La crisi che continua a prosciugare le economie dei paesi
dell’eurozona è scritta nel Trattato di Maastricht. A dar retta alle
veline ufficiali del governo e dei quotidiani nazionali, ne saremmo
fuori dopo la stima dell’ISTAT che prevede un misero 0,1% di crescita
nel primo trimestre dell’anno. Se accantoniamo il mondo immaginario
descritto dai media e dalle autorità governative, potremmo comprendere
perché questa crisi non potrà finire e non finirà fino a quando non sarà
raggiunto l’obbiettivo comune dei governanti europei e delle
istituzioni sovranazionali comunitarie: gli Stati Uniti d’Europa. Molti
hanno fatto notare come il Trattato di Maastricht così come è stato
scritto, contiene di per sé gli elementi che destabilizzano l’economia
degli stati membri.
I paesi membri dell’UE sono vincolati a specifici vincoli di bilancio, non possono più creare moneta ex nihilo e hanno perso la facoltà di svalutare il tasso di cambio. Sostanzialmente, gli strumenti di politica economica a disposizione delle nazioni, come il controllo della banca centrale o il potere di aumentare l’indebitamento statale, sono stati eliminati dal novero delle possibilità degli stati. Di fatto senza questi strumenti i margini di manovra per gli stati membri sono ben pochi, se non quelli di aumentare la competitività tramite la cosiddetta svalutazione del lavoro; si veda su questo punto la realizzazione del Jobs Act.
La condizione a cui sono sottoposti i paesi dell’UE è de facto in tutto e per tutto simile a quella del governo coloniale che vede le sue prerogative di azione fortemente limitate dagli interessi del colonizzatore. Uno stato di cose ben descritto dall’economista Wynne Godley che all’alba della nascita del Trattato di Maastricht descrisse chiaramente i tratti fondamentali e le conseguenze del progetto di integrazione europea: “E’ necessario sottolineare fin dal principio che la creazione di una moneta unica nella UE vorrebbe dire porre fine alla sovranità delle sue nazioni e al loro potere di agire indipendentemente sulle principali questioni. Come l'onorevole Tim Congdon ha sostenuto molto correttamente, il potere di emettere la propria moneta, e il potere di spesa di una banca centrale, è la cosa principale che definisce l'indipendenza nazionale. Se un paese rinuncia o perde questo potere, acquisisce lo status di un ente locale o di una colonia. Comuni e regioni, ovviamente, non possono svalutare. Ma perdono anche il potere di finanziare i deficit attraverso la creazione di denaro, mentre gli altri metodi di ottenere finanziamenti sono soggetti alla regolamentazione centrale. Né è possibile modificare i tassi di interesse. Dato che gli enti locali non possiedono nessuno degli strumenti di politica macroeconomica, la loro scelta politica si limita a questioni relativamente minori, ovvero un leggero aumento degli investimenti nell’istruzione, oppure una riduzione nelle infrastrutture esistenti.”
È alquanto chiaro che fin dal principio l’UE è stata concepita dettagliatamente in questo modo lasciando gli stati membri in preda alle fluttuazioni dei mercati finanziari e schiavi del debito che la Bce si rifiuta di onorare, non prendendo in considerazione l’ipotesi di emettere Eurobond oppure di finanziare il deficit degli stati, costretti a continui tagli di spesa e risucchiati in una spirale deflattiva inarrestabile. La trappola della liquidità è servita, e se non si cambia radicalmente la struttura che è stata descritta sopra e le politiche economiche dell’austerity continuano, difficilmente se ne potrà uscire. L’elemento da considerare è se tutto questo sia stato determinato per una mera incapacità degli estensori del Trattato, oppure se questa crisi sia voluta per poter giustificare un cambiamento ancora più grande che non gode ovviamente di alcuna legittimazione popolare. Le istituzioni europee hanno opposto più volte il rifiuto di correggere quegli errori, viceversa hanno difeso strenuamente l’impianto dei Trattati e quindi potremmo propendere per la seconda ipotesi.
Il processo di integrazione europea è un progetto che è stato scritto nelle sale degli alberghi di lusso dove si riunisce il gruppo Bilderberg o negli esclusivi circoli privati tanto amati dalle elite transnazionali. Una crisi dunque che è la conseguenza diretta di un progetto economico che ha lo scopo preciso di mettere gli stati nelle condizioni di fallire. Le conseguenze più gravi sono due: la prima è quella di edificare una società fondata sul neoliberismo, priva di alcuna concezione di solidarietà sociale e fondata sulla legge del più forte, scavando un fossato sempre più ampio tra le oligarchie padrone delle ricchezze delle nazioni e questo proposito può dirsi già pienamente compiuto; il secondo è innestare delle crisi artificiali per poi arrivare al conseguimento di piani o fini che altrimenti le opinioni pubbliche delle nazioni europee non avrebbero gradito o appoggiato. Le parole di Mario Monti su questo lasciano poco spazio ai dubbi: “ l'Europa ha bisogno di gravi crisi per fare passi avanti”.
Così come la crisi del 2011 è stata permessa e voluta per fare un passo successivo nell’agenda della cessione di sovranità, così l’austerità permanente è la cartina di tornasole per realizzare l’entità sovranazionale degli Stati Uniti d’Europa. Alan Greenspan, ex presidente della Federal Reserve ha dichiarato recentemente che “non c’è modo che l’euro possa continuare, fino a quando tutti i membri della zona euro non diventeranno politicamente integrati “. Dunque l’euro altro non è che la premessa di un progetto ancora più grande, ovvero quello di una costruzione di una mega entità sovrastatale eterodiretta dalle stanze di Bruxelles e Washington. E’ una costante ricorrente nella storia recente degli Stati Uniti e dell’Europa, l’utilizzo dell’evento catalizzatore per poter conseguire l’obbiettivo che altrimenti difficilmente sarebbe stato accettato dalla società civile, che attraverso il trauma del terrorismo o delle crisi economiche viene indotta ad accettare questi cambiamenti. Questa occasione non è da meno, e il conto alla rovescia per la nascita degli Stati Uniti d’Europa è già iniziato.
