martedì 31 marzo 2015

Dalle province maxi tagli ai fondi per la scuole

Dopo i tagli del governo Monti e la riforma Delrio le Provincie non sono più in grado di assolvere i loro compiti: per esempio, uno fondamentale come il funzionamento degli istituti superiori.
In diversi casi per pagare le bollette degli istituti i presidi hanno già dovuto utilizzare contributi proveniente dalle famiglie degli studenti, che si trovano in questo modo a dover pagare due volte: con le tasse e poi direttamente alla scuole per poter coprire le utenze. Il fenomeno è distribuito sul territorio nazionale sia a Nord che a Sud, per ora, a macchia di leopardo: nel 2014 è successo, per esempio, a Verona, Venezia, Biella, Savona e Taranto.
E nel 2015, con l’entrata in vigore dei nuovi risparmi stabiliti dalla manovra, quello dei fondi potrebbe diventare una vera e propria emergenza su scala nazionale.
Dal 1996 gli istituti secondari sono di competenza delle Province, quindi nel loro bilancio rientrano le spese di manutenzione e le spese per il funzionamento ordinario, ciò che serve per mandare avanti una scuola: bollette, internet, cancelleria e segreteria e via dicendo. Tuttavia negli ultimi anni i sempre maggiori tagli hanno ridotto i fondi disponibili per le scuole. I tagli sono stati 444 milioni nel 2014, 576 milioni nel 2015. E nell’ultima legge di stabilità il governo rincara la dose: un altro miliardo di tagli nel 2015, poi due nel 2016 e tre nel 2017. Tuttavia la legge targata Graziano Delrio riafferma tra le funzioni fondamentali delle Province il mantenimento degli istituti superiori.
È evidente che la morsa a tenaglia mossa dal governo stia producendo una situazione che prima di tutto va a gravare sugli studenti e sulle loro famiglie, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista della qualità del servizio offerto. Infatti, oltre a richiedere di pagare di tasca propria le spese per il mantenimento ordinario delle scuole, da anni vengono impiegati i fondi che dovrebbero servire a migliorare il servizio offerto agli studenti.
Anche in questo caso le manovre del governo Renzi non fanno gli interessi di giovani, studenti e famiglie

lunedì 30 marzo 2015

La “grande truffa” delle offerte di lavoro per profili “con esperienza”

Avete mai cercato lavoro? Sicuramente sì, e vi sarà sicuramente capitato di imbattervi solo ed esclusivamente in offerte rivolte a profili con “almeno un anno di esperienza nel settore”. In un Paese dove la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è fuori controllo, trattasi a nostro giudizio di presa in giro bella e buona. Eppure secondo il governo la “ripresa” è arrivata…
Basta aprire un sito web a caso di quelli per cercare lavoro, ce ne sono a decine, per farsi un’idea di come sia “ripartita” l’economia italiana. Con il ‪Job Act il governo pensava di aver risolto il problema della disoccupazione e infatti tutti i giornali sono arrivati a soccorso di Renzi parlando di “ripresa” e di migliaia di nuove assunzioni. Chi cerca lavoro però si sente anche un pò preso in giro dal momento che il lavoro, quello vero, ha lasciato da tempo questo Paese. L’unico modo per trovare lavoro, e vorremmo davvero che si trattasse di retorica, è quello di conoscere qualcuno in grado di raccomandarvi a questo o a quello, per il resto si può solo sperare nel caso, un pò come andare alla Snai e pregare che entrino le bollette. Ma non vogliamo limitarci a un generico pamphlet di quanto sia duro essere disoccupati o precari, no, vorremmo andare nel dettaglio e vi invitiamo a verificare. Basta andare in un portale a caso di quelli che si utilizzano per cercare lavoro, iscriversi, e iniziare una bella ricerca di offerte di lavoro nella propria area geografica di pertinenza. Troverete subito una lunga fila di offerte di lavoro al punto che una persona superficiale avrebbe buon gioco a dire: “Eh poi dicono che non c’è lavoro” (ovviamente costoro hanno spesso un lavoro a tempo indeterminato che permette di pontificare). Guardando bene però ci si accorge che è tutta apparenza: una lunga fila di offerte per venditori, promoters, dialogatori, agenti junior e senior, marketing aggressivo e quant’altro, ovviamente quasi tutti lavori a provvigione che cercano gente disposta a lavorare subito senza nemmeno sapere bene quanto e quando riceverà lo stipendio. E fin qui niente di nuovo, non fosse che anche i fantomatici posti nei call centre sembrano diventati sempre di meno e sempre più orientati alla vendita aggressiva (quante volte venite chiamati al giorno per valutare fantomatiche offerte cui non potete rinunciare?). Fin qui niente di nuovo infatti e anzi, per qualcuno che vuole lavorare a tutti i costi è sempre meglio di nulla, in fin dei conti per posti come questi non c’è spesso nemmeno bisogno di selezione, basta la volontà di mettersi in gioco. Ma un laureato, magari specialistico, avrebbe anche l’ambizione di trovare un impiego non solo part-time che gli potrebbe consentire magari di andarsene dalla casa natale e di abbandonare i genitori per cominciare una vita autonoma. E qui cominciano i dolori. Sfogliando i siti di ricerca di lavoro infatti a parte i succitati impieghi di vendita o a provvigione ci sono solamente posizioni specifiche che cercano personale qualificato con almeno un anno di esperienza. E ci si accorge che quini in effetti il lavoro esiste, ma è per pochi. Così i Gdo cercano cassieri, pescivendoli, addetti gastronomia, commessi e quant’altro ma solo, tassativamente, con almeno due o tre anni di esperienza! Insomma sembra quasi che in Italia il lavoro esista solo per chi lo ha già conosciuto, coloro che cercano di entrare nel mondo del lavoro, a venti come a trent’anni, vengono bellamente ignorati. La laurea diventa in questo senso quasi un ostacolo, quasi un timbro di “nullafacenza” in questo Paese dove ormai la cultura è diventata un disvalore. Come faccia un ragazzo a venticinque anni a essere laureato specialistico, magari con 110, e ad avere tre anni di esperienza come tornitore o come pescivendolo rimane un mistero, ma nessuno in nessun partito si occupa di loro, forse perchè avendo una elevata preparazione culturale rappresentano una manodopera meno malleabile e che difficilmente bacerà le mani dell’imprenditore in cambio di un tozzo di pane. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che per fare certi lavori è necessaria l’esperienza e che di certo non si può imparare il mestiere sul campo, eppure vengono richiesti dai 2 ai 3 anni di esperienza anche per rispondere al telefono, per fare il commesso in un negozio, per insegnare inglese o francese. E’ come se lo Stato, lasciando che le cose vadano come vanno, sia lui per primo quello che sbertuccia e non rispetta i titoli di studio dei suoi cittadini, è come se al posto che fare qualcosa per abilitare i cittadini laureati al lavoro faccia di tutto per creare le condizioni a metterli ai margini della società. Insomma, sarebbe davvero utopia pensare a una nuova sinistra in grado di farsi portavoce di questi che sono i reali problemi dei giovani? Sarebbe utopia proporre un decreto, una legge, o qualsiasi cosa che permetta ai giovani e ai meno giovani di entrare nel mondo del lavoro in modo da acquisire esperienza piuttosto che acquisire esperienza prima di ottenere un lavoro? I corsi di formazione, ormai è chiaro, non funzionano o funzionano per una % di persone talmente bassa da non incidere. Ad esempio si potrebbe obbligare i datori di lavoro, dal momento che la tendenza è pagare il meno possibile la forza lavoro, almeno a qualificarla e formarla in fieri, e invece nemmeno quello perchè in Italia chi scontenta gli imprenditori, si sa, non prende voti..

domenica 29 marzo 2015

IL TUO DENARO, LA TUA VITA

Non è mai accaduto niente di simile nella Storia del Mondo. Sotto gli occhi di tutti, e a spese di tutti, i governi continuano a razziare ingenti ricchezze per arricchire i responsabili dei più efferati crimini e nefandezze economico-finanziarie.
Prima c’era la TARP. Come pretesto per arginare le turbolenze nel mercato azionario dopo il collasso di Lehman Brothers nel settembre 2008, il presidente George W. Bush approvò solo un mese dopo il Troubled Asset Relief Program
Il piano permise al Tesoro degli Stati Uniti di assicurare $ 700 miliardi di dollari di "beni in difficoltà," un eufemismo che in realtà significa coprire le nefandezze finanziarie commesse dalle grandi banche e dai grandi speculatori di Wall Street.
Poco dopo, il neo-eletto presidente Barack Obama appioppò alla sua nazione nel 2009 il Recovery and Reinvestment Act, un piano da $ 900.000.000.000, il più vasto programma finanziario del genere nell’intera storia americana. Obama dichiarò: "Quattrocentomila uomini e donne stanno per mettersi al lavoro per la ricostruzione delle nostre strade e dei nostri ponti fatiscenti, per la riparazione delle nostre dighe e i nostri argini instabili, per portare la banda larga alle imprese e alle famiglie in quasi tutte le comunità degli Stati Uniti d’America, per ammodernare i nostri sistemi di trasporto di massa e per la costruzione di linee ferroviarie ad alta velocità in grado di migliorare gli spostamenti e il commercio in tutta la nostra nazione. "
Le uniche ‘strade’ che quel trilione di dollari ha riparato veramente sono quelle di Wall Street. Allo stesso tempo, la Federal Reserve statunitense ha portato i tassi di interesse ai minimi storici e ha lanciato politiche di allentamento monetario senza precedenti, che hanno alimentato un boom di Wall Street al costo di Main Street. Il Dow è salito da 8.000 nel 2009 a 18.000 nel 2014, mentre si stima che il 95 per cento dei guadagni è andato all’1% della popolazione degli Stati Uniti. Tuttavia, nello stesso periodo, il prodotto interno lordo ha arrancato intorno a una media del 2,2 %, senza mai dar segno di quel rialzo di cui tanto parlano e si vantano quelli di Washington e la stampa finanziaria.
A seguito del piano della Fed, il programma monetario ‘Abenomico’ giapponese annunciato nel dicembre del 2012, ha ottenuto risultati simili. Il Nikkei recentemente ha raggiunto picchi mai toccati da 15 anni a questa parte, mentre il PIL del Giappone oscilla tra cadute improvvise e tiepidi rialzi.
Ora, la Banca Centrale Europea ha avviato un programma di QE (quantitative easing=allentamento monetario n.d.t.) che inietterà 1.300 miliardi di dollari nel sistema finanziario nel corso dei prossimi 16 mesi - e forse anche più a lungo, se sarà ritenuto necessario -. Il risultato finale, come per USA e Giappone, sarà lo stesso. I tassi d’interesse ai minimi storici e il flusso di denaro ‘facile’ faranno rialzare temporaneamente i mercati azionari, mentre le economie dell’Eurozona oscilleranno tra moderata crescita e nuova recessione.
I più grandi perdenti in tutto questo saranno i comuni cittadini, senza più un posto sicuro dove mettere i propri risparmi e con sempre più Banche Europee che ‘pagano’ alcuni selezionati clienti per poter tenere il loro denaro. E con le obbligazioni che ripagano i rendimenti negativi, le compagnie di assicurazione che vendono prodotti e rendite e investono quel denaro in obbligazioni governative e societarie - con l'aspettativa che il rendimento delle obbligazioni sia maggiore di quello che dovranno pagare per l'assicurato – il danno è assicurato.
In previsione del piano di QE del Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, che ammette si tratti di un piano “non convenzionale", gli investitori (o meglio i giocatori d'azzardo di alto bordo) hanno già pompato circa 36 miliardi di dollari nei mercati azionari europei. Nel frattempo, l'uomo della strada ha appena visto il suo potere d'acquisto scendere drammaticamente a mano a mano che l'euro continua la sua caduta libera da 1,39 dollari lo scorso marzo a un recente minimo di 1,04 , con la previsione che nel futuro – non troppo lontano – vada in parità o scenda anche al di sotto del dollaro.
Breaking Point 2.0
Le iniezioni multi-trilionarie di dollari da parte delle banche centrali, le politiche a tasso zero, i tassi d’interesse negativi, i rendimenti obbligazionari negativi e i fiumi di dollari a basso prezzo che gonfiano artificialmente i mercati azionari e alimentano i giochi perversi di investimenti di capitali/private equity/hedge fund, hanno già avuto dei precedenti nella storia del mondo. E quando sulla terra esplode la Grande Bolla Speculativa, lo scoppio si avverte in tutto il mondo – e per generazioni.
Gerald Celente è fondatore e derettore del Trends Research Institute, autore di Trends 2000 e Trend Tracking (Warner Books), ed è editore del The Trends Journal. Fa previsioni economiche e finanziarie fin dal 1980 e di recente ha pubblicato “Il Collasso del ‘09”

venerdì 27 marzo 2015

Il Consiglio di Sicurezza russo condanna i tentativi di Obama di creare un "nuovo Ordine Mondiale"

