cancellato la controriforma costituzionale del 2005, è cresciuto. E’ divenuto più aggressivo, ha esteso le sue metastasi, avvelenando lo spirito pubblico attraverso un controllo sempre più pervasivo dei mezzi di comunicazione, indebolendo l’imparzialità e l’efficienza della pubblica amministrazione ed avviando lo smantellamento del sistema pubblico dell’istruzione, cancellando la funzione di controllo del Parlamento sul potere esecutivo e riducendo la maggioranza parlamentare, dalla quale sono state espulse tutte le componenti non asservite, ad un bivacco di pretoriani schierati a difesa del Capo politico, come i mercenari africani sono schierati a difesa di Gheddafi.
Le metastasi del berlusconismo insidiano le istituzioni di garanzia (Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale e Autorità giudiziaria), cercano di condizionarle, attraverso campagne sempre più aggressive di intimidazioni e delegittimazione e si preparano ad una sorta di rendimento dei conti finale.
Si è molto parlato nelle ultime settimane della c.d. Riforma epocale della giustizia ed ha fatto scandalo un bizzarro manifesto apparso fra le affissioni del PDL nella campagna elettorale in corso a Milano, in cui si equiparavano alle Brigate rosse i magistrati della Procura di Milano.
E’ a tutti evidente che ci troviamo di fronte ad un crescendo di offensività nei confronti delle istituzioni di garanzia che ancora reggono l’architettura dei poteri disegnata dalla Costituzione, che, ormai, sciolto da ogni vincolo e pudore, mira apertamente a travolgerle per sovvertire l’ordinamento democratico.
L’epicentro di questo conflitto del berlusconismo con le istituzioni democratiche è rappresentato dallo scontro con il sistema che garantisce l’indipendenza della magistratura ed assicura l’imparzialità del controllo di legalità.
Anche questo è un conflitto antico, viene da lontano.
Chi si ricorda oggi che uno dei primi atti del primo governo Berlusconi, nel luglio del 1994, fu il c.d. “decreto salvaladri”? Si trattava di un decreto legge, proposto dal Ministro della Giustizia dell’epoca, Alfredo Biondi,  che introduceva un elenco di reati (in particolare i reati di corruzione e concussione ed altri reati dei colletti bianchi) per i quali veniva proibita la misura della custodia cautelare in carcere (restavano però consentiti gli arresti domiciliari). Il decreto fu approvato dal Consiglio dei Ministri del 12 luglio e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 luglio. Ancor prima che venisse pubblicato in Gazzetta, ci furono delle vivaci reazioni. Il 13 luglio i telegiornali diedero la notizia che i magistrati del pool di mani pulite avevano mandato una lettera al Procuratore Borrelli annunziando le loro dimissioni ed il TG3 mandò in onda Antonio Di Pietro che leggeva la lettera con le motivazioni del loro gesto.
Nel giro di pochissimi giorni si organizzò spontaneamente una mobilitazione (il popolo dei fax) che rovesciò su Palazzo Chigi gli echi di una indignazione di massa. Il Ministro dell’Interno, che anche allora era Maroni, si dissociò dal decreto il giorno dopo (il 15 luglio) ed il giorno successivo (16 luglio) Silvio Berlusconi sconfessò il decreto, giustificandosi in questo modo: “Qualcuno ha voluto insinuare che esso serve a mandare a casa i corrotti di Tangentopoli, a proteggere certe categorie economiche privilegiate. E’ un’ignobile menzogna, una menzogna propagandistica”
Il 21 luglio, dopo solo una settimana dalla sua emanazione il decreto fu cancellato dalla maggioranza parlamentare che lo dichiarò incostituzionale.
Dunque nel 1994 Berlusconi, per non perdere il consenso dell’opinione pubblica, così magicamente conquistato, fu costretto a rimangiarsi la sua prima legge “ad personam” per non incorrere nel sospetto che egli volesse proteggere i corrotti di tangentopoli.