I paesi membri dell’UE sono vincolati a specifici vincoli di bilancio, non possono più creare moneta ex nihilo e hanno perso la facoltà di svalutare il tasso di cambio. Sostanzialmente, gli strumenti di politica economica a disposizione delle nazioni, come il controllo della banca centrale o il potere di aumentare l’indebitamento statale, sono stati eliminati dal novero delle possibilità degli stati. Di fatto senza questi strumenti i margini di manovra per gli stati membri sono ben pochi, se non quelli di aumentare la competitività tramite la cosiddetta svalutazione del lavoro; si veda su questo punto la realizzazione del Jobs Act.
La condizione a cui sono sottoposti i paesi dell’UE è de facto in tutto e per tutto simile a quella del governo coloniale che vede le sue prerogative di azione fortemente limitate dagli interessi del colonizzatore. Uno stato di cose ben descritto dall’economista Wynne Godley che all’alba della nascita del Trattato di Maastricht descrisse chiaramente i tratti fondamentali e le conseguenze del progetto di integrazione europea: “E’ necessario sottolineare fin dal principio che la creazione di una moneta unica nella UE vorrebbe dire porre fine alla sovranità delle sue nazioni e al loro potere di agire indipendentemente sulle principali questioni. Come l'onorevole Tim Congdon ha sostenuto molto correttamente, il potere di emettere la propria moneta, e il potere di spesa di una banca centrale, è la cosa principale che definisce l'indipendenza nazionale. Se un paese rinuncia o perde questo potere, acquisisce lo status di un ente locale o di una colonia. Comuni e regioni, ovviamente, non possono svalutare. Ma perdono anche il potere di finanziare i deficit attraverso la creazione di denaro, mentre gli altri metodi di ottenere finanziamenti sono soggetti alla regolamentazione centrale. Né è possibile modificare i tassi di interesse. Dato che gli enti locali non possiedono nessuno degli strumenti di politica macroeconomica, la loro scelta politica si limita a questioni relativamente minori, ovvero un leggero aumento degli investimenti nell’istruzione, oppure una riduzione nelle infrastrutture esistenti.”
È alquanto chiaro che fin dal principio l’UE è stata concepita dettagliatamente in questo modo lasciando gli stati membri in preda alle fluttuazioni dei mercati finanziari e schiavi del debito che la Bce si rifiuta di onorare, non prendendo in considerazione l’ipotesi di emettere Eurobond oppure di finanziare il deficit degli stati, costretti a continui tagli di spesa e risucchiati in una spirale deflattiva inarrestabile. La trappola della liquidità è servita, e se non si cambia radicalmente la struttura che è stata descritta sopra e le politiche economiche dell’austerity continuano, difficilmente se ne potrà uscire. L’elemento da considerare è se tutto questo sia stato determinato per una mera incapacità degli estensori del Trattato, oppure se questa crisi sia voluta per poter giustificare un cambiamento ancora più grande che non gode ovviamente di alcuna legittimazione popolare. Le istituzioni europee hanno opposto più volte il rifiuto di correggere quegli errori, viceversa hanno difeso strenuamente l’impianto dei Trattati e quindi potremmo propendere per la seconda ipotesi.
Il processo di integrazione europea è un progetto che è stato scritto nelle sale degli alberghi di lusso dove si riunisce il gruppo Bilderberg o negli esclusivi circoli privati tanto amati dalle elite transnazionali. Una crisi dunque che è la conseguenza diretta di un progetto economico che ha lo scopo preciso di mettere gli stati nelle condizioni di fallire. Le conseguenze più gravi sono due: la prima è quella di edificare una società fondata sul neoliberismo, priva di alcuna concezione di solidarietà sociale e fondata sulla legge del più forte, scavando un fossato sempre più ampio tra le oligarchie padrone delle ricchezze delle nazioni e questo proposito può dirsi già pienamente compiuto; il secondo è innestare delle crisi artificiali per poi arrivare al conseguimento di piani o fini che altrimenti le opinioni pubbliche delle nazioni europee non avrebbero gradito o appoggiato. Le parole di Mario Monti su questo lasciano poco spazio ai dubbi: “ l'Europa ha bisogno di gravi crisi per fare passi avanti”.
Così come la crisi del 2011 è stata permessa e voluta per fare un passo successivo nell’agenda della cessione di sovranità, così l’austerità permanente è la cartina di tornasole per realizzare l’entità sovranazionale degli Stati Uniti d’Europa. Alan Greenspan, ex presidente della Federal Reserve ha dichiarato recentemente che “non c’è modo che l’euro possa continuare, fino a quando tutti i membri della zona euro non diventeranno politicamente integrati “. Dunque l’euro altro non è che la premessa di un progetto ancora più grande, ovvero quello di una costruzione di una mega entità sovrastatale eterodiretta dalle stanze di Bruxelles e Washington. E’ una costante ricorrente nella storia recente degli Stati Uniti e dell’Europa, l’utilizzo dell’evento catalizzatore per poter conseguire l’obbiettivo che altrimenti difficilmente sarebbe stato accettato dalla società civile, che attraverso il trauma del terrorismo o delle crisi economiche viene indotta ad accettare questi cambiamenti. Questa occasione non è da meno, e il conto alla rovescia per la nascita degli Stati Uniti d’Europa è già iniziato.
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