domenica 30 marzo 2014

L'EUROPA NON SOPPORTA L'UNIONE EUROPEA

L’Europa non sopporta più l’UnioneEuropea. Il voto amministrativo francese ha solo anticipato la valanga di maggio, quando si voterà per il rinnovo del cosiddetto “Parlamento europeo”. Ovvero per un organismo senza poteri effettivi, men che meno quello che qualifica un qualsiasi Parlamento in regime liberale: il potere legislativo. Se non fa le leggi, d’altro canto, a cosa altro serve un “parlamento”?
Non si tratta di un dettaglio, perché rivela in un solo ossimoro la natura reale del processo di costruzione del “sovra-Stato” chiamato Unione Europea, già a suo tempo sintetizzata da Tommaso Padoa Schioppa come frutto di un “dispotismo illuminato” in azione da 30 anni.
Naturalmente, l’annunciata valanga “euroscettica” ha ben poco a che vedere con il furto di democrazia incarnato dalla Ue e molto con le politiche di austerità imposte al Continente da sei anni a questa parte. La protesta, vogliamo dire, nasce dal profondo del malessere sociale ingigantito dalla crisi economica e si rivolge in forme purtroppo molto deformate, sconclusionate, razziste contro un nemico che è comunque vero.
Quello che individua la gabbia da infrangere nell’”euro”, prima che nell’Unione, è per molti versi un processo oggettivo, ma acefalo. Si vede il coltello che taglia, non la mano che l’impugna, tantomeno il cervello che ha deciso l’azione. Una moneta funziona se rappresenta un potere, altrimenti non ha funzione di scambio. È la vecchia storia del dito e la luna, ma la madre dei cretini è sempre incinta…
Se non si capisce la contraddizione in cui siamo schiacciati, verremo schiacciati certamente. E la contraddizione non è quella – idologica e rassicurante – tra “europeisti” e “anti-europeisti”, né quella tra “sovranisti” e “comunitari” o peggio ancora tra “nazionalisti” e “internazionalisti”. Non stiamo parlando infatti di una battaglia che avviene nel cielo delle idee.
La contraddizione principale passa attraverso gli uomini e le classi, colpisce braccia e gambe e teste. Passa tra un processo di ristrutturazione fermamente governato dal capitale finanziario-manifatturiero multinazionale e la svalutazione generalizzata del lavoro; e si manifesta in abbassamento dei salari, precarietà, tagli al welfare (sanità, pensioni, istruzione, servizi pubblici), disoccupazione, sfratti.
Una contraddizione che si traduce insomma in compressione violenta dei consumi complessivi e quindi anche nell’impoverimento delle ex “classi medie”; quelle che sognano, come sempre, di tornare alla (loro) “età dell’oro”. E che quindi alimentano farfugliamenti – questi sì – nazionalisti, sovranisti, razzisti e xenofobi; e provano su questa base a prendere la guida della protesta.
Il primo tentativo – “brancaleonico” – è stato fatto con i “forconi”. I prossimi saranno più professionali, probabilmente…La pentola rischia di esplodere. Mario Draghi lo ha persino ammesso, due giorni fa: È stato devastante intervenire sul problema del debito greco imponendo perdite ingenti al settore privato (G20 di Deauville, maggio 2011) senza aver prima risanato i bilanci delle banche e senza aver ancora organizzato un credibile fondo di sostegno al debito sovrano dei paesi in difficoltà. La sequenza corretta avrebbe dovuto essere esattamente opposta a quella intrapresa.
Le figure apicali della borghesia multinazionale sanno benissimo il rischio che corrono: a forza di predicare il verbo dell’austerità e la legge dello spread stanno creando un deserto sociale, in cui gli unici soggetti che possono crescere solo quelli che “devono” affossarle. Per sopravvivere dentro questo sistema o per rovesciare “il sistema”.
Destra e sinistra, reazione conservatrice e rivoluzione popolare hanno questo campo davanti. Ma è un campo di battaglia, dove si compete per l’egemonia sociale, non “un discorso trasversale” dove ognuno trova il suo orticello. Tanto i fascisti, come in Ucraina e Ungheria, sono soltanto giannizzeri prezzolati, utilizzabili brevi manu, riassorbibili senza sforzo.
Lo hanno capito perfettamente i manipolatori dell’informazione mainstream, i creativi del “linguaggio” da imporre, gli innovatori degli immaginari collettivi: fascisti e nazisti – evidenti fino all’ostentazione in Ucraina e Ungheria, compassati e “perbene” nella vandea lepenista o leghista – sono “riqualificati”, rinominati, riassorbiti nella parola-totem populisti. E così anche quegli audaci che, sul fronte diametralmente opposto, indicano nell’Unione Europea (nella forma statuale, non nello “spazio geografico”) l’esoscheletro violento – e non riformabile – della classe dominante. Che va individuato come nemico assoluto, oggi, perseguendone la rottura.
Il conflitto sociale si muove dentro questa cornice totalizzante. E non caveranno un ragno dal buco quei soggetti convinti di poter avanzare semplicemente “condividendo un metodo” anziché un punto di vista all’altezza della sfida, dell’avversario, della posta in gioco.
Anche per questo, in Italia, ancora non si è riusciti ad unificare in un solo movimento di massa – come appena avvenuto in Spagna – la spinta conflittuale dei mille momenti di lotta (sindacale, territoriale, sociale, politica) che pure agitano lo smorto panorama di questo paese. Per questo, di conseguenza, lo “smorto panorama” resta tale.