Dopo 17 anni, il timore di apparire un protettore dei corrotti è completamente evaporato, anzi viene rivendicata l’impunità per il ceto politico senza più alcun pudore. Nella conferenza stampa di presentazione della riforma epocale, il 10 marzo del 2011, Berlusconi ha detto che se fosse stato in vigore questo nuovo ordinamento della giustizia non ci sarebbe stata: “l’esondazione, l’invasione della magistratura nella politica e quelle situazioni che hanno portato nel corso della storia degli ultimi venti anni a cambiamenti di governo, a un annullamento della classe dirigente nel ’93″. Ed il 16 aprile durante un comizio alla Convention del Pdl, Berlusconi dopo aver lanciato uno degli attacchi più virulenti alla magistratura, promettendo di istituire una commissione d’inchiesta “per accertare se c’è una associazione a delinquere dei magistrati”, ha reso gli onori a Craxi, cioè all’uomo simbolo di tangentopoli, qualificandolo un “martire”, vittima della persecuzione dei magistrati comunisti.
Se si raffrontano questi due episodi, il decreto salvaladri, con tutto quel che ne è seguito nel 1994 e “la riforma epocale” con l’orgogliosa rivendicazione dell’eredità di Tangentopoli, vediamo che Berlusconi non è cambiato. E’ rimasto sempre lo stesso, perchè già nel 1994 c’erano le premesse di un  potere sottratto al controllo di legalità, solo che adesso questo potere viene apertamente rivendicato, senza vergogna alcuna, squarciando  ogni velo di ipocrisia.
Se lo può fare è perchè in questi 17 anni le istituzioni democratiche sono state svuotate dall’interno, l’opinione pubblica è stata sempre più corrotta, e si è affermata una costituzione materiale fatta dall’accumulo di leggi, provvedimenti e prassi amministrative contrarie alla Costituzione, che hanno disegnato un nuovo ordinamento sommerso (potremmo definirla la Costituzione di Arcore) che adesso si prepara ad emergere, rovesciando il banco.
Il punto di massima crisi è rappresentato proprio dalla crisi della legge che ha cambiato natura,  mediante un percorso che  attraverso le c.d. leggi “ad personam” è  pervenuto alla corruzione della funzione della legge. La funzione della legge, come strumento di regolazione degli interessi per perseguire il bene pubblico, è stata rinnegata da una politica che trasforma in legge gli interessi privati di una singola persona o di un ristrettissimo ceto di privilegiati, fino al punto da cancellare l’idea stessa che i pubblici poteri traggano la loro ragione di essere in funzione del bene pubblico.
Secondo quelli che portano la contabilità, in questi 17 anni si sono accumulate 36 leggi ad personam + 11 abortite o approvate solo da un ramo del Parlamento.
Per quanto nella comunicazione pubblica si è affermato il concetto di leggi “ad personam” per cui non se ne può fare a meno, tuttavia, è opportuno rilevare che queste leggi, escludendo quelle di immunità personale per Silvio Berlusconi, come il lodo Schifani (L. 140/2003), il Lodo Alfano (L.  124/2008) ed il legittimo impedimento (L. 51/2010) – giustamente affossate dalla Corte Costituzionale -  (dalla riforma del diritto societario (L. 3/10/2001 n. 366) alla legge sulla semplificazione delle rogatorie (L. 5/10/2001 n. 367), alla legge sulla remissione dei processi per legittimo sospetto (L.7/11/2002 n. 248),  alla legge ex Cirielli sulla prescrizione breve per gli incensurati (L. 5/12/2005 n. 251), alla legge sul falso in bilancio (L. 28/12/2005 n. 262), alle legge Pecorella che vietava l’appello del P.M. (L. 20/2/2006 n. 46), alle leggi, ancora in gestazione in questa legislatura sulle intercettazioni (sul processo breve, sulla riforma del processo penale, e per finire, sulla responsabilità civile dei magistrati), in senso tecnico-giuridico non sono  “ad personam” perchè hanno i caratteri dell’astrattezza e della generalità propri di ogni provvedimento legislativo ed i loro effetti si ripercuotono sulla generalità dei cittadini.
Quindi, in un certo senso, Silvio Berlusconi ha ragione quando afferma che si tratta di leggi che corrispondono ad interessi generali dei cittadini, nei quali il suo interesse particolare viene a coincidere.
