mercoledì 23 novembre 2011

GIUSTAMENTE PROCESSATI BUSH E BLAIR

Per la prima volta saranno esaminate le accuse per crimini di guerra contro due ex capi di Stato, il processo contro George W. Bush (l’ex presidente degli Stati Uniti) e Anthony L. Blair (ex Primo Ministro britannico) si terrà a Kuala Lumpur. Questa è la prima volta che le accuse per crimini di guerra contro i due ex capi di Stato saranno esaminate nel rispetto di una corretta procedura legale.
Le accuse sono state dirette contro gli accusati dalla Commissione per i Crimini di Guerra di Kuala Lumpur (KLWCC), a seguito delle procedure previste dalla legge. La Commissione, dopo aver ricevuto denunce da vittime della guerra in Iraq nel 2009, ha proceduto ad effettuare un’accurata e approfondita indagine per quasi due anni e, nel 2011, ha costituito accuse formali per crimini di guerra contro Bush, Blair e i loro associati.
L’invasione dell’Iraq nel 2003 e la sua occupazione hanno provocato la morte di 1,4 milioni di iracheni. Innumerevoli altri hanno sopportato torture e privazioni indicibili. Le grida di queste vittime sono finora rimaste inascoltate dalla comunità internazionale. Il diritto umano fondamentale di essere ascoltati è stato loro negato.
Come risultato, nel 2008 è stato costituito il KLWCC  per colmare questo vuoto e per agire, come iniziativa  dei popoli, per fornire un modo a tali vittime per presentare le loro lamentele e per avere la loro giornata in una corte di giustizia popolare.
La prima accusa contro George W. Bush e Anthony L. Blair per Crimini contro la Pace:
Gli imputati hanno commesso crimini contro la pace, nel senso che le persone Accusate hanno pianificato, predisposto e invaso lo stato sovrano dell’Iraq il 19 marzo 2003 in violazione della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale.
La seconda accusa è di crimine di tortura e crimini di guerra, nei confronti di otto cittadini degli Stati Uniti che sono in particolare George W. Bush, Donald Rumsfeld, Dick Cheney, Alberto Gonzales, David Addington, William Haynes, Jay Bybee e John Yoo, in cui:
Le persone Accusate hanno commesso il crimine di tortura e crimini di guerra, in quanto: gli imputati hanno volontariamente partecipato alla formulazione di ordini esecutivi e direttive per escludere l’applicabilità di tutte le convenzioni e le leggi internazionali, in particolare la Convenzione contro la tortura del 1984, la Convenzione di Ginevra III, 1949, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Carta delle Nazioni Unite, in relazione alla guerra lanciata dagli Stati Uniti e altri in Afghanistan (nel 2001) e in Iraq (marzo 2003), inoltre, e/o sulla base e nel perseguimento dello stesso, le persone Accusate hanno  autorizzato o sono stati conniventi, ordinando atti di tortura e trattamenti crudeli, degradante e inumano trattamento nei confronti di vittime, in violazione del diritto internazionale, dei trattati e delle convenzioni tra cui la Convenzione contro la tortura del 1984 e le Convenzioni di Ginevra, inclusa la Convenzione di Ginevra III del 1949.
Il processo si terrà davanti al Tribunale per i crimini di guerra di Kuala Lumpur, che è costituito da eminenti personalità in possesso di qualifiche legali.
Il Tribunale giudicherà e valuterà le prove presentate, come in ogni tribunale. I giudici del tribunale devono essere convinti che le accuse sono provate oltre ogni ragionevole dubbio e fornire un giudizio motivato.
Nel caso in cui il tribunale condannasse uno qualsiasi degli imputati, l’unica sanzione è che il nome del colpevole sarà iscritta nel Registro dei Criminali di Guerra della Commissione e pubblicizzato in tutto il mondo. Il tribunale è un tribunale di coscienza e un’iniziativa dei popoli.


sabato 5 novembre 2011

L'ITALIA COMMISSARIATA

E alla fine arriva l’Europa. Al termine di un G20 vago e inconcludente come solo i vertici internazionali sanno essere, la notizia più interessante che portiamo a casa è il commissariamento del nostro Paese da parte del Fondo monetario internazionale e della Commissione europea. Ma anche per arrivare a questa meta la strada non è stata priva di ostacoli. Anzi. Ieri mattina a Cannes è andato in scena un vero e proprio giallo sulla sorte che sarebbe toccata all’Italia.