giovedì 27 marzo 2014

LA TRAPPOLA EURO

L’euroscetticismo in Italia continua a sedurre gli elettori che in vista delle elezioni europee sono pronti a dare una scossa all’Ue rivendicando il ritorno alla vecchia valuta. L’istiututo di rilevazioni Datamedia ha chiesto agli italiani, se l’uscita dalla moneta unica possa rappresentare un fatto positivo. Ebbene quasi sei italiani su dieci hanno detto si. Nel dettaglio il 58,1 %. Un dato ancor più rafforzato dalla distanza tra il sì e il no, ben 22%. Ormai – si legge – la percezione diffusa è che una delle cause principali di questo malessere sia proprio la moneta unica. Insomma a quanto pare la vocazione europeista degli italiani è ormai al capolinea.
Inevitabile quindi la crescita dei partiti cosiddetti “Euroscettici” che volano nei sondaggi, e che se si alleassero potrebbero “sorpassare” l’unico partito europeista rimasto in Italia: il PD.
L’ex ministro Tremonti racconta la genesi della moneta unica, cosa ha portato all’introduzione dell’euro. Non solo. Il ministro parla anche del mistero dei derivati per l’Europa, “spericolate operazioni finanziarie inventate per occultare i costi di ingresso nell’euro con la complicità dei governo”. Ecco alcuni passaggi del libro.
Della nostra sovranità, di una visione dell’Italia come nazione, non possiamo fare a meno e, anzi, oggi ci serve più che mai. All’estero, per loro conto, lo hanno capito. Non per caso lo slogan elettorale del cancelliere Merkel era «per una Germania forte». E poi l’euro. Non è infatti solo con la globalizzazione che un mondo nuovo ha preso il posto di quello vecchio; è anche con l’euro che alla vecchia Europa economica si è sovrapposta una nuova Europa politica. La storia dell’euro si intreccia con alcuni «codici misterici», ovvero con alcuni segreti. Qui ne trattiamo due: quello dell’unificazione tedesca; quello dell’ingresso dell’Italia nell’euro.
1) Ancora alla fine degli anni Ottanta, come era stato nei precedenti decenni, era presente e un po’ dappertutto la paura storica della Germania. Nel 1989, dopo la caduta del Muro di Berlino, si temeva in specie che, se la Germania si fosse riunita conservando il suo marco, allora non sarebbe stata la Germania a integrarsi nell’Europa, ma l’Europa a integrarsi nella Germania, proprio come ora ci sembra di vedere.
Ufficialmente, lo scambio tra unificazione tedesca, fine del marco, nascita dell’euro è sempre stato escluso. Solo una volta, interrogato, un protagonista di quel processo rispose enigmaticamente: «Le grandi idee possono a volte essere servite dalle circostanze…». [...]
2) Per tutti questi ultimi, lunghi anni la versione ufficiale sull’ingresso dell’Italia nell’euro è stata questa: si è trattato di un grande successo dell’Italia, merito della sua illuminata e ispirata classe dirigente. Una classe che dell’ingresso nell’euro ha poi fatto il simbolo legittimante della sua assoluta superiorità e capacità, tecnica e morale. Tutti gli altri sarebbero stati e sarebbero ancora subeuropei e/o subcapaci. In realtà, non sembra che sia andata proprio così. All’opposto, sembra che a volere l’ingresso dell’Italia nell’euro non sia stata solo la nostra classe dirigente dell’epoca, ma anche l’industria tedesca, che, temendo d’essere circondata a gatto selvaggio dall’industria italiana, con le sue tipiche svalutazioni competitive, avrebbe convinto il sistema delle banche tedesche a far entrare a ogni costo l’Italia nell’euro. Allora l’industria tedesca formulò comunque, un ulteriore argomento, davvero lungimirante: una volta entrata nell’euro, l’industria italiana sarebbe stata intrappolata e spiazzata proprio dalla nuova moneta. Una moneta che, nel medio andare, si sarebbe infatti rivelata troppo forte per un’economia debole, come quella italiana.