Questo non vuol dire che la situazione sia meno grave: al contrario, significa che queste leggi hanno un impianto  sovversivo proprio perchè non garantiscono soltanto immunità e privilegi  processuali all’imputato Berlusconi, ma ad una comunità indifferenziata di persone. Non sono quindi leggi ad personam, ma sono leggi ad mafiam perchè favoriscono la criminalità soprattutto, ma non solo, quella dei colletti bianchi ed impediscono l’azione di contrasto alla criminalità della polizia e della magistratura,  specialmente se verranno approvate la legge sulle intercettazioni, il c.d. “processo breve” e la riforma del processo penale nella quale è stata inserita una speciale norma allunga-processi.
Questo coacervo di disposizioni tendono a sgretolare la legalità, creando delle sacche di privilegio ed impunità, inserendosi in un sistema a ferro di cavallo i cui due estremi sono un diritto penale (e processuale) del nemico ed un diritto penale (e processuale) dell’amico.
Il diritto penale del nemico esprime la tendenza a colpire le fasce sociali più deboli, immigrati, tossicodipendenti, Rom, senza casa, indicati come “nemici pubblici” ai quali riservare un trattamento penale differenziato e di particolare disfavore, che si spinge fino al punto di creare un vero e proprio diritto penale per tipo d’autore.
Sull’altro versante del ferro di cavallo si colloca una disciplina di favore per i privilegiati che, iniziata sotto tono, si sta avviando verso traguardi di impunità che, qualche anno fa, non avremmo neppure potuto immaginare, in quanto si tratta di fenomeni che non si sono mai verificati negli ordinamenti di democrazia “occidentale”.
Uno degli esempi più chiari di questo sistema penale double face è rappresentato dalla riforma della prescrizione introdotta con la legge ex Cirielli (L. 5/12/2005 n. 251).
All’epoca taluni protestarono, indicandola come l’ennesima legge ad personam per favorire i soliti noti. Indubbiamente tali critiche coglievano una parte della verità e l’esito del processo Mills e di centinaia di altri processi per corruzione, concussione e reati dei colletti bianchi dimostra che la riduzione dei termini di prescrizione ha ridotto l’area della punibilità, rendendo più facile per i ceti privilegiati sfuggire alle maglie della repressione penale.
Però l’altro lato della verità, rimasto oscuro, è l’ampliamento dell’area della punibilità per quelle forme di criminalità che sono direttamente collegate a situazioni di emarginazione o di degrado sociale. Il pubblico ufficiale condannato per concussione, difficilmente può trovarsi nella  condizione di recidiva specifica reiterata infraquinquennale. Tale condizione, invece, non è infrequente per quelle fasce di popolazione nelle quali la devianza criminale è collegata ad una particolare condizione di vita, come per es. la tossicodipendenza.
Quindi uno stesso fatto può rimanere punibile per un periodo di tempo molto più lungo, a seconda del tipo di autore.
La legge ex-Cirielli ha introdotto una disciplina in cui i limiti temporali per la punibilità non sono dipendenti dalla obiettiva gravità del reato, ma sono costruiti sul tipo di autore. Un fatto commesso da una persona “perbene” è meno grave (e meno punibile) dello stesso fatto commesso da una persona “per male” che, nella generalità dei casi è un emarginato. E’ appena il caso di precisare che nel codice Rocco, cioè nel codice penale del fascismo, la teoria del diritto penale per tipo di autore non aveva trovato cittadinanza.
Ed adesso con l’emendamento Paniz alla legge sul processo breve, questa tendenza è stata rafforzata, è stata ulteriormente diminuita l’interruzione della prescrizione per i soggetti incensurati, allargando ulteriormente la forbice della disuguaglianza del trattamento penale.
