giovedì 30 giugno 2011

L'AGONIA DEL CAPITALISMO

Da tempo sostengo che la crisi attuale del capitalismo è più che congiunturale e strutturale: E’ terminale!
Due ragioni, però, mi portano a questa interpretazione:
La prima è la seguente, la crisi è terminale perchè tutti noi, ma in particolare il capitalismo, abbiamo oltrepassato i limiti della Terra. Abbiamo occupato e depredato tutto il pianeta spezzando il suo sottile equilibrio ed esaurendo i suoi beni e i suoi servizi, fino al punto che non riesce più a sostituire da solo quello che gli hanno sequestrato. Già a metà del secolo XIX qualcuno scriveva profeticamente che la tendenza del capitale era di andare in direzione della distruzione delle sue due fonti di ricchezza e di riproduzione: la natura e il lavoro. E’ quello che sta succedendo.
La natura, in effetti, sta subendo un grande stress, come mai prima, per lo meno nell’ultimo secolo, i fenomeni estremi verificabili in tutte le regioni, i cambi climatici che tendono ad un riscaldamento globale crescente, parlano a favore di questa tesi.  Senza natura, come si riprodurrà il capitalismo? Ha incontrato un limite insuperabile.
Il capitalismo precarizza o prescinde dal lavoro. Esiste un grande sviluppo senza lavoro. L’apparato produttivo informatizzato e robotizzato produce di più e meglio, senza quasi alcun lavoro.
La conseguenza diretta è la disoccupazione strutturale.
Milioni di persone non entreranno mai più nel mondo del lavoro, neppure come esercito di riserva. Il lavoro, dalla dipendenza dal capitale, è passato a prescindere da esso. In Spagna la disoccupazione raggiunge il 20% della popolazione generale, e il 40% dei giovani. In Portogallo il 12% del paese e il 30% dei giovani. Questo significa una grave crisi sociale, come quella che devasta in questo momento la Grecia.
Tutta la società viene sacrificata in nome di un’economia fatta non per rispondere alle richieste umane ma per pagare i debiti con le banche e con il sistema finanziario.
La seconda ragione è legata alla crisi umanitaria che il capitalismo sta generando. Prima era limitata ai paesi periferici. Oggi è globale e ha raggiunto i paesi centrali. Non si può risolvere la questione economica smontando la società.
Le vittime, legate tra loro da nuovi viali di comunicazione, resistono, si ribellano e minacciano l’ordine vigente. Ogni volta più persone, specialmente giovani, non accettano la logica perversa dell’economia politica capitalista: la dittatura della finanza che, attraverso il mercato, sottomette gli Stati ai suoi interessi e la redditività dei capitali speculativi che circolano da una borsa ad un’altra ottenendo profitti senza produrre assolutamente niente che non sia più denaro per i suoi possessori di rendite.
E’ stato il capitale stesso a creare il veleno che lo può uccidere: nell’esigere dai lavoratori una formazione tecnica ogni volta migliore per essere all’altezza della crescita accelerata e della maggiore competitività, ha creato involontariamente persone che pensano. Queste, lentamente, vanno scoprendo la perversità del sistema che spella le persone in nome di un’accumulazione meramente materiale, che si mostra senza cuore nell’esigere più e più efficienza, fino al punto di portare i lavoratori ad un profondo stress, alla disperazione e, in alcuni casi, al suicidio, come succede in vari paesi del mondo.
Le strade di vari paesi europei e arabi, gli “indignati” che riempiono le piazza della Spagna e della Grecia, sono espressione di una ribellione contro il sistema politico esistente a rimorchio del mercato e della logica del capitale. I giovani spagnoli gridano “non è una crisi, è una rapina”. I ladroni hanno le loro radici a Wall Street, nel F.M.I. e nella Banca Centrale Europea, che sono i sommi sacerdoti del capitale globalizzato e sfruttatore.
All’aggravarsi della crisi cresceranno in tutto il mondo le moltitudini che non sopporteranno più le conseguenze del supersfruttamento delle loro vite e della vita della Terra e si ribelleranno contro questo sistema economico che ora agonizza, non per la vecchiaia ma per la forza del veleno e delle contraddizioni che ha creato, castigando la Madre Terra e affliggendo la vita dei suoi figli e delle sue figlie.

martedì 14 giugno 2011

L'UOMO CHE HA FREGATO UN INTERA NAZIONE

Silvio Berlusconi ha di che sorridere. A 74 anni ha creato un impero mediatico che lo ha reso l’uomo più ricco d’Italia. Domina la scena politica italiana dal 1994, è il Premier più longevo dopo Benito Mussolini ed è sopravvissuto a innumerevoli profezie di fine imminente. Eppure, nonostante i successi personali, come leader del Paese è stato un disastro, per tre motivi.
Due sono ben noti. Il primo riguarda lo scandalo della saga dei “bunga bunga”, uno dei quali ha prodotto il poco edificante spettacolo di un Presidente del Consiglio messo sotto processo a Milano con accuse che parlano di sesso a pagamento con una minorenne: il ‘Rubygate’ mette in cattiva luce non solo Berlusconi ma anche il resto del Paese. Per quanto vergognoso, lo scandalo a sfondo sessuale ha influito poco sull’attività del Berlusconi-uomo politico ed ecco perché l’Economist l’ha ampiamente ignorato.
In questi anni è stato processato più di una decina di volte, per frode, per falso in bilancio e per corruzione. Chi lo difende sostiene che non è stato mai condannato, cosa per altro non vera: alcuni casi sono arrivati a condanna, salvo poi essere prescritti per decorrenza dei termini; è successo almeno un paio di volte, visto che Berlusconi stesso ha fatto cambiare la legge.
Ma ora è chiaro che né la storia dei suoi loschi affari sessuali né quella dei suoi dubbi affari finanziari sarebbero la ragione principale per cui gli italiani dovrebbero ricordare Berlusconi come un disastro, anzi peggio, come una vero e proprio fallimento. Peggiore di tutti è il terzo difetto: la sua assoluta indifferenza nei confronti della condizione economica del Paese. Forse perché distratto dai problemi con la giustizia, in quasi nove anni da presidente del Consiglio non ha saputo riconoscere né rimediare alla grave debolezza economica dell’Italia. E’ per questo che lascerà dietro di sé un Paese in pessime acque.

mercoledì 8 giugno 2011

REFERENDUM 12-13 GIUGNO VOTA 4 SI!!

È im­por­tante il 12 e il 13 giu­gno rag­giun­gere il quo­rum ai Re­fe­ren­dum e sce­gliere il SI a tutti i que­siti. È un voto che può porre al­cuni li­miti a un mo­dello di svi­luppo in­so­ste­ni­bile, che ignora i co­sti am­bien­tali, so­ciali e i beni co­muni, e a un po­tere po­li­tico che cal­pe­sta giu­sti­zia e democrazia.
Un suc­cesso dei SI al Re­fe­ren­dum co­strin­ge­rebbe la po­li­tica – sia del go­verno che dell’opposizione – a fare i conti con la vo­lontà dei cit­ta­dini. L’impegno delle mo­bi­li­ta­zioni so­ciali non si li­mi­te­rebbe a ma­ni­fe­sta­zioni fi­nora ina­scol­tate, ma can­cel­le­rebbe al­cune delle peg­giori leggi in­tro­dotte dal governo.
Votate convintamente 4 SI!!!!!!!!!!!!!