lunedì 24 marzo 2014

LA SVOLTA DI MARINE LE PEN

La Francia è terra di rivoluzione, si sa. Forte delle pulsioni interne, dettate soprattutto da un assetto istituzionale presidenzialista e poco incline alla frammentazione partitica continua, la terra della r moscia e dello champagne  ha dato un forte scossone ai palazzi di Bruxelles. L’ottimo risultato ottenuto ieri al primo turno delle elezioni amministrative sembrano indicare un preludio di vittoria alle prossime europee. Un partito modificatosi negli anni quello dei Le Pen. Il passaggio di testimone ius sanguinis avvenuto pochi anni fa, nonostante gli iniziali sospetti destati, ha prodotto frutti di novità di notevole importanza. Dal filoaltlantismo antieuropeista all’euroscetticismo, dalla xenofobia tout court alla difesa dell’interesse nazionale. Già nel 2002 Le Pen padre raggiunse l’ottimo risultato di contesa della presidenza della repubblica al ballottaggio contro Chirac. Oggi sua figlia traccia il solco di una lunga rincorsa verso lo stesso obiettivo. Tappa fondamentale sarà appunto la tornata elettorale del prossimo maggio. Il rinnovo delle istituzioni parlamentari europee e, dunque, dell’inetto e inutile doppio parlamento di Bruxelles e Strasburgo, segnerà una svolta nella storia dell’Unione Europea. La crisi economica venutasi a creare nel 2008 ha espanso a dismisura, per fortuna, l’analisi macroeconomica di finanziamento del debito e della spesa pubblica per mezzo dell’emissione di moneta e dunque del signoraggio (diverso dal famoso signoraggio bancario). La devoluzione di competenza attribuita col trattato di Maastricht del 1992 alla BCE (banca privata slegata dal giogo pubblico e popolare)  in materia di sovranità monetaria e stampa di denaro pubblico, con le conseguenti restrizioni dei parametri inerenti l’inflazione, il rapporto deficit pil, hanno soffocato la maggior parte delle economie mediterranee, provocando per la prima volta nella storia dell’uomo il fallimento di uno Stato e, in misura minore ma cospicua, l’economia francese. Impassibile e galleggiante la grande Germania, fruitrice di un aumento delle esportazioni e dunque del pil, nonché detentrice di titoli greci a un tasso d’interesse usuraio. L’Europa dei popoli dicevano… Marine Le Pen e il suo Front National, attraverso un dettagliato programma economico e una ramificata rete di rapporti d’oltreconfine con i movimenti euro critici del continente, fra cui la Lega Nord di Salvini, è data da tutti i sondaggisti come capo del partito più grande dell’arco democratico francese. Prendendo con i guanti il dato statistico sarebbe utile tracciare una riflessione espandibile a parabola anche, e soprattutto in Italia. La destra francese, divisa in popolari e nazionalisti (Sarkozy-Le Pen), non ha mai intaccato con svolte radicali, o accorpamenti d’occasione contingentale, la propria identità politica e culturale. Le innovazioni apportate all’interno delle linee politiche e delle direttrici d’azione sono state partorite all’interno dei partiti, lontano dal parlamento (soprattutto a causa del sistema elettorale francese). Il futuro è stato creato, non lo si è subito. Marine Le Pen si pone come guida di un più ampio progetto europeo, lontano dall’orticello parigino; un progetto ideologico di liberazione dai poteri tecnofinanziari e burocraticoeconomici che schiacciano i popoli europei. Nessuna Fiuggi, nessun predellino, nessuna spaccatura, nessuna Fiuggi 2, ma soprattutto nessun passaggio all’interno del PPE. La coerenza paga, forse