Il contrasto alla devianza criminale, che costituisce l’oggetto del diritto penale, è stato costruito come contrasto all’emarginazione sociale, cioè come criminalizzazione dell’emarginazione sia attraverso un’ipertrofia della sanzione penale, sia attraverso sanzioni modellate sul tipo di autore.
La popolazione degli immigrati rappresenta il bersaglio principale (ma non l’unico) nei confronti del quale si sperimentano le forme più gravi e discriminatorie di questa politica del diritto penale del nemico. Una delle disposizioni più fortemente criminogene è quella che colpisce lo straniero che trasgredisca l’ordine di espulsione. Questo reato è nato nel 1998 come contravvenzione, punita con la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno ed è diventato delitto nel 2004 (D.L. 14 settembre 2004 n. 241, convertito con modificazioni nella L. 12/11/2004 n. 271), punito con la reclusione da 1 a 4 anni, che diventano 5 per chi abbia fatto reingresso dopo l’espulsione.
In questo modo è stato inventato un reato artificiale, che può essere commesso soltanto da un determinato tipo d’autore, che viene punito , e per giunta con una pena molto più grave di quella prevista per il falso in bilancio o le false comunicazioni sociali (art. 2621 e 2622 c.c. come sostituiti dalla L. 28/12/2005 n. 262), sebbene questi reati tipici dei colletti bianchi, possano causare danni patrimoniali enormi ai risparmiatori, come ben sanno tutti quelli che hanno comprato le azioni Parmalat.
Per far le dovute proporzioni, basti considerare che il fascismo, con le leggi razziali, aveva inventato un reato analogo, previsto dal Regio Decreto legge n. 1381 del 7 settembre 1938, che puniva l’ebreo straniero inottemperante all’obbligo di lasciare il territorio italiano, (mediante richiamo all’art. 150 del TULPS) con l’arresto da tre a sei mesi.
Proprio ieri (il 28 aprile) la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha bocciato questo famigerato reato, stabilendo che i giudici italiani devono disapplicarlo perchè in contrasto con la Direttiva rimpatri, una Direttiva che, a suo tempo, fu fortemente contestata e definita “Direttiva della vergogna”. Ciononostante la legge italiana deve essere disapplicata perchè fa vergogna alla direttiva della vergogna.
E’ questo il panorama nel quale si sta sviluppando l’attacco finale all’indipendenza della giurisdizione, portato avanti dalla c.d. Riforma epocale. Come ha osservato Rodotà, costruito un muro di parlamentari schierati a difesa della sua persona, Berlusconi è passato alla fase due, che possiamo leggittimamente chiamare di “decostituzionalizzazione”.
“La riforma della giustizia, – scrive Rodotà -  vuole in primo luogo rendere disponibile per i voleri della maggioranza l´intero sistema giudiziario. Questo non avviene soltanto attraverso una crescita complessiva del peso della politica in snodi fondamentali. Il punto chiave della riforma è rappresentato dal fatto che materie oggi affidate ad una diretta garanzia costituzionale vengono trasferite alla legislazione ordinaria. Due esempi. Nell´attuale articolo 112 della Costituzione si stabilisce che: «Il pubblico ministero ha l´obbligo di esercitare l´azione penale». La riforma proposta dal Governo aggiunge le parole «secondo i criteri stabiliti dalla legge»: sarà dunque la maggioranza del momento a stabilire in quali casi il pubblico ministero può indagare. Nell´attuale articolo 109 si stabilisce che «l´autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria». La riforma proposta dal Governo prevede che «il giudice e il pubblico ministero dispongono della polizia giudiziaria secondo le modalità stabilite dalla legge»: sarà dunque la maggioranza del momento a determinare le informazioni di cui i magistrati potranno disporre. Il mutamento è radicale, la decostituzionalizzazione è compiuta. Ciò che la Costituzione aveva voluto sottrarre alla possibile prepotenza delle maggioranze, per garantire l´autonomia della magistratura, dovrebbe essere assoggettato proprio a questa ipoteca”