Il Cremlino non pensa che la Casa Bianca rinuncerà mai ai suoi tentativi di ostracizzare la Russia
Mosca sostiene che gli americani hanno adottato una strategia di sicurezza nazionale che è decisamente anti-russa. Anche se i tentativi di mostrare Putin come sempre più isolato sulla scena geopolitica non sono andati molto bene e anche se la recente adesione degli alleati occidentali di Washington alla Banca asiatica degli investimenti dimostra che forse ad essere di fatto isolati sono gli Stati Uniti, il Cremlino non pensa che la Casa Bianca rinuncerà ai suoi tentativi di ostracizzare la Russia in qualunque momento.
Da una dichiarazione del Consiglio di sicurezza russo dal titolo "Sulla strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti ":
A lungo termine, gli Stati Uniti, in collaborazione con i loro alleati continueranno la politica di isolamento politico ed economico della Russia, limitando la sua capacità di esportare energia e spostando tutti i mercati per i prodotti militari, rendendo difficile la produzione di prodotti high-tech in Russia.
Il Consiglio di sicurezza di Putin poi procede a fornire una descrizione straordinariamente accurata degli obiettivi di politica estera di Washington tra cui il desiderio di mettere in mostra le capacità militari della NATO (a pieno schermo lungo il confine con la Russia al momento), l'installazione di governi fantoccio da puntellare con il sostegno finanziario e militare (che è esattamente ciò che sta accadendo ora in Ucraina, con gli Stati Uniti intenzionati a fornire assistenza militare e anche assistenza finanziaria), e preservare l'egemonia statunitense adottando azioni unilaterali in tutto il mondo su ordine di Washington (cosa che gli Stati Uniti fanno tutto il tempo):
La strategia sottolinea la volontà degli Stati Uniti di procedere alla costituzione di un nuovo ordine economico mondiale. Un posto speciale in questo ordine dovrebbe essere occupato dal Trans-Pacific Partnership e dal TTIP che consentirà agli Usa di occupare una posizione centrale nelle zone di libero scambio, che coprono i due terzi dell'economia mondiale.
Le Forze Armate sono considerate come la base della sicurezza nazionale e la superiorità militare è considerata un fattore importante nella leadership mondiale americana.
Notevoli sforzi da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati saranno indirizzati alla formazione di stati con una politica anti-russa, con la quale la Russia ha stabilito rapporti di partnership, per ridurre l'influenza russa nella ex Unione Sovietica.
Proseguire la politica di preservare il dominio globale degli Stati Uniti, aumentando le capacità di combattimento della NATO, nonché rafforzando la presenza militare degli Stati Uniti nella regione Asia-Tihokeanskom. La forza militare continuerà ad essere considerata come il mezzo principale per garantire la sicurezza e gli interessi nazionali degli Stati Uniti.
Diventerà più diffusa l'eliminazione di regimi politici indesiderati agli statunitensi attraverso "rivoluzioni colorate", con un'alta probabilità della loro applicazione in relazione alla Russia.
Gli specialisti del Consiglio di sicurezza russo dicono che in generale la strategia degli Stati Uniti si basa sul principio dell'eccezionalismo statunitense e l'affermazione del diritto di agire unilateralmente per gli interessi degli Stati Uniti in tutto il mondo e con una forte spinta anti-russa.
Per quanto riguarda il rapporto Russia, il Consiglio di Sicurezza ritiene probabile che gli Stati Uniti prevedono di continuare la loro politica volta a isolare la Russia nel lungo termine, anche imponendo restrizioni sulle opportunità di esportazioni di petrolio e di gas".

giovedì 26 marzo 2015

Nuovi ammortizzatori sociali, ecco chi ci perde

Il decreto legislativo n. 22/2015, attuativo della legge delega sul Jobs Act, tra le altre cose ha ridefinito le caratteristiche del sistema degli ammortizzatori sociali introducendo la cosiddetta Naspi (Nuova assicurazione sociale per l’impiego), in sostituzione dell’Aspi e della mini-Aspi, previste dalla riforma Fornero del 2012. Nelle intenzioni del governo la Naspi dovrebbe finalmente dare garanzie adeguate, in termini di durata e importo delle prestazioni, ai lavoratori dipendenti migliorando la situazione in cui tutti loro si verrebbero a trovare in caso di perdita del posto di lavoro (per i collaboratori a progetto è invece prevista nel decreto un’apposita, meno generosa, misura chiamata un po’ esotericamente Dis-Coll).
Per stabilire se la Naspi farà vittime , si utilizzerà il dataset Ad-Silc, un campione longitudinale costruito a partire dagli archivi amministrativi dell’Inps; mediante una serie di ipotesi sulle dinamiche di carriera, si simulerà la copertura potenziale a cui i lavoratori dipendenti del settore privato (inclusi gli apprendisti) avrebbero diritto in caso di licenziamento in base al nuovo scenario delineato dal Jobs Act e la si confronterà con quella a cui quegli stessi lavoratori avrebbero avuto diritto con Aspi e mini-Aspi. Per confrontare gli schemi di ammortizzatori sociali bisogna tenere conto di 4 elementi: 1) i requisiti di accesso alla prestazione; 2) la durata massima della prestazione; 3) l’importo della prestazione; 4) la contribuzione figurativa al sistema pensionistico che viene accumulata quando si riscuote l’indennità. Riguardo al primo punto, va ricordato che per ricevere le indennità di disoccupazione in Italia bisogna soddisfare specifici criteri contributivi che erano particolarmente stringenti nel caso dell’Aspi.
A quest’ultima, aveva diritto soltanto chi aveva versato 52 settimane di contribuzione nel biennio precedente la disoccupazione e almeno una settimana di contribuzione prima del biennio precedente il momento della disoccupazione (ad esempio, chi fosse stato licenziato il 1° gennaio 2015 avrebbe dovuto iniziare a lavorare come dipendente prima della fine del 2012 per essere tutelato). Chi non soddisfaceva i requisiti dell’Aspi (in primis i lavoratori intermittenti e le giovani generazioni), ma aveva versato almeno 13 settimane di contribuzione nei 12 mesi precedenti la disoccupazione, aveva diritto alla mini-Aspi.
I requisiti di accesso alla Naspi sono assai meno stringenti: è sufficiente che nel quadriennio precedente la disoccupazione si siano versate almeno 13 settimane di contributi e si siano svolte almeno 30 giornate di lavoro nei 12 mesi precedenti il licenziamento. Dal punto di vista dell’accesso alla prestazione la Naspi rappresenta, dunque, un sicuro miglioramento per i lavoratori dipendenti e accresce l’universalità dello schema.
Ciò è confermato dalla simulazione diretta a stabilire la quota di lavoratori dipendenti privati occupati in un dato momento che non sarebbero coperti dalle diverse indennità di disoccupazione qualora venissero licenziati ( figura 1 ). Infatti, il 15,7% dei lavoratori non soddisferebbe i requisiti dell’Aspi e il 5,1% non avrebbe diritto neppure alla mini-Aspi, mentre soltanto il 3,4% del nostro campione non riceverebbe la Naspi in caso di licenziamento.
Oltre che sui requisiti di accesso , il Jobs Act è intervenuto sulla durata massima della prestazione e sugli importi delle prestazioni e delle contribuzioni figurative. La durata massima dell’Aspi era di 10 mesi per i lavoratori under 50 (12 per chi aveva fra 50 e 54 anni e 16 mesi per gli over 54), mentre la mini-Aspi veniva erogata per la metà delle settimane lavorate nei 12 mesi precedenti la disoccupazione (dunque per un massimo di 6 mesi). La Naspi, similmente alla mini-Aspi, commisura la durata della prestazione alla contribuzione precedente e prevede una prestazione erogata per la metà delle settimane di contribuzione nel quadriennio precedente la disoccupazione, con un massimo di 18 mesi (aumentato a 24, in via transitoria, per il biennio 2015-2016).
Tuttavia, dal calcolo della durata vanno detratte le settimane di sussidio eventualmente già corrisposte nel corso del quadriennio: ad esempio, chi avesse lavorato continuativamente 6 mesi ogni anno ricevendo un sussidio per i periodi di non lavoro, al termine dei 6 mesi di lavoro del terzo anno di attività con l’Aspi avrebbe avuto diritto a 10 mesi di sussidio; ora invece, con la Naspi, ne potrebbe ricevere solo 3 (18 mesi complessivi di lavoro darebbero infatti diritto a 9 mesi di Naspi, di cui però 6 già goduti in precedenza). Al di là della diversa base di calcolo dei requisiti (il biennio per l’Aspi, l’anno per la mini-Aspi, il quadriennio per la Naspi), la possibilità che le nuove norme, apparentemente più generose, comportino una riduzione della durata potenziale dei sussidi è confermata dalle nostre simulazioni.
Da esse emerge ( figura 2 ) che il periodo massimo potenziale di erogazione del sussidio si ridurrebbe per il 3,8% dei dipendenti privati e, soprattutto, che le nuove norme penalizzerebbero in misura relativamente maggiore i dipendenti a termine, caratterizzati spesso da carriere molto frammentate con frequenti entrate e uscite dalla disoccupazione. Il 10,3% dei dipendenti a termine, infatti, a causa della sottrazione dei periodi di sussidio già ricevuto, riceverebbero come Naspi un sussidio potenziale di durata inferiore a quello a cui avrebbero avuto diritto in base alla precedente normativa.
La Naspi è apparentemente più generosa dei precedenti sussidi anche per quanto riguarda l’entità delle prestazioni. L’importo di Aspi e mini-Aspi era pari al 75% della retribuzione media dei mesi lavorati negli ultimi due anni, fino a un massimale (1.192,98 euro nel 2014), e al 25% della quota di retribuzione eccedente il massimale, fino a un importo massimo della prestazione fissato pari a 1.150 euro al mese nel 2014. L’importo teorico della Naspi è invece superiore, dato che l’importo massimo della prestazione è stato portato a 1.300 euro al mese (la base di calcolo è ora la retribuzione media del quadriennio precedente il licenziamento, anziché del biennio).
Tuttavia, mentre l’Aspi rimaneva di importo costante fino al sesto mese di erogazione, per poi diminuire del 15% (e di un altro 15% dal tredicesimo mese per gli over 54), nel Jobs Act si è stabilito che, a partire dal quarto mese di erogazione, l’importo della Naspi si riduca ogni mese del 3%. Nulla assicura, dunque, che in termini di prestazioni complessivamente ricevute la Naspi sia più generosa dell’Aspi. Per verificare ciò abbiamo pertanto calcolato quanto riceverebbero, qualora la disoccupazione durasse esattamente 6 mesi, i lavoratori del nostro campione e abbiamo calcolato la differenza fra l’importo complessivo che si sarebbe ricevuto nei 6 mesi nello scenario pre e post Jobs Act ( figura 3 ).
Nonostante l’incremento della prestazione massima, che avvantaggerebbe i lavoratori a salario medio-alto qualora questi dovessero cadere in disoccupazione, le norme sul decalage della prestazione comportano che per oltre metà del campione (54,2%) l’ammontare complessivo di Naspi che si riceverebbe nei 6 mesi di disoccupazione si rivelerebbe inferiore a quello che sarebbe stato pagato in base alle vecchie norme.
La nuova normativa risulta ancora meno generosa rispetto alla contribuzione figurativa a fini pensionistici che si accumula nel periodo di erogazione del sussidio. Mentre in base alla precedente normativa era accreditata una contribuzione pari al 33% della retribuzione media del periodo precedente il licenziamento, la riforma ha previsto che la retribuzione su cui si calcola la contribuzione figurativa non possa eccedere 1,4 volte l’importo massimo della Naspi (ovvero 1.800 euro al mese nel 2015). Le quote di retribuzioni eccedenti tale importo non danno diritto a contribuzione figurativa, penalizzando così i lavoratori con salario medio-alto che dovessero cadere in disoccupazione.
La rilevanza della riduzione è confermata dalle nostre simulazioni su quanto avrebbero accumulato a fini previdenziali i lavoratori del nostro campione in caso di disoccupazione di 6 mesi di durata nel vecchio e nel nuovo scenario normativo ( figura 4 ). Con il nuovo sistema l’83,6% del campione accumulerebbe nei 6 mesi una contribuzione figurativa inferiore a quella a cui avrebbe avuto diritto in precedenza.
Sulla base di queste simulazioni si può pertanto affermare che se si tiene conto di tutte le circostanze rilevanti, e non solo dell’ampliamento della platea di potenziali beneficiari, la Naspi non consentirà quel miglioramento generalizzato di cui si parla. In altri termini, essa farà dei perdenti. Saranno tali quei lavoratori, e non sono pochi, che, in caso di licenziamento, sarebbero tutelati per un periodo più breve, riceverebbero prestazioni di minore entità e si vedrebbero riconosciute contribuzioni figurative più contenute. Non solo. Come si è visto a proposito della durata delle prestazioni cui avrebbe diritto una discreta quota di dipendenti a termine, a essere maggiormente penalizzati potrebbero essere proprio i lavoratori più esposti al rischio di incorrere in frequenti periodi di non lavoro.

martedì 24 marzo 2015

La Bce chiede all’Italia altre riforme, altra austerità e altri tagli

Una nuova riforma del lavoro e del mercato dei prodotti condurrebbe l’Italia verso una crescita del Pil del 10%. Queste le stime della Bce che per l’ennesima volta torna a bacchettare il nostro paese affinché vari altre riforme strutturali.
L’ultimo bollettino economico dell’istituto centrale di Francoforte evidenzia come siano “cruciali per migliorare la crescita potenziale. In caso di interventi significativi su lavoro e mercati dei prodotti, che allineassero l’Italia alle best practices, sul lungo termine il Pil potrebbe aumentare di oltre il 10 per cento”. E “attuare entrambe queste riforme simultaneamente – aggiunge il bollettino della Bce – potrebbe fruttare benefici anche più ampi in termini di Pil”.