Fin dalle prime ore iniziano a circolare indiscrezioni stampa e bisbigli a mezza bocca da parte di vari e oscuri funzionari europei. La cosa davvero strana – alla luce di com’è andata a finire – è che fino al primo pomeriggio diverse fonti italiane si ostinano a negare la possibilità che il governo di Roma possa essere messo sotto controllo da Bruxelles e Washington.

Gettano la spugna solo quando, dal palco ufficiale, prende la parola Josè Manuel Barroso: “La prossima settimana – spiega il presidente della Commissione europea – sarò a Roma con i rappresentanti del Fondo Monetario per una missione che ha lo scopo di monitorare l’andamento delle misure in Italia”. Ma non è finita. La vera bomba arriva quando il portoghese specifica che “‘l’Italia ha deciso di sua iniziativa di chiedere a Ue e Fmi di monitorare i suoi impegni di riforme fiscali ed economiche”. Ah sì? Lo abbiamo deciso noi? E allora perché ce lo sta annunciando un portoghese?

Tanto per farci capire che aria tira, subito dopo Barroso prende la parola Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo: “Non si tratta di un diktat – ribadisce con forza - non abbiamo messo l’Italia all’angolo. La situazione è totalmente diversa dalla Grecia”. E ancora sottolinea che l’invito è arrivato direttamente dal nostro Esecutivo, in modo del tutto volontario. Poi, finalmente, un’illuminazione: “Tutto questo è estremamente importante per la credibilità delle misure annunciate”. Già, perché è questo il nostro vero problema. Se fossimo lasciati a noi stessi, nessuno – mercati in primis – si fiderebbe di noi.

La vera bastonata arriva però a fine pomeriggio, quando Christine Lagarde (non una parlamentare del Pd o dell’Udc, ma nientedimeno che il presidente dell’Fmi) decide di parlar chiaro: ”Il problema sul tavolo, chiaramente identificato tanto dalle autorità italiane che dai loro partner – sentenzia candidamente l’economista francese - è la mancanza di credibilità delle misure che sono state annunciate”.

Se questo concetto non risultasse ancora abbastanza chiaro, è sufficiente dare un’occhiata alle dichiarazioni dispensate nel frattempo da Silvio Berlusconi. Una conferenza stampa praticamente sotto dettatura, ma come al solito il Cavaliere non rinuncia a metterci un pizzico del suo spirito. Iniziamo dalle frasi di rito: “In questi giorni sono stato lungamente al telefono con il Presidente della Repubblica – rivela il premier – e abbiamo concordato con il Quirinale la nostra richiesta di certificazione al Fmi”. Addirittura l’istituzione di Washington ci avrebbe “offerto dei fondi”, ma noi, eroicamente, “abbiamo rifiutato”. In serata, poi, verrà seccamente smentito anche su questo.

Dopo di che inizia lo show. Di fronte alla crisi finanziaria che stritola come una tenaglia i conti italiani, il Presidente del consiglio liquida “l’avventarsi” degli investitori “sui titoli del nostro debito” come “una moda passeggera”. Rispolvera perfino un vecchio classico, quello del “cambio Lira-Euro che è stato fatto dal governo di allora a un livello che da sempre abbiamo ritenuto incongruo e penalizzante”. Si tratta di un vero cavallo di battaglia degli anni passati, che però, ormai da qualche tempo, non ricorreva più nella dialettica berlusconiana. Qualcuno doveva avergli spiegato che un cambio più forte di quello stabilito (1936,27 lire per un euro) avrebbe massacrato le nostre esportazioni. Ma ecco che questa chicca riemerge proprio oggi, a Cannes, nel 2011. Quasi che per un attimo Berlusconi abbia cercato di sentirsi di nuovo quello del 2001.

Purtroppo però non è finita. A sentire il premier, la stessa crisi in sé sarebbe una mezza invenzione: “L’Italia non la sente nel modo spasmodico che appare nella rappresentazione che ne fanno i giornali”. Poi, confondendo vita privata e Paese reale: “La vita in Italia è la vita di un Paese benestante. I consumi non sono diminuiti, i ristoranti sono pieni, per gli aerei si riesce a fatica a prenotare un posto”. Frasi che riecheggerebbero soavi nei patii di Arcore, ma che in un summit internazionale hanno tutto un altro effetto. Frasi che spiegano meglio di un trattato le ragioni del commissariamento.