Questo processo di scardinamento dell’indipendenza della funzione giudiziaria prefigurato nella riforma costituzionale viene anticipato attraverso norme di legge inserite qua e là. Una delle più insidiose e costituita dall’emendamento Pini alla legge comunitaria, il cui scopo è quello di aggredire l’indipendenza del giudiziario, attraverso l’introduzione di una forma di responsabilità civile che interferisce nella libertà di decisione del giudice, condizionandola pesantemente. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, organo che deve vigilare sull’attuazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, fra i quali rientra il giusto processo, ha proprio recentemente (il 17 novembre 2010) varato una raccomandazione agli Stati membri in cui  prevede che: “L’interpretazione della legge, l’apprezzamento dei fatti o la valutazione delle prove effettuate dai giudici per deliberare su affari giudiziari non deve fondare responsabilità disciplinare o civile, tranne che nei casi di dolo e colpa grave”.
L’emendamento Pini provvede a dare attuazione a questo principio rovesciandolo nel suo contrario. Infatti prevede di sopprimere una norma della legge sulla responsabilità civile dei giudici (L. 13/4/1988 n. 317) che garantisce la libertà del procedimento di interpretazione delle legge, statuendo che: “nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove”.
Questa disposizione (l’emendamento Pini) penetra nei  meccanismi interiori più delicati dell’attività giurisdizionale ed interferisce con la libertà della formazione del giudizio, vale a dire con la libertà di coscienza del magistrato e quindi incide pesantemente sull’imparzialità. L’imparzialità del giudice postula come suo corollario essenziale l’indifferenza al risultato dell’attività giurisdizionale, nel senso che la decisione deve essere assunta sine spe ac metu. Nel momento in cui il giudice può essere aggredito, naturalmente dalla parte più forte o più prepotente,sui risultati dell’interpretazione del diritto o della valutazione delle prove, si crea un meccanismo di condizionamento che incide sull’imparzialità. Del resto l’imparzialità dell’esercizio dell’attività giurisdizionale è una delle ossessioni che maggiormente  agitano Silvio Berlusconi.
Quando Berlusconi, dimenticandosi che l’aveva già fatto Sindona prima di lui, si presenta come vittima di una giustizia persecutoria attuata da giudici e PM comunisti, suoi nemici politici, che vogliono toglierlo di mezzo politicamente attraverso l’uso strumentale della funzione giudiziaria, non si tratta soltanto di una menzogna che vilipende le istituzioni ed intimidisce i magistrati. Dietro questa menzogna si intravede una verità. La verità è la concezione della giustizia in testa a Silvio Berlusconi. In altre parole attribuisce ad altri ciò che egli effettivamente pensa della funzione giurisdizionale. Una funzione che deve essere controllata dal Sovrano, non solo per assicurare l’impunità a sé stesso ed alla sua Corte, ma anche per utilizzarla per perseguitare i propri nemici politici. Noi abbiamo avuto degli esempi di questa concezione della giustizia (di cui non è stato compreso il significato allarmante), attraverso la vicenda delle Commissioni parlamentari d’inchiesta sul caso Telecom Serbia e sul caso Mitrokhin. Ci siamo dimenticati che la giustizia politica manovrata da Silvio Berlusconi voleva trasformare Prodi in un agente del KGB? Ci siamo dimenticati che i fatti di Genova del 2001 non si sono ripetuti più perchè c’è stata una reazione dell’Autorità giudiziaria che ha fatto franare il castello di false prove costruite contro i dimostranti ed ha chiamato i responsabili all’interno delle forze dell’ordine a rispondere delle violenze commesse?
Nella scena finale del film il Caimano si vede la folla che attacca i Tribunali. Adesso ci troviamo in una situazione in cui la realtà si è molto avvicinata alla fiction, però quel finale può ancora essere cambiato, può essere scritto un altro finale.
Ma ci è rimasto poco tempo.