In Italia e Belgio “continua ad esserci una deviazione significativa dallo sforzo strutturale richiesto dalla regola sul debito“. In relazione al capitolo di analisi sui conti pubblici, il bollettino economico mette in guardia dal rischio che possa essere la regola sul debito ad essere accantonata. Regola che fa parte del Patto di stabilità e che prevede che i paesi che superano il 60 per cento del rapporto debito/Pil debbano procedere ad una sua progressiva e consistente riduzione. Il commissario europeo agli Affari economici Pierre Moscovici ci aveva già provato in tal senso, invitando l’Italia ad una correzione di due punti di Pil sui conti. La Commissione europea ha però giudicato inopportuna un’azione di tal portata che avrebbe significato una manovra talmente gravosa per le tasche degli italiani da rendere sterili le riforme strutturali avviate dall’esecutivo Renzi.
“Serviranno ulteriori aggiustamenti strutturali – afferma l’istituto guidata da Mario Draghi – per riportare l’incidenza del debito su un percorso di riduzione”. La Banca centrale europea impartisce i compiti. L’esatto contrario di ciò che dovrebbe succedere e che viceversa è prassi presso la Fed, la Banca centrale del Giappone o alla Banca di Russia.

lunedì 23 marzo 2015

Un potere senza regole certe

Nel processo di costruzione di ogni nuovo regime ha un'importanza fondamentale l'imposizione di una diversa retorica, di una sistema di “valori” utili all'affermazione del nuovo stato di cose. Cosa c'è di più diverso, per un “immaginario democratico” inchiodato per venti anni alla retorica di “mani pulite” e girotondi vari, della santificazione degli indagati dalla magistratura in posti di governo?
E proprio questo Matteo Renzi prova a fare, per uscire vincente dalla morsa mediatica delle accuse di “doppiopesismo” nel caso Lupi (condivise anche dal Corriere della sera) e della possibilità di ritrovarsi un esecutivo falcidiato da avvisi di garanzia o richieste d'arresto.
Devono risuonargli ancora nelle orecchie le dure critiche del presidente dell'Anm, Rodolfo Sabelli - “carezze ai corrotti, schiaffi ai magistrati” - gridate proprio allavigilia dello smantellamento giudiziario del ministero delle infrastrutture. Da lì a immaginare un futuro stillicidio di “notifiche di indagini” per questo quello dei suoi più fidati collaboratori, particolarmente disinvolti, ci deve esser stato solo un passo. Vedere finire in prima pagina il suo braccio destro, Luca Lotti, come referente governativo di Ercole Incalza, proprio nelle ore in cui stava considerando la possibilità di piazzarlo al posto del dimissionario Lupi, deve essere stata la conferma definitiva. I suoi ripetuti attacchi alla magistratura hanno prodotto una “reazione di rigetto” che minaccia di minare in modo permanente il suo governo. Fin qui tutto nella norma di un paese schiavizzato dalle lobby, dalle clientele e dalle logge. Che il premier rappresenta al meglio, con la leggerezza dell'età, la sfrontatezza di chi sa d'essere arrivato lì per volontà altrui (Marchionne dixit) e l'improntudine di chi è venuto per distruggere quel poco di solidità costituzionale ancora in piedi.
Intervistato da Repubblica (che comincia ad avere qualche dubbio su di lui, dopo averlo “pompato” come un pesista di terza fascia da portare alle olimpiadi), alla domanda-chiave sulla possibile rimozione dei sei sottosegretari indagati, ha fatto capire un po' troppo come la vede: "Assolutamente no. Ho sempre detto che non ci si dimette per un avviso di garanzia. Per me un cittadino è innocente finché la sentenza non passa in giudicato. Del resto, è scritto nella Costituzione. Quindi perché dovrebbe dimettersi un politico indagato? Le condanne si fanno nei tribunali, non sui giornali".
Inutile fargli notare quel che sa benissimo. Ovvero che un “politico”, per di più un membro del governo, proprio per la sua particolare posizione – decide sulla vita di tutti, usa le risorse pubbliche, può usare poteri e contatti per tentare di influenzare singoli magistrati, ecc – tutto è meno che un normale cittadino. Il semplice sospetto che possa agire per finalità non istituzionali, anzi privatistiche, è ovunque sufficiente a consigliargli le dimissioni. Ovunque, meno che in Italia e in qualche regime minore di paesi ancora non approdati ai fasti della democrazia occidentale.
Naturalmente non siamo troppo fessi. Sappiamo anche noi che la corruzione, o l'uso del potere politico a favore di multinazionali, imprese e clientele particolari, è costume comune dappertutto. Ma – appunto – la necessità di far almeno apparire “imparziali” le istituzioni dello Stato obbliga i membri delle classi politiche occidentali a farsi da parte quando vengono “beccati”. Se si dovesse attendere la condanna definitiva per sostituire un amministratore pubblico, insomma, ministro o assessore che sia, tanto varrebbe affidare alle mafie il controllo della macchina statale. E richiamare in servizio immediatamente, per esempio, tutti gli arrestati per “mafia capitale”.
Sorvoliamo dunque sulla divertente constatazione che l'unico articolo della Costituzione salvabile, per Renzi, sia appunto quello della presunzione di innocenza fino a condanna definitiva...
La questione prncipale, infatti, è un tantino più complessa. Il tentativo di addenare una nuova classe politica - “ggiòvane”, spiritosa, spendibile, ma ahinoi decisamente incompetente – in grado di far passare le politiche della Troika senza sollevare insurrezioni di massa, dividendo progressivamente un ceto sociale dall'altro, contrapponendo figli e padri, precari e stabili, pensionati e impensionabili, ecc, si scontra in questo paese con un sistema di potere consolidato nei secoli ma frammentato, con interessi limitati anche se dall'appetito sconfinato. Da questo gorgo non può proprio uscire “gente onesta”, priva di relazioni innnominabili, al riparo da inchieste imposte dall'”obbligatorietà dell'azione penale” (che infatti sia Berlusconi che Renzi hanno cercato di intaccare). Dunque non resta che respingere “l'ingerenza” dei magistrati. Salvaguardando però le forme, ossia costringendo gli “indifendibili” - quelli più sputtanati dai media – a lasciare il posto.
Il “doppiopesismo” di Renzi è dunque obbligato. Deve mantenere una struttura di comando abbastanza stabile (e quindi proteggere anche gli indagati, se non troppo esposti quanto a notorietà, intercettazioni, ecc) e contemporaneamente far vedere che sta combattendo con durezza la corruzione. Un compito obiettivamente difficile, per cui serve una faccia di teflon da oscar della simulazione...
Ma ci prova. Nell'intervista, infatti, dopo aver “blindato” i sottosegretari indagati con un'argomentazione tipicamente berlusconiana, indica le mosse fatte sul piano opposto: "ho chiesto le dimissioni a Orsoni (ex sindaco di Venezia, ndr) quando, patteggiando, si è dichiarato colpevole. Ho commissariato per motivi di opportunità politica il Pd di Roma nonostante il segretario locale fosse estraneo alle indagini. A suo tempo avevo auspicato il passo indietro della Cancellieri sempre con una motivazione strettamente politica. Altro che due pesi e due misure: le dimissioni si danno per una motivazione politica o morale, non per un avviso di garanzia".
Fin troppo facile, persino per giornalisti inginocchiati, trovare casi in cui la sua “regola” non è stata applicata. Per esempio Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno condannato in primo grado e comunque cadidato alle regionali in Campania: "lui ha fatto una scelta diversa, considera giusto chiedere il voto agli elettori e si sente forte del risultato delle primarie".
Una “regola” insomma che vale solo se i singoli vogliono farla valere, “sacrificandosi”.
Ma da un dispositivo così non può venir fuori alcun nuovo assetto istituzionale razionale, oggettivo, trasparente. E' soltanto un insieme di “pratiche” risolte caso per caso, a seconda della potenza relativa del singolo, della sua esposizione mediatica, del livello di fedeltà al capo. Un regime, appunto, in cui la “costituzione” è flessibile quanto l'umore di chi, alla fin fine, dispone.
Con un piccolo dettaglio finale: il “motore immobile” che dovrebbe far funzionare il tutto, come un moderno monarca, è a sua volta un paracadutato da altri poteri e soggetto, come i suoi sottoposti, agli umori variabili di chi l'ha scelto per la bisogna. E 'sta roba la chiamano addirittura “democrazia”...