venerdì 21 marzo 2014

LA STABILIZZAZIONE DEL PRECARIATO

Il silenzio di fronte alla manovra di Renzie che rende il precariato stabile e di fatto cancella le garanzie per i lavoratori dipendenti è l’ennesima prova che in Italia i lavoratori non hanno più rappresentanza. Gli “schiavi moderni” introdotti da Treu e Biagi con la benedizione dell’allora ministro del Lavoro Maroni diventano con Renzie strutturali. E’ un passo definitivo per cancellare il lavoratore dipendente e le lotte sociali del secolo scorso. Tutti schiavi. L’entusiasmo con il quale è stata accolta la manovra dai cosiddetti rappresentanti dei lavoratori li accomuna a dei tacchini in festa per il Giorno del ringraziamento. Dai polli di Renzo del Manzoni siamo passati ai polli di Renzie che si beccano tra di loro prima che gli venga tirato il collo.
La riforma del lavoro di Renzie prevede “il contratto di lavoro sino a tre anni con possibilità di rinnovo senza pause senza interruzioni e senza causali“. In sostanza il rinnovo del precariato ogni tre anni a discrezione del datore di lavoro senza più specificare il progetto al quale è destinato il dipendente e senza interruzioni tra un contratto e il successivo. Una equiparazione del contratto a tempo determinato a quello a tempo indeterminato che così nel tempo scomparirà. Tutti precari, più nessun dipendente con i diritti attuali. Un modo suggerito dall’Europa delle banche e accolto da Renzie con entusiasmo per scaricare i costi della crisi sulla diminuzione del costo del lavoro. Perché alla fine di questo si tratta. Barattare la diminuzione dello spread con la riduzione in semi schiavitù degli italiani. Mentre Renzie distrugge uno dei pilastri della società italiana, il lavoro, in attesa dei prossimi, la sanità e l’istruzione, i sindacati esultano per gli 80 euro solo promessi per ora. Avvisate la triplice sindacale che dovrebbero rappresentare i lavoratori, non le banche, forse a furia di frequentarle sono entrati in confusione mentale.