giovedì 5 maggio 2011

UNA VITA DA PRECARIO

Per entrare nel mondo del lavoro ci sono tre strade. La prima è quella standard: cercare un posto da dipendente, sempre più raro. La seconda, mettersi in proprio creando un business e trasformandosi in imprenditori, malgrado il sistema bancario non offra facilmente credito ai giovani senza la garanzia degli indispensabili, onnipresenti genitori. La terza è inserirsi nel mercato come “freelance”, offrendo le proprie competenze a chi ne abbia bisogno e sia disposto a pagarle. Per chi sceglie, o viene costretto a scegliere, quest’ultima strada – un elenco sterminato ed eterogeneo: dagli avvocati ai commercialisti , dai consulenti ai promotori, dagli architetti ai geometri, e poi ancora psicologi, musicisti, pubblicitari, traduttori, giornalisti… – si apre un futuro di autonomia, senza l’obbligo di timbrare il cartellino o di concordare le ferie, ma soprattutto di rischio, perchè il guadagno di ogni mese dipenderà da quanto i propri servizi saranno richiesti, quanto puntuali i pagamenti, quanto fedeli i clienti.
UN FUTURO oggi caratterizzato da grande incertezza e dal pericolo che il lavoro autonomo diventi uno altro bacino di precari: come conferma la ricerca “Professionisti: a quali condizioni?”, appena svolta dall’Ires – l’Istituto ricerche economiche e sociali – su un campione di quasi 4 mila persone.
Tra gli autonomi i ricercatori dell’Ires individuano tre sottoinsiemi: quelli a rischio di precarietà, i liberi professionisti con scarse tutele e quelli affermati. Peccato che nell’ultima fascia finisca solamente il 20 per cento degli intervistati, con una spiccata quanto ovvia prevalenza di maschi over 45, lasciando il restante 80 per cento in una situazione quantomeno difficile. Si legge nella premessa, curata dal responsabile professioni della Cgil Davide Imola, che in Italia esistono quasi 9 milioni di partite Iva, di cui 6 milioni e mezzo attive. Ogni anno se ne aprono 200 mila, e secondo l’Isfol quelle false, che mascherano cioè un lavoro subordinato, sono ben 400 mila. Le partite Iva rappresentano oltre due terzi del campione: la ricerca ne è quasi una radiografia, da cui emerge che nella maggior parte dei casi si è autonomi per forza o per esplicita richiesta del datore di lavoro. I freelance per scelta sono infatti meno della metà. Lavorano più dei subordinati, quasi nove ore al giorno, sono più sotto pressione e guadagnano troppo poco: uno su quattro porta a casa meno di 10mila euro all’anno.
LE PROSPETTIVE retributive si fanno via via più cupe a seconda del settore – i professionisti della cultura e dello spettacolo sono quelli messi peggio – e la soglia dei 30 mila euro, che significa almeno 2.500 euro al mese, viene superata solo dal 17,2 per cento dei professionisti. A questo si aggiunge una disparità nella relazione con i committenti: spesso la contrattazione non esiste, e o si accettano le condizioni proposte o si resta senza lavoro.
Altro punto dolente, il tempo incredibilmente lungo che si impiega per cominciare: si arriva alla professione a 28 anni e mezzo, dopo ben quattro anni di gavetta costellati di “fasi di studio, disoccupazione, praticantato, tirocini e stage”. E prima di riuscire a ottenere un compenso si lavora gratis in media quasi un anno: la gerontocrazia comincia proprio qui, quando centinaia di migliaia di giovani lavorano senza potersi però rendere indipendenti e autonomi.
Insomma in Italia la terza strada è accidentata da un canale d’ingresso troppo lungo e pieno di insidie, prospettive di guadagno deprimenti, costante necessità di essere aiutati dai genitori (oltre la metà degli intervistati ammette di ricevere aiuti), preoccupazione per un futuro previdenziale dai contorni fumosi (per uno su sette non è addirittura versato alcun contributo pensionistico), e un’altissima probabilità che il “professionista autonomo” lo sia per scelta di qualcun altro e non sua.
C’è dunque urgenza di un’azione forte non soltanto rispetto alla definizione di standard retributivi (i giornalisti sono in testa nel richiederli, e a ragione: alcune testate pagano vergognosamente meno di dieci euro per articolo) ma anche rispetto all’accesso, al welfare e alla pressione fiscale. Un’altra grande sfida che sindacati, ordini professionali e associazioni di categoria non possono più esitare a raccogliere.

giovedì 21 aprile 2011

REMIGIO CERONI E LA REPUBBLICA DEL "TELEVOTO"

Una ne fanno e cento ne pensano, l’ultima trovata è la modifica dell’art. 1 della costituzione.

Ex democristiano ha fatto una carriera fulminante prima in forza Italia e poi nel pdl della quale non si è accorto nessuno, tranne i familiari .E’ una proposta a titolo personale, ha risposto a domanda sull’origine della sua proposta.

Ovvio che una cavolata del genere gli garantirà un invito a cena appena l’azienda pdl si riunirà da qualche parte con presenti anche i deputati e non solo i ministri, ci tiene a mettersi in mostra.
Se c’è un partito che se ne frega della centralità del parlamento è il Pdl, con una maggioranza bulgara ha imposto più voti di fiducia negli ultimi tre anni che nel decennio passato.
Non possono nemmeno aprire bocca, decide tutto il caudillo ed al massimo fa ringhiare Gasparri o La Russa, gli eletti del partito della libertà servono solo a pigiare il tasto del voto quando c’è da parare il culo del capo dai suoi processi.
Vuole cambiare l’art. 1 della Costituzione che attualmente recita: “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione”.
Il carneade in questione lo vuole modificare così:

“l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro e sulla centralità del parlamento quale titolare supremo della rappresentanza politica della volontà popolare espressa mediante procedimento elettorale”.