domenica 22 marzo 2015

L’ATTENTATO DI TUNISI E UNA MAGRA CONSOLAZIONE

I fatti li conosciamo. Più di venti morti al museo del Bardo, tra cui alcuni turisti italiani. Un paese, la Tunisia, che fino alla cosiddetta “Primavera araba” era un capolavoro di “sicurezza” per tutti.
Lo posso dire per diretta esperienza, avendovi soggiornato per due volte, un mese intero, per studiare Arabo. Non fiatava una mosca e nessuno rischiava nulla. Come dovrebbe essere dappertutto.
Poi ci son tornato a Capodanno, visitando tra le altre cose anche il museo del Bardo, ma l’aria era cambiata. Era arrivata la “primavera”, appunto. E con quella, la prospettiva di veder trasformata la Tunisia in una nuova Algeria, o in una Libia, se preferite.
Italiani che avevano aperto delle attività hanno chiuso baracca e burattini, vedendosi saccheggiare tutto nei giorni del sacro fuoco “rivoluzionario”. Altri, che c’erano tornati prima di me, facendosi una passeggiata nell’oasi di Tozeur, invece dei treni cantati da Battiato avevano trovato una banda di scugnizzi che ti mette le mani addosso. Certo “canagliume” capisce subito quando può allargarsi senza temere più il bastone del potere.
Intanto, non potendo operare alla luce del giorno coi bulldozer come in Libia, una manina fanatica appiccava il fuoco, nottetempo, al mausoleo di Sidi Bou Said, che sarebbe come dar fuoco a Sant’Antonio a Padova eccetera.
I tunisini non stanno affatto meglio di prima. Il turismo – una voce molto importante per l’economia del paese – è sempre più in sofferenza e, per quanto riguarda questa stagione, il discorso è chiuso. Ma che importa: i tunisini mangeranno “la democrazia”.
Gruppuscoli disseminati qua e là provano a giocare alla guerra (“jihadista”), trovando riparo nelle regioni orientali, adiacenti all’Algeria, e nell’estremo sud. Ma questi “ratti” (mai definizione fu più azzeccata) si annidano anche nei sobborghi delle città. Quelli della famosa miseria e disperazione che giustificherebbero, secondo i soliti sociologi, anche i furti e le rapine.
Quando sul finire del 2010 il mitico Bou Azizi si dette fuoco, fui tra i pochi, assieme agli amici di “Eurasia” e pochi altri, a mettere sul chi va là dai facili ed ingenui entusiasmi. La malafede, poi, non la prendo nemmeno in considerazione, anche se so benissimo che molti degli “esperti” che fanno “opinione” in merito avevano il compito di cantare le magnifiche sorti e progressive del mondo arabo-musulmano che finalmente avrebbe trovato “libertà” e “democrazia”: i due feticci dell’uomo moderno.
In quei primi mesi di rivoluzioni colorate eterodirette, provammo, coi nostri risicati mezzi, a far ragionare un po’. A mettere insieme i classici “pezzi del discorso” (perché l’abitudine dei più è quella di tenere separate tutte le “questioni”). Niente da fare: giornali e tv, all’unisono, andavano in brodo di giuggiole per i “ribelli siriani”, con piazza Tahrir elevata al rango di una Woodstock mediorientale.
Le università, poi, erano gli ambienti più blindati in tal senso. Tutti in preda a un delirium tremens, e basta andare a rivedersi le locandine dei “dibattiti” (?) di quei giorni, che ritraggono “giovani” arabi di belle speranze e folle in delirio sventolanti i vessilli nuovi di zecca delle loro nazioni direttamente forniti dalle sartorie di Sua Maestà britannica.
Noi, intanto, pochi pazzi “visionari” sospettati o tacciati di ogni sorta d’infamia perché non ne volevamo saperne d’accodarci all’unanime esaltazione, continuavamo a scrivere e a parlare.
Scrivevamo (e le date fanno fede) che dopo il ‘capolavoro’ della distruzione della Jamahiriyya, in Africa (non solo del Nord) ne avremmo viste di tutti i colori, e che nulla sarebbe stato più come prima, specialmente per l’Italia, contro la quale l’attacco alla Libia era stato condotto in maniera indiretta.
Scrivevamo – noi che ci beccavamo le accuse di connivenza coi “sanguinari dittatori”, quando invece c’interessava far capire qualcosa che andasse oltre la solita pappardella ottimistica – che in Siria, se mai c’era stata una protesta, non era in corso alcuna “ribellione”, bensì trattavasi di macchinazione bella e buona. Macché, non ci ascoltava nessuno, se per “nessuno” intendiamo i famosi quanto ignavi “decisori”, che trovano senz’altro più consono con la loro missione dare ascolto ad altri “analisti” ben pagati per stendere spesse coltri di disinformazione.
Ora, al punto in cui siamo arrivati, sembrerà indelicato, ma possiamo non solo affermare, bensì gridare a squarciagola, che non ci eravamo sbagliati.
Anzi, che avevamo ragione noi.
Ergo: vergogna su chi, nei giorni della “rivolta libica”, metteva in galera un rappresentante degli studenti libici in Italia con assurdi pretesti mentre altri, poi rivelatisi tagliagole professionisti, assaltavano impunemente l’ambasciata siriana.
Vergogna su tutti quelli che, fin dall’inizio, dalle università alle pagine culturali dei quotidiani, passando per gli “approfondimenti” televisivi, l’hanno messa solo e sempre sul piano della “libertà” contro la “dittatura”, della “pace” contro la “violenza”, della “tolleranza” contro il “fanatismo” e altre mammolette arcobaleniste.
Il sangue delle vittime di Tunisi è ancora caldo e c’è chi vaneggia di “nazismo islamico” e “totalitarismo”, invocando una necessaria “riforma” dell’Islam. O sono o ci fanno: appena c’è un problema lo inquadrano nei rassicuranti parametri dell’eterno “Nazifascismo” e del “medio evo” alle porte.
Attacco all’Eurasia? Geopolitica del caos? Fabbricazione del “nemico islamico”? Retroscena della genesi del cosiddetto “fondamentalismo islamico”? Venivi guardato come un eretico che si rifiuta di tributare rispetto alle sacre narrazioni provenienti dal Cairo, Tunisi, Damasco…
Vergogna anche su certi ipocriti e falsisissimi “rappresentanti dell’Islam” in Italia e in Europa, che all’inizio soffiavano sul fuoco vedendo arrivato il loro momento agognato, ed ora fanno gli “scandalizzati”. Non erano credibili allora, per chi conosce un minimo cosa sia la tradizione con la “T” maiuscola, né lo sono oggi, quando – ormai screditatissimi – propongono ancora le loro facce ad un pubblico di boccaloni per il quale “Islam” equivale a qualsiasi individuo riesca ad accreditarsi (tramite le “istituzioni” nazionali compiacenti) come suo “rappresentante”.
Vergogna anche su quei pagliaccetti caricati a molla che non hanno mai smesso di insultare l’Islam nel suo complesso, parando malamente la loro ostilità a Dio e alla religione col “laicismo”. Erano estremamente “laici” anche certi regimi crollati con le “primavere”, ma i risultati si sono visti, perché quando fai tabula rasa della religione quella al momento buono ritorna, ma fondamentalmente incompresa. Mica è un caso che la Tunisia fornisca uno dei più alti contingenti di mercenari in Siria.
Parliamo volutamente di mercenari, perché tra chi si deve vergognare, e chissà mai se lo farà, si annoverano anche gli scendiletto dell’America e dei loro vassalli “occidentali”, che utilizzano i cosiddetti “jihadisti” per tutta una serie di operazioni sia militari sia “di intelligence”, come quelle eseguite in territorio europeo ed attribuite a fantomatiche “cellule” di un ‘terrorismo in franchising’.
Ma anche queste cose le avevamo abbondantemente scritte e dette. Che dopo la fase di “Enduring Freedom” la “democrazia” sarebbe stata esportata anche con sistemi meno grossolani, mentre all’interno delle nazioni inserite nell’alveo filo-americano sarebbe stato sviluppato, a livelli parossistici, il terrore delle “quinte colonne di al-Qa’ida”, complice l’insensata politica adottata in materia di immigrazione.
E avevamo anche aggiunto, sempre prima dei fatti giunti puntualmente a confermare la bontà dell’analisi, che questa nuova maschera del “fondamentalismo islamico” fabbricato a Londra, cioè l’ISIS, avrebbe cominciato a “minacciare” l’Italia.
Ma se “nessuno” ci vuole ascoltare, che colpa ne abbiamo? Noi, quello che la nostra coscienza ci dettava l’abbiamo fatto. Si pentano, quindi, e si vergognino pure, tutti quelli che finora o non avevano capito un accidente o, molto più probabilmente, facevano finta di non capire perché gli faceva comodo fare così.
Sia chiaro: non c’illudiamo che adesso “capiranno”. No, andranno avanti diritti per la loro strada, che deve portare alla “guerra finale contro l’Islam” (per colpire l’Eurasia, ovvero il “vecchio mondo” e quindi la naturale integrazione dell’Europa occidentale col resto, in primis la Russia) e, nello specifico di questa povera Patria che non merita simili felloni al comando, la fine pura e semplice dell’Italia, sommersa da “rifugiati” delle “rivolte” che essi stessi alimentano e ridotta ad un ruolo inesistente nella politica che conta.

sabato 21 marzo 2015

I mercanti della paura: ecco chi vende (non)soluzioni per (non)problemi

Gli strateghi del market lo sanno bene: se la gente ha paura, è assai più propensa a spendere per comprarsi la “sicurezza”. La gamma è varia: ci sono le grandi paure, come quella dei terroristi, ma ci sono anche le paure “più piccole”, come quella di germi, malattie, i malesseri dei figli. Per ogni paura ci sono un prezzo, un mercato e un ricavo.
di Giovanni Fez - 20 Marzo 2015
Ci sono le grandi paure, come quella dei terroristi, ma ci sono anche le paure “più piccole”, come quella di germi, malattie, i malesseri dei figli. Per ogni paura ci sono un prezzo, un mercato e un ricavo.
E sono sostanzialmente due le ragioni per le quali la gente compra qualcosa: per ottenere ciò che vuole o per evitare ciò che non vuole. I mercanti della paura si focalizzano sulla seconda. E non hanno alcun interesse a stimolare il consumatore a ragionare su quanto il pericolo o la vulnerabilità percepiti siano reali. L’unico interesse è quello di far credere che ci sia una sola soluzione: «Compra il mio prodotto e sarai al sicuro, avrai risolto il problema».
Ma se in realtà il problema è un non-problema, allora la soluzione sarà una non-soluzione.
Qualche esempio?
I prodotti anti-invecchiamento
Stando a quanto ci viene costantemente ripetuto, invecchiare è quanto di più grave e tremendo ci possa capitare. Peccato che sia biologicamente naturale e per di più inevitabile. Ma noi non possiamo invecchiare! E per raggiungere lo scopo abbiamo bisogno di lozioni, creme, pillole, spray, ritocchi chirurgici e chi più ne ha più ne metta. E siamo disposti a pagare tutto ciò fior di quattrini. Peccato che l’inevitabile accadrà comunque. In Italia il giro di affari della cosmetica si aggira attorno ai 9-10 milioni di euro, secondo Cosmetica Italia, associazione nazionale imprese cosmetiche. Nel 2013 sono state praticate nel mondo oltre 23 milioni di operazioni di chirurgia estetica. Stati Uniti e Brasile ai primi posti, seguono Messico, Germania e Spagna. L'Italia è al settimo posto della Top 10 dei Paesi e degli interventi più praticati, lo dice la International society of aesthetic plastic surgery (ISAPS).
I prodotti antibatterici
Ci sentiamo ripetere continuamente che i germi ci fanno ammalare e che dobbiamo comprare prodotti che li uccidano e che ci proteggano. La verità è che i germi sono dovunque e non sono eradicabili e inoltre la grandissima maggioranza di essi è innocua per l’uomo. Anzi, molti batteri sono per noi benèfici, allenano opportunamente il nostro sistema immunitario perché la natura li ha creati per quello. L’uso indiscriminato di antibatterici ha portato alla comparsa di super-batteri resistenti a tutto che ora sono altamente pericolosi.
I prodotti per la sicurezza dei bambini
Anche in questo caso, ci sentiamo sempre ripetere che il mondo è pericoloso, che i bambini vanno protetti, si possono ammalare e fare male. E così ci vendono mille prodotti diversi che ci illudono di poter creare intorno ai nostri figli muri alti e spessi per proteggerli da un “tutto” che nemmeno sapremmo definire.
Big Pharma
Il messaggio? Potremmo essere malati e, se ancora non lo siamo, in qualsiasi momento potremmo ammalarci. Ma se non abbiamo sintomi? Potremmo esserlo lo stesso. E via con i costosi screening di massa (pagati con i soldi pubblici, quindi di tutti noi) che producono malati senza sintomi i quali andranno opportunamente “curati” con le opportune pillole. È il disease mongering: mentre un tempo si inventavano medicinali contro le malattie, ora si inventano malattie per generare nuovi mercati di potenziali pazienti. Ogni anno spendiamo 5,1 miliardi di euro in farmaci che non servono a curare vere patologie.
Benessere e fitness
Sembra proprio che al giorno d’oggi per star bene ed essere in forma non si possa fare a meno di sedute di palestra, integratori e trattamenti costosi, farmaci che prevengono tutto il prevenibile, che tengono basso il colesterolo e la pressione e la lista è ancora lunga. Per gli integratori l’Italia detiene addirittura il record di vendita in Europa occidentale: 147 milioni di confezioni l’anno per un fatturato che nel 2014 ha sfiorato i 2,2 miliardi di euro con più di 200 aziende e 54000 tipi di prodotti.
I media
Poi ci sono i media, che fanno la loro parte. Raccogliete per una settimana i titoli che trovate su giornali, tv e web. Poi contate quante volte trovate scritto o sentire dire: Allarme! Pericolo! ... incombe...!Allerta! Minaccia! Eccetera.
Allora, proviamo a cambiare paradigma. Non chiediamoci: cosa posso fare (o comprare) per risolvere il problema? Chiediamoci invece: ma quello che io credo essere un problema, lo è veramente? E se non lo è, non ho bisogno a tutti i costi di una soluzione.