lunedì 17 marzo 2014

RENZI IL TELEVENDITORE

La più alta forma di comunicazione è quella che sprigiona la capacità critica dell’interlocutore rendendolo autonomo anche e soprattutto nei confronti di chi argomenta. Solo chi crede nell’ uguaglianza e prova un rispetto sincero per tutti i suoi simili può abbracciare tale prassi. Gli altri, quelli cioè che concepiscono i rapporti interpersonali alla stregua di una competizione mortale buona per selezionare i più scaltri e furbi, finiranno invece quasi sempre per fare l’esatto contrario. Alla seconda categoria appartengono certamente tipi come Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Qual è la caratteristica principale che accumuna entrambi gli aspiranti statisti? Quella di maramaldeggiare mediaticamente giocherellando disinvoltamente con le paure e le speranze di un uditorio concepito come gregge. Gli elitari, di destra o sinistra poco importa, modulano il racconto a seconda del soggetto al quale si rivolgono. Nelle discussioni interne, quelle fra pari, tutti i protagonisti della politica italiana ammettono con sfumature diverse che la tanto agognata ripresa dell’Italia è impossibile alle condizioni date.  Senza cioè ridiscutere il Pareggio di Bilancio, il Fiscal Compact e l’anacronistico limite del 3% nel rapporto deficit/pil non sarà possibile rivedere la luce. Un politico onesto, desideroso di difendere per davvero i diritti del suo popolo, cosa farebbe quindi una volta metabolizzate queste cristalline evidenze? Affronterebbe di petto il problema anche a costo di inimicarsi i favori dei grandi burattinai di Bruxelles. Siete d’accordo? Bene. Un lestofante invece, vanesio e laido, per nulla attento alla condizione materiale e spirituale dei cittadini fatti sudditi, che tipo di strategia adotterebbe nella speranza di continuare ad impoverire la gente senza però  alienarsene il favore? Quella messa in scena l’altro giorno dal pinocchietto fiorentino. Renzi, ennesimo pupazzo tirato al laccio dal Venerabile Draghi, incarna una suggestione di massa, una ipnosi collettiva che serve per spostare l’attenzione dal mondo razionale (quello dove tutti capiscono che sono le regole europee a strozzare le economie dell’area euro), verso quello emozionale (area onirica nella quale i fedeli soffrono in conseguenza del peccato originale o del debito pubblico). Renzi, che odia gli italiani almeno quanto i suoi predecessori Monti Letta, ha però bisogno di essere legittimato dal voto. Salito al potere grazie alla solita volgare manovra di Palazzo, il Rottamatore teme un eventuale flop alle prossime elezioni europee. Ecco spiegato il perché della fretta nel realizzare al più presto il miracoloso aumento di 1000 euro l’anno in favore delle fasce deboli. Zuccherino da consegnare al popolo bue  in previsione del voto, salvo poi chiederne la restituzione con interessi nelle more della prossima legge di Stabilità. D’altronde non ci vuole un genio per capire che, operante il Pareggio di Bilancio, ogni euro consegnatovi dalla mano destra vi verrà scippato da quella sinistra. E non ci vuole nemmeno un grande fenomeno per intuire che, con l’entrata in vigore del Fiscal Compact, ogni carezza che lo Stato vi riserverà in futuro dovrà presto o tardi essere compensata da due cazzotti. I Trattati europei impongono infatti agli Stati membri di tassare il settore privato in misura superiore al livello di spesa previsto per assicurare il benessere dei cittadini. E se ognuno di voi, di anno in anno, dovesse provvedere a distillare due bicchierini d’acqua sempre dalla stessa bottiglia per poi reinserirne soltanto uno, presto o tardi si ritroverebbe con il solo involucro in mano. Quella bottiglia è l’Italia, l’acqua è la ricchezza privata dei cittadini, mentre il distillatore professionale è Renzi. Non dimenticate mai che l’obiettivo perseguito dai massoni reazionari del Venerabile Draghi è quello, come tra l’altro candidamente ammesso dallo stesso Presidente della Bce, di colpire al cuore il welfare sul modello europeo. Per riuscirvi è indispensabile azzannare la spesa pubblica. L’idea quindi di coprire modesti aumenti salariali con ben più pregnanti tagli alla spesa è perciò perfettamente funzionale ai disegni dei perversi padroni ora al potere. Dopo essere riusciti a smantellare il diritto del lavoro veicolando la menzogna della precarietà che aiuta l’occupazione  (tutti i dati dimostrano il contrario), gli apprendisti di Draghi liquideranno adesso quel che resta dello Stato sociale cavalcando il mito del debito pubblico che grava sulle giovani generazioni. Renzi gronda preoccupazione per il fatto che “ogni italiano nasce con 33 mila euro di debito pubblico sulla testa”. Sappiate che se per davvero la ricchezza e la solidità di una Nazione dipendesse dall’ammontare del debito pubblico, la Bulgaria e l’Estonia (che vantano un debito pubblico vicino allo zero) sarebbero le principali potenze economiche del Vecchio Continente. Mentre il Giappone e gli Stati Uniti risulterebbero Paesi da Terzo Mondo. Nessun uomo onesto potrebbe accettare conclusioni tanto paradossali e strampalate che fanno a pugni con il più elementare buon senso. Solo un "furbetto" del livello di Renzi riuscirebbe a farlo. E infatti lo fa.

venerdì 14 marzo 2014

RENZI: DA CREDERCI OPPURE NO?