Intanto lo ringrazio, ha lasciato fondata sul lavoro e spero che non venga a saperlo Brunetta altrimenti lo sgrida.
Poi, bontà sua, ha lasciato: volontà popolare espressa mediante procedimento elettorale.
Per un attimo ho pensato che volesse il televoto e gli sms.
Questo perchè quei cattivoni della Corte Costituzionale in combutta con Napolitano bloccano tutte le leggi che farebbero comodo al Papi-Premier.
Che gli abbia promesso un servizietto da qualcuna delle sue ragazze? E’ laureato in sociologia ed insegnante alle medie, poi dicono che i nostri ragazzi crescono ignoranti.
Pare, che quando pigia il tasto, abbia l’insegnante di sostegno.

giovedì 7 aprile 2011

IL RE "SILVIO" E' NUDO

A leggere le intercettazioni delle telefonate di Berlusconi uno si fa un’idea precisa di come non deve comportarsi un premier. Non me ne frega niente delle questioni procedurali e degli errori che hanno portato alla pubblicazione di quelle telefonate. Per quanto mi riguarda è un bene che le conversazioni private tra Berlusconi e queste "signorine" o la Minetti siano di dominio pubblico. A un presidente del Consiglio, infatti, non si può perdonare l’incoscienza poiché la sua sobrietà e la sua serenità di pensiero hanno immediato riverbero sulle sorti di un intero Paese.
E’ giusto quindi che si sappia che il piccolo duce di Arcore investe gran parte del suo tempo con ragazzotte senza né arte né parte, che parlano come coatte, fanno lo slalom tra i guai giudiziari, lo prendono per il culo chiamandolo tutte “amore”, e inevitabilmente puntano al suo portafogli. Un premier settantacinquenne ormai non può consentirsi una simile ubriacatura di giovanilismo. E’ la sua credibilità ad essere minata, senza tenere conto delle investiture sul campo che tanto scandalo hanno provocato nel mondo.
Se il nostro capo dell’esecutivo fosse una persona qualunque (magari un amico) i nostri genitori, fratelli, parenti in genere ci diffiderebbero dal frequentarlo. C’è una verità incontrovertibile che va oltre i processi, le sedute parlamentari, le trame politiche e le strategie massmediatiche:  per linguaggio, indole, etica e frequentazioni Silvio Berlusconi è un tipo impresentabile.

giovedì 24 marzo 2011

ENNESIMA LEGGE AD PERSONAM!!

La guerra e il “dolore” di Berlusconi sulla sorte dell’amico Gheddafi non distolgono il resto del governo dal guardare alla soluzione dei problemi del premier. La commissione Giustizia della Camera approva la prescrizione più corta per gli incensurati all’interno del provvedimento sul processo breve, che andrà in aula lunedì prossimo. Risultato: secondo i calcoli il processo per la corruzione giudiziaria dell’avvocato inglese David Mills, che oggi andrebbe in prescrizione nel febbraio 2012, si prescriverà, invece, il prossimo maggio.  Insomma, se il 28 marzo la Camera approverà voterà la nuova legge a Milano ci sarà il tempo per un’unica udienza.

Un bel sollievo per il premier che, dopo aver visto riconosciuto in Cassazione la responsabilità di Mills come corrotto, temeva di essere condannato quantomeno in primo grado. Ma questo non è l’unico colpo che la maggioranza sta per mettere a segno. Le grandi manovre proseguono anche sul nucleare. Domani, infatti, il Consiglio dei ministri si troverà sul tavolo un decreto legislativo bollente: il via alla localizzazione dei siti su cui costruire le future centrali nucleari italiane.

Si tratta di un provvedimento dove sono elencati una serie di siti, più di uno per Regione, dove un’apposita commissione del ministero dello Sviluppo economico ha dato il proprio parere positivo per la costruzione di nuove centrali. L’elenco, secondo la legge, dovrebbe essere discusso con le Regioni, ma si tratta comunque di un parere consultivo. Di fatto, una volta approvato, il decreto rappresenterebbe il primo passo concreto verso la costruzione di nuove centrali in Italia, ma le polemiche dei giorni scorsi e soprattutto dei sondaggi devastanti (l’89% degli italiani preferisce le energie rinnovabili e voterebbe a favore del referendum) starebbero inducendo Silvio Berlusconi ad un passo indietro, una moratoria di un anno per aprire una “riflessione” più ampia sulle scelte da fare. E prendere tempo anche per abbassare l’attenzione sul tema in vista del referendum di giugno. “Delle due l’una”, dice Antonio Di Pietro. “O il governo cancella la norma che consente la costruzione di centrali nucleari sul territorio italiano o la mantiene. Ma la moratoria di un anno è un chiaro raggiro che serve a scavallare la data del referendum”, aggiunge. “Insomma, l’unico vero scopo del governo è quello di fermare il temuto verdetto dei cittadini”.