venerdì 20 marzo 2015

USA contro leader latinoamericani

I media latinoamericani offrono una pletora di materiali denigratori verso i politici dei Paesi a sud del Rio Grande caduti in disgrazia presso Washington. Di norma, le decisioni relative alla guerra dell’informazione contro i leader indesiderati sono prese dalla Casa Bianca e attuate da dipartimento di Stato o Central Intelligence Agency. L’interazione nella guerra dell’informazione tra dipartimento di Stato e CIA ha una lunga storia. E’ sufficiente ricordare la campagna denigratoria finita con il rovesciamento del presidente Juan Domingo Peron in Argentina. Nel 1946-1955 di Washington l’accusò di molte cose, dalla creazione del Quarto Reich in Sud America alla promozione dell’antisemitismo. In particolare fu accusato per l’immigrazione tedesco-italiana in Argentina nel secondo dopoguerra. Tale politica fu attuata per l’industrializzazione del Paese. Gli statunitensi fecero la stessa offrendo posti di lavoro a scienziati missilistici, esperti ed ingegneri nucleari tedeschi. Peron fu il fondatore del Partito Giustizialista (Partido Justicialista), un patriota che fermamente resistette ai tentativi degli Stati Uniti di soggiogare l’Argentina. Diversi metodi furono usati per rovinarne la reputazione. Nel 1951 il politico liberale Silvano Santander, un agente della CIA dichiarato, dovette lasciare l’Argentina per l’Uruguay. In stretta collaborazione con i suoi superiori degli Stati Uniti pubblicò articoli che dipingevano Peron come sostenitore del nazismo e seguace di Hitler. Nel 1955 Peron fu rovesciato. La sintesi degli articoli di Santander fu inclusa nel libro Tecnica di un tradimento. Juan Perón e Eva Duarte agenti nazisti in Argentina (Técnica de una traicion: Juan D. Perón y Eva Duarte, Agentes del Nazismo en la Argentina). La CIA utilizza ancora tale falsificazione quale esempio di diffamazione efficace da studiare per gli agenti inviati in America Latina. Santander non risparmiò Evita Peron, la moglie del presidente argentino, molto popolare in Argentina e all’estero. Il libro presenta molte fotocopie di documenti che avrebbero provato che Evita lavorasse per l’Abwehr dal 1941. Ora è un fatto consolidato che Evita non fosse per nulla un’agente dei servizi segreti e che non avesse contatti con organizzazioni clandestine naziste. La povera ragazza aveva il sogno di diventare un’attrice e lavorava per la miserabile esistenza. Evita sposò Peron nell’ottobre 1945 venendo coinvolta nella politica. Ora molti documenti degli anni ’40-’50 sono stati declassificati. Il dipartimento di Stato e la CIA si sono pentiti di aver calunniato i Peron? Per nulla. Hanno solo cambiato l’accento. Evita fu percepita quale simbolo di giustizia sociale. Il suo successo personale, il carattere passionale (spesso paragonata a Che Guevara) e il fatto che sapesse come trattare le persone comuni e cosa sentissero, ispirò negli argentini la speranza di un futuro migliore. Evita Peron è un simbolo del Fronte per la Vittoria (Frente para la Victoria, FPV), l’alleanza elettorale peronista in Argentina, formalmente una fazione del Partito Giustizialista. Cristina Elisabet Fernández de Kirchner, Presidentessa dell’Argentina, spesso ricorda l’eredità di Evita Peron. Ecco perché i guerrieri della propaganda statunitensi ne diffamano la memoria. Decine di anni sono passati dalla sua scomparsa e nessuna prova a sostegno delle accuse è mai emersa, ma i media della CIA continuano regolarmente ad infangare la memoria di Evita. L’obiettivo è distruggere l’immagine di una leggenda che vive in Argentina e in altri Paesi dell’America Latina.
Tale propaganda ha udienza speciale tra magnati, piccoli partiti conservatori, studenti di famiglie privilegiate, “quinta colonna” ed elementi bohemien declassati che vedono nella destabilizzazione la possibilità per divenire qualcuno in questa vita. L’operazione calunniatrice contro Eva Peron è parte di una massiccia campagna di provocazione lanciata da CIA (e Israele) contro Cristina Fernandez de Kirchner e il Fronte per la Vittoria. La recente morte del procuratore Nisman ha fatto emergere nuovi dettagli che danno adito a sospetti utilizzati da statunitensi ed influente comunità ebraica argentina per distruggere la fiducia nell’alleanza di governo. Si diffondono menzogne sulla Presidentessa argentina come personalmente coinvolta nella tragedia. Qualche tempo prima della morte Alberto Nisman accusò pubblicamente Cristina e il ministro degli Esteri argentino Hector Timerman di cospirazione per assolvere l’Iran dall’attentato del 1994 contro l’edificio dell’Asociación Mutual Israelita Argentina. Molti prominenti avvocati argentini dissero che le accuse erano infondate. Alcuni esperti ritengono che l’assenza di prove abbia spinto il procuratore a suicidarsi per salvarsi la faccia. Alcuni dicono che Nisman sia stato ucciso dalla CIA. Il caso del “terrorismo iraniano” era dubbio e il procuratore non poteva vincere. La sua liquidazione fisica ha permesso ai servizi speciali di continuare la campagna multistadio contro Cristina e il Fronte per la Vittoria. Alla fine di febbraio le accuse contro Cristina sono decadute, ma Gerardo Pollicita, nuovo procuratore, ha fatto appello. Ora molto dipende dalla frequenza delle sue visite alle ambasciate di Stati Uniti ed Israele.
Cristina Elisabet Fernández de Kirchner non è l’unico politico latinoamericano ad essere obiettivo della guerra d’informazione di Washington. Prima di tutto, vengono presi di mira gli Stati dell’Alleanza Bolivariana per le Americhe. Gli Stati Uniti non risparmiano sforzi per combatterli. I media controllati dagli USA sono attivi quasi come ai tempi della “guerra fredda”. Solo cubani e nicaraguensi sono immuni da tale offensiva propaganda sovversiva. La TV regionale TeleSUR è nata grazie ai grandi sforzi attuati infine dal presidente venezuelano Hugo Chavez. L’elevata diffusione preoccupa Washington. La televisione venezuelana è accusata di molte cose, come per esempio propagandare chavismo e comunismo castrista, dando una presenza ai rappresentanti di Cina, Russia e Paesi presunti sostenitori del terrorismo, ecc. Tale preoccupazione è finta perché i principali media latinoamericani sono controllati dagli Stati Uniti. La maggior parte delle informazioni diffuse dai media dell’America Latina proviene da quattro agenzie, Reuters, Associated Press, Agence France-Presse e EFE. Sembra che la Central Intelligence Agency abbia reclutato quasi tutti i principali giornalisti, corrispondenti e redattori dell’America Latina. EFE (agenzia stampa spagnola) attacca regolarmente i politici latinoamericani non graditi dagli Stati Uniti. Le relazioni sono raccolte e trasmesse da molte agenzie, programmi TV e radio, media elettronici, riviste e giornali di grande diffusione, reti di distribuzione cinematografica, ecc. In Venezuela, Ecuador, Nicaragua, Bolivia, Argentina, Brasile gli Stati Uniti utilizzano tali agenti per avviare le operazioni di guerra delle informazioni volta a minare le strutture di potere, creare caos nella vita pubblica e politica ed infangare la reputazione dei leader nazionalisti. L’accusa di corruzione è lo strumento preferito nella guerra dell’informazione. Fidel Castro è sulla lista dei corrotti della CIA da tempo. Fu detto che possedesse conti bancari in banche svizzere e dei Caraibi. Era ridicolo fin dall’inizio. Nel 2010 la rivista Forbes ridusse significativamente i “conti segreti” di Castro da 40 miliardi di dollari a 900 milioni. Fu sottolineato che Sua Maestà la Regina Elisabetta II, la Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, fosse più povera del leader storico della rivoluzione cubana. Nel 2012 la rivista ridusse la ricchezza di Castro a 550 milioni. Ora il re di Spagna verrebbe dopo il leader cubano. Il presidente venezuelano Nicolas Maduro fu duramente criticato dai guerrieri della propaganda occidentale con l’accusa di avere elevate spese per le esigenze dell’amministrazione presidenziale (dicono che la somma sia circa 2 miliardi di dollari). Molte pubblicazioni si sono dedicate a diffondere i dati sulle spese di Cristina Fernandez de Kirchner, del Presidente del Nicaragua Daniel Ortega e del Presidente dell’Ecuador Rafael Correa, che avrebbe acquistato beni in Belgio per 260 milioni. Correa smentisce categoricamente le pseudo-rivelazioni. Ai giornalisti che ha incontrato, il presidente dell’Ecuador ha detto di aver comprato un appartamento in Belgio per lui e la moglie di origine belga. I giornalisti ebbero le copie dei documenti e foto della casa senza pretese.
Con l’aiuto dei media controllati, Washington cerca d’impedire l’emergere di nuovi Peron e Chavez nel continente. Il dipartimento di Stato degli Stati Uniti e la CIA sono fortemente preoccupati dalle attività di Andrés Manuel López Obrador, l’ex-candidato alla carica di presidente del Messico. Nel 2012 diversi trucchi, tra cui brogli sui risultati del voto elettronico, furono utilizzati per sottrargli la vittoria alle elezioni presidenziali. Enrique Penha Nieto lo derubò delle elezioni con l’aiuto di magnati messicani e degli Stati Uniti. Con le sue altissime percentuali Obrador può vendicarsi nel 2018. Nuove trame diffamatorie vengono preparate nei laboratori segreti. Ad esempio, nel recente tweet su Obrador si legge “Si definisce protettore dei poveri”. Un video lo mostra allontanare un venditore ambulante come se non si degnasse di stringergli la mano. In realtà il filmato mostrava Obrador dare al suo sostenitore un abbraccio amichevole dopo una chiacchierata. Una TV pro-USA ha manomesso il video cambiando “creativamente” ciò che in realtà mostrava. Chi lo saprà in Messico dove presentatori TV e radio continuano a servire gli interessi degli Stati Uniti?

giovedì 19 marzo 2015

LA SOLIDARIETA' SECONDO DRAGHI

In questa €uropa che impone tagli ed austerità, viene inaugurata oggi una nuova sede della BCE, (ramo della TROIKA) costo 1,2 MLD, dove il fattore tagli e risparmi non coinvolge di certo gli eurocrati che ne fanno parte. Pertanto per questi non c’è austerità.
Sicuramente le tv non trasmetteranno quanto sta accadendo in queste ore a Francoforte, bensì manderanno in onda sotto un velo critico, manifestazioni ritenute magari populiste e fanta(fasciste).
Draghi ha commentato la vicenda, affermando che in crisi è necessaria la solidarietà tra i Paesi, i quali devono aiutarsi l’uno l’altro. Ciò è avvenuto ed è in corso e si riassume in due sigle, prima l’ EFSF e poi MES ovvero Fondi Salva Stati, che hanno portato “solidarietà” alle banche dei vari Stati in difficoltà, sottraendo però solidarietà tra le popolazioni dei Stati coinvolti, per il fatto che le quote dei fondi salva Stati provenivano da soldi pubblici sottratti all’economia reale.
L’Italia dal 2010 ad oggi ha già versato 63 mld a fondo perduto per salvare in parte banche greche e spagnole mentre il resto è depositato nel fondo per l’ acquisto di bund tedeschi.
Quindi parliamo di sottrazione della solidarietà per colmare una strana “solidarietà”: dai cittadini agli istituti finanziari. Il QE che è appena stato avviato dall’istituto di Francoforte, certamente non apporterà significativi cambiamenti all’economia reale europea, facendola risorgere dalla morsa della deflazione.
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I 60 miliardi di acquisti in titoli di Stato fino a settembre 2016, andranno a coprire il sistema finanziario che ha usufruito degli LTRO che sono serviti solamente a far calare gli spreads dando però solo liquidità alle banche ma non all’economia reale. Inoltre con questo maxi QE le banche si libereranno di titoli di Stato di buona qualità, (non a caso nel programma di maxi acquisti, i titoli di Stato greci sono stata esclusi) con il rischio poi di acquistare titoli tossici.Chi vivrà vedrà…
Draghi infine ha però affermato che ogni Stato deve “camminare con le proprie gambe”, quindi se fosse come afferma il presidente della BCE, uno Stato, ad esempio la Grecia, se ritiene, che per il bene del suo interesse nazionale, uscire dalla moneta unica fosse necessario per monetizzare il debito e ripudiare l’austerità, logica conseguenza dell’euro, la BCE non dovrebbe quindi opporre resistenze….

mercoledì 18 marzo 2015

Come cambierà il Senato con la riforma di Renzi

Errare è umano, perseverare è diabolico. Citando il vecchio adagio, c’è un punto su cui il premier Matteo Renzi si è incaponito a torto: la riforma del Senato. La riforma, che parte dai lavori del sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio e della ministra Maria Elena Boschi, fa acqua da tutte le parti. Il già bravo sindaco di Reggio Emilia e medico (come direbbe Di Pietro: “che c’azzecca un dottore con le riforme?”) e la giovane ministra hanno fatto un pastrocchio. Renzi vuol tirar dritto su un Senato non elettivo, con molti membri nominati dal Capo dello Stato e con tutto il baraccone dei commessi e segretari in funzione.
Circa un paio di volte al mese 74 esponenti delle regioni, 21 sindaci scelti non si sa con che criterio e 5 paracadutati dal Quirinale si troveranno a Palazzo Madama per discutere in stile CNEL (l’organismo che Renzi ha appena chiuso in quanto dispendioso e poco utile) di leggi costituzionali, referendum popolari, leggi elettorali degli enti locali, diritto di famiglia, matrimonio e salute e ratifiche dei trattati internazionali. Tra le varie pecche, i cittadini dei grossi centri saranno rappresentati in Senato maggiormente rispetto a quelli che vivono nei piccoli comuni: i sindaci in Senato verranno con maggiore probabilità dai capoluoghi e dalle città più popolose. Insomma, la città discriminerà la campagna.
Nemmeno le funzioni di questo nuovo Senato sono chiare. Un notabile storico della sinistra e parlamentare di lungo corso come Vannino Chiti ha fatto una proposta senz’altro migliore rispetto a quella renziana. Il testo di Chiti, già firmato da diversi senatori del PD tra cui l’ex magistrato Felice Casson, prevede il dimezzamento del numero dei parlamentari di Montecitorio; l’attribuzione alla sola Camera del voto di fiducia e della legge di bilancio; l’attribuzione anche al Senato dell’esame e del voto delle leggi costituzionali, elettorali, dei trattati europei e dei provvedimenti che investano diritti fondamentali della persona. «La Camera sarà composta da 315 deputati, la metà degli attuali 630; il Senato da 100 eletti nelle Regioni (contestualmente al voto per i Consigli regionali) più 6 in rappresentanza degli italiani all’estero. Meno della metà degli attuali 315. Voglio sottolineare come tale proposta preveda una riduzione dei costi della politica ben superiore a quella prevista dal disegno del governo» dice Chiti.
Insomma, alle politiche si voterebbe per la Camera che darà, lei sola, la fiducia all’esecutivo e alle elezioni regionali si daranno le preferenze anche per i senatori, senza ulteriori tornate alle urne. La proposta Chiti non sarà la migliore del mondo ma sicuramente è la meno peggio di tutte quelle che si sono sentite in questi mesi. Le riforme costituzionali le fanno i parlamenti e non i governi. Con una riforma Chiti avremmo meno parlamentari ma eletti dal popolo, con una Camera all’europea e un Senato all’americana. Ci si troverebbe di fronte a un parlamento nettamente migliore rispetto a quello della strampalata riforma che vuole con ottusità il governo.
Già le province sono scomparse, ma solo come organo elettivo e legislativo. Anche il Senato farà la stessa fine. Si riducono i poteri dell’ente in quanto tale, ma il potere più forte lo perdono i cittadini, non potendo scegliere di persona chi comunque avrà voce in capitolo su questioni importanti. Un altro pezzo di democrazia se ne và. E questo per merito di una classe dirigente di un partito che si definisce “Democratico”.