“Vi potrei dire che le tasse le tagliamo dal primo maggio, perché dire il primo aprile sembrava un pesce d’aprile. “Però vi dico la verità: ’Non ja famo”. Un Matteo Renzi, istrionico, energico e di sfondamento risponde così a chi in conferenza stampa gli chiede perché non taglia l’Irpef dal primo aprile, come aveva annunciato. “Volevo farlo, ma sono stato respinto con perdite. Non ci sono i tempi tecnici, bisogna modificare le buste paga”. E però: “Sono 20 anni che si annuncia di abbassare le tasse, uno le abbassa e fateci pure le pulci…”. Al di là delle pulci, il problema è (elettoralmente) serio e il presidente del Consiglio lo sa benissimo. Mille euro in più all’anno in busta paga per 10 milioni di lavoratori sono un annuncio a effetto, una promessa mirabolante. E anche una misura evidentemente portatrice di voti e di consensi. E cosa cambia dal primo aprile al primo maggio? Che il 25 maggio ci sono le europee, il primo vero test elettorale del premier-segretario. Che si gioca tutto: se va bene, è ossigeno per il governo e per il suo futuro. Se no, è l’inizio della fine. Per essere una vittoria il Pd deve prendere dal 30 per cento in su (Bersani alle politiche arrivò al 25,4%, guai ad andare sotto). Gli stipendi arrivano al 27 del mese: dunque, primo maggio significa in realtà 27, come ammette lo stesso Matteo. “A chi ha dubbi suggerisco di aspettare il 27 maggio per vedere santommasianamente se i denari ci sono”. Non a caso mentre ieri Renzi lavorava sui dossier economici, Lorenzo Guerini, il portavoce della segreteria (in questo momento il segretario in pectore) stava al Nazareno a lavorare sul Pd: prima di tutto, proprio le liste per le europee. E poi, questioni locali, in generale gestione del potere renziano.
Renzi in conferenza stampa recupera la sua forza persuasiva. Però viene da 24 ore difficili. La cabina di regia a Palazzo Chigi è stata sveglia tutta la notte tra martedì e mercoledì. Motivo, proprio la ricerca delle coperture per il taglio dell’Irpef. Renzi ha insistito, si è arrabbiato, ha spinto per riuscire a portare a casa la misura nella data desiderata. Ma la struttura del ministero dell’Economia, la ragioneria di Stato, gli ha detto di no. Non si fa in tempo, punto e basta. In preda al nervosismo, martedì sera lo stesso premier rilasciava interviste a tutto spiano per dire che lui i soldi ce li ha. Pure la mattinata di ieri non è stata delle più rilassate: sul voto finale alla legge elettorale temeva di andare sotto e mandava messaggi per tutto il dibattito ai fedelissimi. L’Aula stavolta non l’ha tradito. Subito un tweet: “Grazie alle deputate e ai deputati. Hanno dimostrato che possiamo davvero cambiare l’Italia. Politica 1~Disfattismo 0. Questa è #laSvoltabuona”. In serata la rivendicazione: “A dispetto dei gufi l’Italicum è passato con 200 voti di scarto”. Ed è “una rivoluzione per l’Italia”.
Il Pd gli ha messo i bastoni tra le ruote, l’ha fatto penare, annuncia battaglia a Palazzo Madama? Renzi alza il tiro. E butta lì la promessa/minaccia: “Se non passa la fine del bicameralismo perfetto non finisce solo il governo, ma considero chiusa la mia esperienza politica”. Insomma, o me o il Senato. Come i perfetti giocatori di poker, ancora una volta il presidente del Consiglio la mette giù durissima: si fa come dico lui. “Io ascolto tutti, ma siamo noi che decidiamo”. Per adesso la riforma del Senato è una bozza. Nei prossimi 15 giorni verrà sottoposta a tutti, poi diventerà un disegno di legge. Anche qui, guai in arrivo: Renzi si dovrà sedere al tavolo con tutti, con i gruppi di maggioranza, ma anche con Fi. Forse di nuovo con lo stesso Berlusconi: nel patto del Nazareno fu siglato nel dettaglio l’accordo sulla legge elettorale. Adesso bisognerà fare lo stesso con il Senato. Sempre più difficile. Ma la specialità di Renzi è proprio spingere le situazioni fino al punto di rottura, arrivare fino al ciglio del burrone.
Raccontano che ieri in Cdm c’è stata qualche alzata di ciglia. E che Padoan ha fatto qualche puntualizzazione sulle coperture. Ma alla fine Renzi ha strappato l’approvazione politica al suo piano (si è fatto votare la sua relazione, un inedito). E ha persino incassato qualche apertura inaspettata. Come la nemica Camusso che plaude al taglio delle tasse sul lavoro. E si scambia di ruolo con Landini, che avverte: “I sindacati vanno ascoltati”. Per dirla con Del Rio: “Una rivoluzione”. E gli altri ministri? “Uniti nella lotta”. Nel suo mercoledì, Il leone non ha dato la zampata, ma il ruggito s’è sentito forte e chiaro.