La moratoria sul nucleare, in verità, serve al governo per prendere tempo anche su un altro fronte. Un problema di politica economica e di accordo internazionali. Di mezzo ci sono sempre i francesi, con cui nelle ultime ore i rapporti si sono fatti più tesi per via delle continue prese di distanza anche dello stesso Cavaliere sulla campagna di Libia. La moratoria, in sostanza, serve anche a raffreddare (ma non a chiudere) quegli accordi siglati dall’Eni (ma non solo) per la fornitura di energia elettrica a prezzi di favore in cambio di una futura utilizzazione della tecnologia d’oltralpe nella costruzione delle centrali nucleari italiane.

Al Governo la cautela, in queste ore, sembra comunque la parola d’ordine. Soprattutto dopo che dalla commissione Affari costituzionali del Senato è arrivato un segnale politico inequivocabile su quanto il tema del nucleare sarebbe devastante per la coesione della stessa maggioranza. Ieri pomeriggio, infatti, la commissione non ha espresso il proprio parere sul decreto legislativo sulla localizzazione dei siti, come richiesto dalla commissione Industria, e la votazione finale sul parere positivo del relatore del Pdl è finita 9 a 9, dunque è stata respinta. Un voto che ha convinto il ministro Paolo Romani a dare per scontata la scelta per la moratoria in Consiglio dei ministri di domani mattina, perché i sondaggi (e il voto ballerino di alcuni parlamentari di maggioranza) spaventano molto di più di quanto avvenuto in Giappone.

Nessuna “moratoria” invece, come abbiamo visto, sul fronte della giustizia “ad personam”. I processi avanzano, le aule di tribunali reclamano la presenza di Berlusconi e si avvicina il sei aprile, quando a Milano inizierà il processo al premier per concussione e prostituzione minorile in relazione al caso Ruby. Tra escort, modelle, “bambole” di via Olgettina e varia umanità finita nelle carte, sfilerà davanti ai giudici il Presidente del Consiglio. O almeno dovrebbe. Ma nella norma sul processo breve, oggi discussa in commissione, avanza la prescrizione “ad hoc”. Per quanto rivista e corretta dalla maggioranza, ha ancora quel “trucco modesto”, come lo definiscePierluigi Mantini dell’Udc, di “un favore” al premier. La norma contiene una distinzione “irragionevole” si tratta di un piccolo, preciso, chirurgico, beneficio per “un processo del presidente del Consiglio”: riconosce dei privilegi agli incensurati, ai signori con più di 65 anni. Non solo, ma le disposizioni non si applicano ai procedimenti per cui è stata già pronunciata sentenza di primo grado. Insomma, per dirla con Di Pietro, “basta tirarla alla lunga per non farsi processare”.

Il processo Mills, che vede coinvolto Berlusconi, secondo i calcoli della maggioranza finirebbe in prescrizione. Per un calcolo semplicissimo: attualmente la massima durata è pari alla pena massima prevista per il reato e viene aumentato di un quarto per effetto delle interruzioni. Per il reato di corruzione in atti giudiziari la prescrizione è fissata in dieci anni: la pena massima è infatti di otto anni. Il relatore dell’emendamento, Maurizio Paniz, sostiene che la norma non possa essere applicata ai processi già in corso, ma Luigi Li Gotti della commissione giustizia in Senato spiega che in realtà “chi dice una cosa del genere è quanto meno un ignorante visto che la prescrizione è una norma cosiddetta sostanziale di diritto penale e non di procedura. E quindi, per regola generale codicistica, all’imputato si applica sempre, nella successione di legge nel tempo, quella più favorevole. E dato che non è credibile che si tratti di ignoranza, questa non può che essere malafede”. Solo di qualche deputato della maggioranza che agisce sicuramente a insaputa del premier. Il cinque marzo scorso Berlusconi aveva garantito: “La prescrizione breve sarà ritirata”. Oggi intanto è stata approvata in commissione.