martedì 17 marzo 2015

La CNN sta battendo i tamburi di guerra

Il Consigliere per la sicurezza nazionale del presidente George W. Bush, Condi Rice, aveva avvertito gli americani che le (inesistenti) armi di distruzione di massa di Saddam Hussein avrebbero potuto trasformarsi in un fungo atomico che si sarebbe levato al di sopra di una città americana. No tale minaccia non esisteva (era una menzogna). Tuttavia oggi una minaccia molto reale esiste su tutte le città americane, e il consigliere per la sicurezza nazionale, non se ne accorge.
La vera minaccia proviene da Washington ed ha la sua origine nella demonizzazione della Russia e della sua leadership.
Wolf Blitzer (CNN, il 13 marzo) ha utilizzato l’apertura di un telegiornale per trasmettere una performance di propaganda degna del Terzo Reich o forse di George Orwell del romanzo 1984 .
La scenografia della trasmissione ha voluto presentare la Russia come un enorme, aggressiva minaccia militare. La schermata era colma di missili in fase di lancio e si basava sul commento di un generale americano, Strangeloves, che sollecitava nel prendere misure offensive per la necessità di essere schierati contro la minaccia russa. Il programma di Blitzer è parte della campagna di propaganda orchestrata il cui scopo è quello di preparare gli americani per il conflitto con la Russia.
Wof Blizer CNN
Tale propaganda era del tutto irresponsabile e piena di tante bugie palesi per un’organizzazione di un media sponsor per cui risulta ovvio che la CNN e Wolf Blitzer e non hanno timore di poter essere chiamati a rispondere del fatto di voler diffondere la febbre della guerra. L’apparato dei cosiddetti “media mainstream ” è stato trasformato in un Ministero della Propaganda.
Una propaganda simile si sta diffondendo anche nel Regno Unito, dove il ministro della Difesa Michael Fallon ha dichiarato che la Russia rappresenta un “pericolo reale e presente” per l’Europa. Le truppe americane e molti carri armati sono stati inviati nei Paesi Baltici con il pretesto che la Russia sta per attaccare……
Che tali menzogne palesi possano essere proferite da alti funzionari del governo, senza uno straccio di prova e senza vergogna, dovrebbe spaventare a morte. Stiamo assistendo alla totale mancanza di rispetto per la verità e la vita umana da parte di alti funzionari del governo e dei media prostituti al potere.
La propaganda sta conducendo il mondo verso la guerra. La propaganda ha distrutto la fiducia tra le potenze nucleari ed ha resuscitato la minaccia di un Armageddon nucleare. Il governo russo vede che Washington ei suoi vassalli della NATO stanno evocando una minaccia russa inesistente. Chiaramente questa minaccia evocata ha uno scopo che la Russia comprende essere a suo danno.
Questa propaganda di Washington, diffusa dai media prostituiti al potere, costituisce l’azione più irresponsabile nella storia dell’umanità. Reagan e Gorbaciov erano riusciti a rimuovere la minaccia di una guerra nucleare, i circoli dei neocons impazziti e le loro puttane mediatiche hanno riportato il mondo indietro ai rischi della guerra fredda.
L’ attacco della propaganda di Washington contro la Russia e contro Vladimir Putin è come l’attacco effettuato da Washington contro l’ Afghanistan e su Osama bin Laden, come quello contro l’Iraq e Saddam Hussein, o la Libia di Gheddafi. Questo significa che Washington intenda attaccare la Russia con un attacco nucleare preventivo?
Se questo è così, ciò significa che sarà la fine del mondo. Chiaramente, la minaccia per gli Stati Uniti e il mondo intero risiede a Washington e non a Mosca. La minaccia è la folle ideologia neocon che si basa sull’ell’egemonia statunitense sul mondo sostenuta dalla sfrenata avidità delle multinazionali USA di controllare le risorse del mondo.
Putin capisce la gravità della situazione e sta lavorando sodo per farla diffondere, ma Washington ha reso impossibile diffondere. Il prezzo richiesto da Washington è che Putin dovrebbe riconsegnare la Crimea e la base navale russa sul Mar Nero base , abbandonando le popolazioni russe in Ucraina meridionale e orientale, ed accettare le basi militari della NATO in Ucraina. La pretesa di Washington corrisponde ad una richiesta di resa preventiva della Russia.
Nella propaganda da spettacolo offerta dalla CNN, Wolf Blitzer è riuscito a segnalare che l’intelligence tedesco contesta le affermazioni di Washington sulla Russia e che i governi francese e tedesco hanno finalmente capito che l’atteggiamento di Washington è folle e stanno lavorando disperatamente per fermare la corsa di Washington verso la guerra.
Washington e il suo fantoccio del Regno Unito hanno utilizzato la totalità del 21 ° secolo nella creazione di morte e distruzione. Sette paesi sono stati invasi, bombardati , o sorvolati dai droni per “diffondere la democrazia.” L’Iraq è stato distrutto, come l’Afghanistan, la Libia e la Somalia. La Siria quasi distrutta, il Pakistan e lo Yemen sono politicamente e socialmente destabilizzati da incessanti attacchi aerei Usa . I governi, democraticamente eletti, dell’ Honduras e dell’Ucraina, sono stati rovesciati da colpi di stato sobillati dagli Stati Uniti. Il Venezuela è il prossimo in linea, con la Bolivia, Ecuador, Argentina e Brasile in attesa del loro turno.
Washington ha regalato al mondo 14 anni di guerra brutale e disumana. Non è questo già un male sufficiente ? Può Washington darci ancora di più?
Washington e le sue prostitute mediatiche hanno perso la loro umanità. Essi sono diventati gli agenti del male. Se appariranno funghi atomici, la responsabilità sarà per le menzogne di Wolf Blitzer, della CNN, e delle prostitute al soldo della Casa Bianca che hanno battuto i tamburi di guerra.

lunedì 16 marzo 2015

Giubileo, partono i grandi appetiti

La prima esul­tante rea­zione del pre­si­dente del Con­si­glio auto­rizza qual­che pre­oc­cu­pa­zione: «L’annuncio del Giu­bi­leo è una buona noti­zia che il governo ita­liano acco­glie con i migliori auspici. Roma — assi­cura Mat­teo Renzi — si farà tro­vare pronta come l’Italia, che quest’anno ospita l’Expo». Quanto siano in ritardo i lavori per l’esposizione di Milano (in calen­da­rio tra sei set­ti­mane) è infatti noto. Più ragio­nato il com­mento del sin­daco di Roma Igna­zio Marino: «È una lieta noti­zia per Roma. Si tratta di un impor­tante appun­ta­mento reli­gioso e un’occasione, per cre­denti e non cre­denti, per riflet­tere sul senso della vita». Teme com­mis­sa­ria­menti, il primo cit­ta­dino, e mette le mani avanti: «Roma è da subito pronta ad affron­tare que­sto evento mon­diale, così come lo è stata in occa­sione della bea­ti­fi­ca­zione dei due papi il 27 aprile del 2014», appena l’anno scorso. Non basta. Dal Cam­pi­do­glio fanno sapere che senza atten­dere la regia di nes­suno, nei pros­simi giorni pren­de­ranno con­tatto con il Vati­cano e con il governo. E in quell’occasione apri­ranno con palazzo Chigi il dos­sier dei costi: pochi mesi fa Palazzo Chigi, con il piano di rien­tro, ha rico­no­sciuto al Cam­pi­do­glio 110 milioni di euro l’anno per gli extra­co­sti. Ma cer­ta­mente il comune chie­derà risorse aggiun­tive. Imme­diata è la pole­mica nel Pd, con i filo ren­ziani che pole­miz­zano con il sin­daco: «Roma nelle con­di­zioni attuali non è pronta. Biso­gna al più pre­sto creare una cabina di regia con governo e regione. Gestire milioni di pel­le­grini, che non sono turi­sti, in una città non orga­niz­zata può rap­pre­sen­tare un peri­colo anche grave, il Giu­bi­leo dura un anno — è la replica diretta dei depu­tati romani del Pd Michele Anzaldi e Lorenza Bonac­corsi, pre­si­dente del Pd Lazio, a Marino — non è cer­ta­mente para­go­na­bile a sin­gole gior­nate, anche impe­gna­tive, che la città si è tro­vata a gestire di recente».

domenica 15 marzo 2015

Fino a 6 miliardi per l'Italia tassando trading finanziario e derivati

La Tassa europea sulle Transazioni Finanziarie (TTF) raccoglierebbe in Italia tra i 3 e i 6 miliardi di euro all'anno. È quanto emerge dal recente studio pubblicato da uno dei più autorevoli istituti di ricerca economica tedeschi, The German Institute for Economic Research (DIW Berlin). Lo studio approfondisce i profili di gettito fiscale derivanti dalla TTF europea, "risorse vitali che -spiega la campagna ZeroZeroCinque- l’Italia potrebbe impiegare sul versante della lotta alla povertà a livello nazionale ed internazionale.
Le stime sul gettito della TTF sono strettamente legate alla sua architettura che gli 11 Paesi UE aderenti alla cooperazione rafforzata (Austria, Belgio, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna) andranno ad adottare, ovvero all’ampiezza della base imponibile, all’applicazione dei principi di tassazione, alle esenzioni che verranno concesse. Aspetti tecnici da mesi al centro del dibattito tra gli 11 Paesi coinvolti nel negoziato europeo. Tra lunghe impasse di natura politica e forti ingerenze da parte delle lobby della finanza.
Quali i dati per l’Italia? Una tassa con ampia base imponibile, ovvero applicata alla più ampia gamma di strumenti finanziari (secondo l’impianto della direttiva proposta dalla Commissione europea), con il ricorso al doppio principio di tassazione (di residenza dell’operatore e di nazionalità del titolo) e con aliquote dello 0,1% per le azioni e dello 0,01% per i derivati porterebbe nelle casse dello Stato dai 3 miliardi ai 6 miliardi di euro all’anno (iv).
Cosa succederebbe al gettito, se questo modello subisse delle variazioni? "L’esclusione tout court dei derivati dalla base imponibile della TTF è senza dubbio la scelta più catastrofica in termini di gettito -spiega ancora ZeroZeroCinque-, con una riduzione fino al 65% di entrate fiscali per l’Italia rispetto al gettito della TTF ideata dalla Commissione". L'analisi appena presentata in Germania sottolinea infatti come il peso di una TTF sui derivati ricadrebbe maggiormente sulle banche "di sistema" e sulle grandi istituzioni finanziarie, evidenziando il ridotto ricorso a strumenti come i credit default swaps e in generale a negoziazioni in derivati fuori dai mercati regolamentati da parte delle piccole società finanziarie europee.
La recente apertura dei Paesi del negoziato all’inclusione dei derivati nella base imponibile della TTF con una riduzione delle aliquote trova un’ulteriore valutazione di merito nello studio. La tassazione dei derivati con aliquote anche solo dimezzate ridurrebbe le potenziali entrate per l’erario italiano fino a 1,3 miliardi di euro. Ma anche altre esenzioni e deviazioni dal solido modello di TTF della Commissione giocano un ruolo significativo sul gettito generabile. L’esenzione dei titoli di Stato -punto fermo del nostro ministero delle Finanze su cui la Campagna ZeroZeroCinque esprime una forte critica- determinerebbe un mancato introito di oltre 1 miliardo di euro. Un’ulteriore perdita di gettito si determinerebbe per l’Italia anche nel caso in cui si applicasse alla tassazione delle azioni il solo principio di "nazionalità del titolo", con una riduzione di oltre il 50% delle risorse generabili rispetto al combinato ricorso al principio di residenza dell’operatore e paese di emissione del titolo proposto dalla Commissione.
Il potenziale fiscale della TTF, secondo ZeroZeroCinque "ha anche il merito di essere un efficace deterrente alla speculazione finanziaria, disincentivando in particolare il trading ad alta frequenza a vantaggio di investimenti di medio-lungo termine", e rappresenta "un’opportunità irrinunciabile se si pensa alla destinazione che queste risorse potrebbero avere in termini di spesa sociale per l’Italia, di maggiori aiuti per istruzione e salute nei Paesi più poveri, di investimenti per il contrasto ai cambiamenti climatici".
Con il gettito che i Paesi europei raccoglierebbero in un solo mese di applicazione della TTF (2,9 miliardi secondo le stime della Commissione) si potrebbe pagare il salario di un intero anno di 1,5 milioni di infermieri in Africa. In soli due giorni e mezzo si raccoglierebbero risorse (192 milioni di euro) sufficienti alla costruzione di 2.500 rifugi anticiclone, proteggendo così 8 milioni di persone che vivono in zone soggette ai devastanti fenomeni del cambiamento climatico. E in Italia metà delle risorse annue generabili dalla TTF potrebbero contribuire ad esempio alla creazione di un Reddito di Inclusione Sociale per far fronte ai bisogni delle famiglie che versano in stato di povertà assoluta.
Nel prendere in considerazione il potenziale fiscale della TTF e nell’avallarne un impianto tecnico ambizioso, lo studio ribadisce -come anche la Campagna ZeroZeroCinque-, il valore di apripista di una tassa sulla transazioni finanziarie come misura di fiscalità comunitaria, e di regolamentazione finanziaria comune di un settore che ha usufruito nel momento più buio della crisi di piani pubblici di salvataggio per più di un terzo del PIL continentale (oltre il doppio del debito pubblico italiano), con ripercussioni drammatiche per i bilanci degli Stati, senza un apparente cambiamento del proprio modus operandi, restando lontano dal proprio ruolo di servizio all’economia reale, e contribuendo a un peggioramento dei livelli di diseguaglianza sociale.
“Il nodo vero per la democrazia e il benessere economico oggi, per l’Italia e per l’Europa è il rapporto di forza tra gli stati e la grande finanza. Sui tanti fronti aperti di questo grande tema ci giochiamo il nostro futuro. Le potenzialità di miglioramento rispetto alla situazione in cui viviamo oggi (in termini di risorse per gli investimenti nei beni pubblici globali e nelle economie locali, per la lotta alla diseguaglianza, per la prevenzione di nuove crisi finanziarie) sono enormi. La TTF rappresenta in questa battaglia un punto fondamentale simbolico e di sostanza (come ben illustrato dallo studio tedesco) per capire se avremo un futuro in cui la finanza sarà al servizio del bene comune o, al contrario, saranno cittadini e stati ad essere al servizio degli interessi di pochi gruppi della grande finanza”

sabato 14 marzo 2015

LA RAZZA UMANA STA PER ESTINGUERSI ?

Alcuni scienziati, incluso Guy McPherson, sono convinti del fatto che gli stravolgimenti climatici siano arrivati ad un punto tale da creare un circolo vizioso che porterà l'uomo all'estinzione.
Agosto, settembre e ottobre del 2014 sono stati, rispettivamente, i mesi più caldi mai registrati. Le annate pìù calde della storia, incluso il 2014, si possono collocare negli ultimi 16 anni.
È verosimile che entro il 2017 il carbone diventi la fonte di energia predominante, e ciò porterà ad un innalzamento delle temperature di almeno 6 gradi Celsius entro il 2050, con conseguenze devastanti sul clima.
“Ci sono voluti 20 anni e valanghe di dossier affinché gli esperti più autorevoli in materia di stravolgimenti climatici comprendessero la gravità della situazione ed il pericolo rappresentato da un impatto di questo tipo”.
Lo scenario descritto supera di gran lunga persino le peggiori previsioni formulate dall' IPCC (Comitato Intergovernativo Cambiamenti Climatici), secondo cui, se le cose andranno avanti di questo passo, la temperatura potrebbe aumentare di almeno 5 gradi Celsius entro il 2100.
Ma l'emergenza è ancora più grave.
Riguardo a quanto dichiarato dall' IPCC: Scientific America dice: “Un ventennio di ricerche e migliaia di pagine di studi non sono serviti a nulla. La maggiore autorità in materia di cambiamento climatico ha drasticamente sottovalutato la velocità con cui esso sta avendo luogo e le conseguenze che porta con sé”.
A livello politico e manageriale non si ravvisa nulla che faccia pensare alla possibilità di un svolta, di un cambiamento volto ad arginare gli stravolgimenti climatici provocati dall'uomo (in inglese ACD – Anthropogetic Climate Disruption).
Guy McPherson è professore emerito in materia di risorse naturali, ecologia e biologia evoluzionista. Collabora con l'Università dell'Arizona, che si occupa dell' ACD da trent'anni a questa parte.
“Lo scioglimento dei ghiacci del mare Artico potrebbe accelerare il processo di estinzione degli esseri umani: ecco uno degli 40 effetti retroattivi autoalimentati dall'ACD”.
Il blog di McPherson “Alla fine la natura colpisce” (Nature Bats Last) ha attirato un'enorme quantità di lettori, che peraltro continuano a crescere. Da sei anni a questa parte va in giro per il mondo tenendo conferenze su una materia scioccante e controversa anche per coloro che già la conoscevano: parliamo della possibilità dell'estinzione dell'uomo in seguito alla totale perdita di controllo delle perturbazioni climatiche di origine antropica.
Come McPherson afferma in Truthout “non siamo mai esistiti come specie e ciò ha delle ripercussioni gravissime sulla nostra razza e su tutto il mondo vivente”. Secondo lui il dissolvimento dei ghiacciai artici – una delle 40 conseguenze dell'ACD - coinciderà con la nostra estinzione. “Sarà un mondo completamente nuovo”, dice.
L'ultima volta che è stato intervistato, meno di un anno fa, McPherson ha individuato 24 possibili conseguenze dell'ACD. Ad oggi il numero degli effetti pronosticabili è salito a 40.
Abbiamo a che fare con circoli viziosi che non fanno altro che accelerare l'impatto di questo processo. Un chiaro esempio è rappresentato dal rilascio di metano nell'Artico, che, come già detto, si sta sciogliendo. Man mano che ciò avviene il metano, un gas serra che sprigiona 100 volte la potenza del biossido di carbonio in un brevissimo lasso di tempo, viene liberato nell'atmosfera surriscaldandola. Da qui il disfacimento della terra ghiacciata. E avanti di questo passo.
Nel giro di poco tempo il clima cambierà con una velocità 10 volte maggiore rispetto a quella con cui si è evoluto negli ultimi 65 milioni anni.
La prospettiva di McPherson può sembrare assurda, quasi fantascientifica. Eppure cose del genere sono già accadute. Secondo uno studio pubblicato nell'ottobre del 2013 nell'ambito di un dossier dell'Accademia Nazionale delle Scienze, 55 milioni di anni fa si è verificato un aumento della temperatura di 5 gradi Celsius nel corso di sole 13 annate. Una ricerca (qui) di Science risalente all' agosto del 2013 rivela che in breve il clima cambierà con una velocità 10 volte maggiore rispetto a quanto sia avvenuto in qualsiasi altro momento negli ultimi 65 milioni anni.
L'estinzione di massa del Permiano (nota anche come “The Great Dying”), che ha avuto luogo 250 milioni di anni fa, è stata causata da un'eccezionale colata lavica in Siberia. La conseguenza diretta è stata un innalzamento della temperatura globale di circa 6 gradi Celsius, che a sua volta ha causato lo scioglimento dei depositi di metano congelati in fondo al mare. Una volta rilasciato nell'atmosfera il gas non ha fatto altro che accelerare ed implementare il processo di surriscaldamento già in atto e la cui durata è stimabile intorno agli 80000 anni. È opinione condivisa il fatto che il cambiamento climatico sia stata la causa scatenante della scomparsa della maggior parte (a dir poco, visto che si tratta del 95%) delle specie allora esistenti sul nostro pianeta.
Ci sono prove in grado di certificare (qui) che allo stato attuale delle cose siamo nella stessa identica situazione, se non fosse per un piccolo particolare: l'origine del processo è assolutamente antropica e sta avendo luogo molto più velocemente.
Non è affatto improbabile che quest'estate del 2016 (qui) – o la prossima, al più tardi – assisteremo allo spettacolo dell'Artico senza ghiaccio.
E non appena ciò accadrà le fughe di metano aumenteranno drasticamente.
“Ci stiamo estinguendo molto più velocemente di quanto sia accaduto nel Permiano. E, non è da escludere, in modo più massiccio”.
Al momento ci troviamo nel bel mezzo di quella che la maggior parte degli studiosi individua come la sesta estinzione di massa nella storia del pianeta. Ogni giorno si estinguono (qui) tra le 150 e le 200 specie (un ritmo 1000 volte maggiore rispetto quello che è considerato lo standard). E ciò che aumenta rispetto al Permiano non è solo la velocità, ma anche l'intensità. La differenza sta nel fatto che questa volta il cambiamento è indotto dall'uomo stesso e non durerà certo 80000 anni, anzi: se è vero che fino ad oggi si è snodato nel corso di alcuni secoli, ora sta accelerando in maniera assolutamente non lineare.
Può essere che – come se non bastassero le enormi quantità di anidride carbonica generate dai combustibili fossili ed immesse nell'ambiente a livelli record (qui) – un aumento del rilascio di metano sia sintomatico dell'insediarsi di un processo simile a quello da cui è scaturita l'estinzione di massa? Degli studiosi, compreso McPherson, temono che questa non sia solo un'ipotesi, vista la gravità della situazione. E la cosa peggiore è che secondo alcuni le cose potrebbero precipitare in maniera molto più rapida di quanto pronosticato (addirittura nel giro poche decine di anni).
Thruthout è riuscito a bloccare McPherson durante la conferenza “La Terra in pericolo” (qui) e a fargli alcune domande circa le sue previsioni riguardo alla possibile estinzione degli esseri umani e alle conseguenze che ciò potrebbe avere sulle nostre vite.
Dahr Jamail: quali sono i segnali che, attualmente, ti lasciano perplesso – per non dire sconcertato?
Guy McPherson: ho viaggiato parecchio ultimamente, per cui non sono aggiornato da almeno 10 giorni. Ma, tanto per cominciare, c'è stata la bufera a Buffalo, New York. Non si è mai visto nulla del genere. Quasi 2 metri di neve in 24 ore. È stata la più grande tempesta di neve mai registrata negli Stati Uniti. Nel frattempo l'Australia va a fuoco. Sono appena rientrato dalla Nuova Zelanda dove, dal momento che si trova nell'emisfero Sud, è primavera. Per tutto il tempo che sono rimasto lì la gente non ha fatto altro che lamentarsi del caldo e del fatto che “è già estate!”. Tieni presente che quando io sono ripartito eravamo circa a metà della stagione primaverile. Siamo di fronte a prove empiriche.
Mi viene difficile pensare che, come specie, dureremo fino al 2030.
Giusto due settimane fa siamo riusciti ad innescare un altro circolo vizioso, il quarantesimo per la precisione. La settimana scorsa, invece, è stato pubblicato un rapporto secondo il quale ogni volta che la temperatura sale di un grado i fulmini aumentano del 7 percento. Il che non fa altro che alimentare un'altra catena, ovvero quella degli incendi, specie nell'emisfero nord (nelle foreste boreali in particolare). Più il clima si fa caldo e secco, più i roghi aumentano e di conseguenza anche la quantità di carbonio immessa nell'atmosfera, implementando ed accelerando gli stravolgimenti già in corso.
Più aumenta l'umidità, più aumenta il calore e quindi la frequenza dei fulmini. Questo è ciò che mi viene da pensare vista la dinamicità che l'atmosfera sta acquisendo.
Dal tuo punto di vista quanto resta all'umanità prima di estinguersi?
È una domanda difficile, e la nostra è una razza intelligente...è chiaro che stiamo assistendo ad un cambiamento climatico improvviso. Il metano nell'atmosfera è aumentato in maniera esponenziale. Paul Weckbith, ricercatore sul clima all'Università di Ottawa, afferma che nel giro di dieci anni le temperature potrebbero aumentare, in media, di 6 gradi celsius. Secondo lui resisteremo...io non riesco ad immaginare come. È anche vero che parliamo di un fisico ed ingegnere specialista di laser, ovvero di qualcuno che non ha molte competenze in materia di biologia e di habitat (inteso come insieme di requisiti che esso dovrebbe avere per assicurarci una possibilità di sussistenza...).
A me risulta persino difficile pensare all'eventualità di sopravvivere ad un innalzamento di soli 4 gradi (ben oltre il valore di riferimento dell'era pre-industriale...), cosa che potrebbe accadere in tempi brevi (addirittura entro il 2030). Non so se, come specie, saremo in grado di resistere.
Nelle mie conferenze, tuttavia, non indico mai alle persone una data precisa. Cerco piuttosto di ricordare loro che siamo mortali, che non sopravviveremo ancora a lungo su questo pianeta. E che quindi dovremmo dedicarci alla ricerca dell'amore, non dei soldi.
Cosa pensi che accadrà negli Usa se si avvereranno le previsioni di Beckwith e di altri scienziati secondo i quali in tempi brevissimi le temperature si alzeranno in maniera esponenziale?
L'interno dei continenti si sta scaldando molto più rapidamente di quanto accada in media a livello globale. Ciò significa che se la temperatura del pianeta aumenta di 6 gradi celsius, quella continentale interiore impenna di almeno 12 gradi. Il che, tradotto, vuol dire che lì l'uomo non può sopravvivere. Sono le condizioni tipiche di un ambiente marittimo.
“Mi risulta difficile pensare ad una situazione in cui le piante sopravvivono...loro non possono spostarsi...”.
Credo che i vari habitat si estingueranno prima ancora che venga toccato il limite dei 6 gradi celsius. L'acidificazione degli oceani è causa diretta della quasi totale scomparsa del fitoplancton. Mi risulta difficile pensare ad una situazione in cui le piante riescono a sopravvivere...loro non possono spostarsi... Niente piante niente habitat, c'è poco da discutere.
Un processo di evoluzione basato sulla selezione naturale non può adeguarsi ad un innalzamento delle temperature di 6 gradi celsius, nemmeno se si snodasse nel corso di alcuni decenni. E teniamo presente che, allo stato attuale delle cose, la velocità con cui il cambiamento climatico sta avvenendo ha già superato di gran lunga quella di un normale percorso evolutivo. Non vedo come il pianeta possa tenere il passo.
Siamo una razza intelligente, siamo in grado di muoverci. E chi riesce a mettere da parte un po' di viveri può ragionevolmente pensare di garantirsi la sopravvivenza per un certo lasso di tempo. Ma gli stravolgimenti climatici portano al caos sociale e viceversa...in ogni caso quando smettiamo di immettere dei solfati nell'atmosfera le cose vanno diversamente, anche negli Usa, in Europa ed in Cina – a cui peraltro va attribuita la responsabilità dell'aumento della temperatura media globale a cui stiamo per andare incontro. La letteratura ufficiale dice che ad ogni diminuzione dei solfati che si collochi tra il 35 e l' 80 percento corrisponderà un innalzamento della temperatura di circa un grado celsius. E questo nel giro di qualche giorno, di alcune settimane al massimo. Ciò significa che il sistema collasserà nel momento in cui avremo superato la soglia ridicola, fissata per ragioni di natura esclusivamente politica, dei 2 gradi celsius: una soglia la cui fondazione, al di là di quanto affermano Michael Mann e i cosiddetti esperti del clima, non ha nulla di scientifico. L'ultima volta che un grado celsius ha rappresentato un target scientifico è stato nel 1990, quando il comitato delle Nazioni Unite per l'osservazione dei gas serra lo ha individuato come tale.
Ma c'è di peggio. In uno studio presentato di recente David Spratt ribadisce che non solo il limite di un grado è irrisorio e che quello di otto è più che ragionevole, ma anche che quello di cinque è il Rubicone che non avremmo mai dovuto attraversare. Ebbene, l'abbiamo superato più di mezzo secolo fa, così come abbiamo varcato la soglia di un'altra serie di punti critici e di circoli viziosi. Un grado è un'assurdità, mezzo grado tanto quanto. E abbiamo sempre guardato a questi dati in maniera retrospettiva.
Cosa diresti alle giovani coppie che hanno figli o che stanno cercando di averne?
Che esiste il modo per prevenirlo (McPherson sorride e fa una pausa).
Cerco di incoraggiare le persone a coltivare le proprie passioni e a fare quello che a loro piace. A quanto pare a qualcuno piace far figli.
“Credo che il nostro dovere sociale sia di vivere qui, adesso, e di contribuire a fare in modo che anche gli altri siano felici. È come stare in un ospizio”.
È ovvio che mi sembra orribile come strategia, visto il poco tempo che ci resta da vivere in questo pianeta. Ma chi sono io per andare a mettere in discussione l'altrui diritto alla riproduzione?
Quindi se vi piace l'idea di mettere al mondo dei figli fatelo e abbiate cura di loro, a prescindere da quella che sarà la loro aspettativa di vita. Fate in modo che possano vivere felici, almeno per qualche anno. Credo che ciò valga per ognuno di noi, e se per qualcuno questo si traduce nella volontà di perpetuare la propria specie io non sono nessuno per impedirlo. Anzi, quello che cerco di fare è proprio esortare il prossimo a perseguire i propri sogni.
Visto che siamo già andati oltre, qual è la nostra responsabilità sociale e spirituale nei confronti di noi stessi e di degli altri, ora che a quanto pare siamo prossimi all'estinzione?
Credo che il nostro dovere sociale sia di vivere qui, adesso, e di contribuire a fare in modo che anche gli altri siano felici. È come stare in un ospizio. Dovremmo essere testimoni l'uno della morte dell'altro, così come di quella di molte altre specie che a causa nostra si stanno estinguendo.
Il nostro obbligo non è certo quello di continuare a recare danno alle altre razze. Siamo sull'orlo del baratro, il che non vuol dire che dobbiamo trascinarci dietro tutti gli altri.
Ecco il motivo per cui da un lato sono contento di come vanno le cose nel Pianeta a Rischio. È una situazione che ci costringe a tenere conto anche alle condizioni delle altre specie, delle altre culture e delle società diverse da quelle da cui proveniamo. Crediamo di avere tutto sotto controllo “noi” - qualunque cosa questo “noi” significhi - , senza tenere minimamente conto del fatto che dal punto di vista cosmologico la nostra razza è l'ultima ad essersi manifestata.
Quindi, tanto per cominciare, potremmo iniziare a cambiare atteggiamento a smetterla di considerarci “i primi”.
Pensi che lo stato di realtà a cui l'ACD – Anthropogetic Climate Disruption – ci ha condotti, quella realtà che da anni hai pronosticato, stia finalmente cominciando a penetrare nell'immaginario collettivo?
In maniera molto limitata. Di tanto in tanto mi capita di vedere qualche dossier trasmesso dai mass media in cui si dice che siamo ad un punto di non ritorno. Di fronte a notizie di questo genere la prima cosa che ti viene da pensare è che la calotta occidentale antartica stia per sciogliersi in mare, e che la stessa cosa stia per accadere ai ghiacci della Groenlandia.
“Abbiamo media corporativi ed un governo societario: ciò che Mussolini definiva “fascismo”".
Ciò che è peggio è che non abbiamo notizie 24 ore al giorno, bensì un ciclo ogni 24 secondi. Detto in altre parole discorsi come questi vanno, vengono, scoppiano e in men che non si dica siamo di nuovo a parlare dei Kardashians o di qualche altro fenomeno dello star system.
È difficile focalizzare per un po' di tempo l'attenzione di una cultura come la nostra sulle questioni che davvero contano.
Perché la questione dell'ACD non ha maggiore risonanza? Perché non viene trattata in maniera più diffusa? Dovrebbe essere al centro delle nostre conversazioni... Detto in altre parole tutto il pianeta, a quest'ora, dovrebbe essere lì a chiedersi “Ma che diavolo facciamo?” e a trovare delle soluzioni pratiche che rispondano a questa domanda... Ma così non è. Perché no?
I media sono nelle mani delle aziende. Una manciata di multinazionali controlla più del 90 percento dei mezzi di comunicazione di massa di questo paese. Abbiamo media corporativi ed un governo societario: ciò che Mussolini definiva “fascismo”.
Denunciare che la vita è breve non porta guadagno. I soldi si ottengono vendendo alle persone ciò di cui non hanno bisogno e che neanche si possono permettere. E ciò non fa altro che irrobustire ulteriormente le tasche dei vari Ceo. Il che, in ultima analisi, si traduce nel fatto che le corporations hanno in mano il sistema dei media e, di conseguenza, possono controllare il contenuto dei messaggi da cui veniamo bombardati ogni giorno.
Inutile dire che la tua previsione di estinzione in tempi brevi risulta opinabile per moltissime persone... Cosa rispondi a chi ti da dell'estremista?
Non faccio altro che riportare i dati raccolti da altri studiosi. Quasi tutti sono stati pubblicati da fonti ufficiali. Non credo che esista qualcuno che non è d'accordo con la Nasa o Nature, o Science o Proceedings of National Sciences... Gli altri che ho citato sono ben noti e provengono da voci legittimate come il NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), altre fonti legate alla Nasa etc... Non sono informazioni che mi sto inventando. Sto solo cercando di unire qualche puntino, cosa che a molti sembra risultare alquanto difficile.
Come la vedi? Cosa ti preoccupa di più ? Cosa ti spinge ad andare avanti?
E' più forte di me. Quando avevo sei anni sono tornato a casa con un sussidiario e l'ho fatto vedere alla mia sorellina di 4 anni. “Che cos'è questo?” le ho domandato. Lei mi ha risposto: “È un cane!”. Ed io, disgustato, ho replicato “No, questo è Spot”. Già da allora ero sdegnato dal fatto che lei non conoscesse la risposta esatta. Girando la pagina chiesi: “E questo che cos'è?”. “Un gatto”. “No!” feci io, sempre più indignato, “È Puff!”. A 6 anni stavo insegnando. Non è quello che faccio, è quello che sono. Non ne posso fare a meno.
Quindi il fatto di testimoniare, di divulgare delle informazioni, trovare dei nessi che i media hanno smesso di cercare è per me qualcosa di innato.
Il prossimo step sarà quello di smettere di fare il fanatico della scienza che muove dall'emisfero sinistro del cervello, il tipo che va in giro a dare informazioni e a ricordare alla gente che la vita è breve. Comincerò a concentrarmi sul cuore, o su quello che alcuni chiamano “lo spazio spirituale”. Cosa faccio adesso? Come mi comporto in quanto essere umano? Cosa emerge della mia umanità nel momento in cui mi assumo il compito di diffondere il concetto di caducità dell'esistenza? Forse non avremmo dovuto concentrarci sul lato materialistico dell'esistenza, perché lo abbiamo fatto a discapito di altri aspetti.
Ecco cosa farò nei prossimi mesi. Voglio affinare e perfezionare la mia tecnica di divulgazione affinché il messaggio abbia una risonanza maggiore,e per fare questo cercherò degli alleati che mi aiutino ad esprimerlo in tutta la sua grandezza. Non c'è lascito più importante per la nostra specie.
Hai già avuto modo di notare dei cambiamenti nel modo in cui le persone reagiscono di fronte a questo tuo nuovo approccio, meno basato sulla divulgazione delle notizie e più incentrato su ciò che hai appena descritto?
Certo, assolutamente. Prima sembravo un medico che poco ci sapeva fare con i pazienti.
Mostravo la camera, esaminavo le carte, a malapena guardavo negli occhi l'ammalato e, alla fine, mi rivolgevo a lui dicendogli: “Dal tuo aspetto si direbbe che hai ancora 6 settimane di vita. Ricordati di fermarti a pagare in reception prima di uscire, io scappo perché ho una partita di golf. Ci vediamo la settimana prossima, sempre se sei ancora vivo”. E me ne andavo.
Questo era il mio atteggiamento tipico durante le conferenze. Le persone mi hanno fatto notare quanto fosse inappropriato e fuori luogo. Per un invasato della scienza dell'emisfero sinistro è stata una medicina amara da ingoiare. Ma l'ho fatto.
E un anno fa mi è stato utilissimo partecipare ad ad un workshop dedicato alla gestione del dolore. Lì mi sono reso conto che in effetti soffrivo, e per giunta di un dolore anticipatorio. Da lì l'esplorazione di questo concetto ed il suo riconoscimento per ciò che è, non che dovrebbe essere. Basta con questi condizionali, non possiamo più permetterci di rimanere impantananti in un “dovrebbe”.
Come sottolinea Byron Katie nel suo ultimo libro, abbiamo bisogno di amare ciò che è. È “ciò che è è la realtà”. Abbracciamola quindi, amiamo questo pianeta vivente – anche se a causa nostra diventa sempre meno vivibile. Viviamo la gioia e portiamola a chi ci sta intorno.