lunedì 10 marzo 2014

LE STESSE FACCE DEL POTERE

Le parole di Renzi:“ i conti non tornano, i numeri di Letta sono sbagliati”. La stessa cosa disse Prodi di Berlusconi. Poi Berlusconi di Prodi. Poi Monti di Berlusconi, eccetera. Le loro idee sono tratte dalla stessa fonte.
Aumentano le tasse, a giugno fanno sembrare che le cose hanno un senso. A settembre il debito aumenta ancora. Sono personaggi fatti per creare illusioni. Purtroppo siamo tutti noi, o meglio, la maggioranza di noi, che sostiene questo sistema. E di conseguenza, il sistema, tutto acquista potere. Ancora questa umanità non cambia. Non c’é amore ne per se stessi, né per la terra. E nessuno ci aiuta, poiché l’unico che può darci aiuto, darci la forza, siamo noi stessi.
Se la guardia di finanza segue tutte le fatture di consulenza delle regioni, comuni, enti pubblici, opere pubbliche, si renderanno conto che tutte fanno capo a società e persone della politica, ossia sempre le stesse.
Altra considerazione. La grande distribuzione è in mano alle cooperative, che ormai fanno capo alle solite società francesi. Per legge le cooperative hanno una gestione interna, senza controlli. E non pagano le tasse.
Una cooperativa, come la iper coop che fattura oltre cento  milioni di euro è una società, ma non paga le tasse come il resto delle società. Ma questo è solo ciò che la maggior parte di noi ha voluto. Quando si arriva qui, sulla terra la maggior parte di noi ha grande propositi, di fratellanza, di umanità.
L’uomo dimentica facilmente. E le religioni, aiutano a far dimenticare. Anche questo dna è da riprogrammare.

mercoledì 5 marzo 2014

UCRAINA COME L'ITALIA

Si chiama Arsenij Jacenijuk ha 39 anni ed è il capogruppo del partito di Yulia Timoshenko “Patria” ed è anche il candidato premier presentato già durante la rivolta di Kiev, già ministro dell’economia, degli esteri e presidente del parlamento.
Fino qui potrebbe sembrare uno dei tanti politici ed invece no, c’è di più, anche Jacenijuk arriva dal mondo bancario, economista e giurista di professione, possiamo scommettere che anche lui non prenderà minimamente in considerazione l’aspetto giuridico che riguarda la proprietà dell’euro, ne siamo sicuri, anche lui come Mario Monti in Italia sarà costretto dall’elitè internazionale mondialista a prendere misure drastiche per un paese ormai già in ginocchio, la lunga mano dell’unione europea si stringerà attorno al collo degli ucraini, Putin permettendo.
Il nuovo premier ha altri assi nella manica però, non solo viene definito dal settimanale “Focus” un “banchiere intellettuale” ma le sue origini ebraiche spianano la strada verso il potere, infatti già dal 2005 dopo la “rivoluzione arancione” è stato ministro dell’economia fino all’agosto del 2006, diventa l’anno successivo ministro degli esteri per poi prendere la presidenza del parlamento dal 2007 al 2008.
Oggi questo ennesimo losco figuro prende in mano le redini di un paese che è stato “europizzato” con le cattive perchè al veleno Euro non si può fare a meno, ogni stato ancora autonomo e deciso a non adottare la moneta unica verrà avvelenato e raso al suolo come l’Ucraina ma non solo, la Grecia, il Portogallo, la Spagna e la stessa Italia se non ci decidiamo davvero a prendere una posizione netta sulla proprietà popolare della moneta.

sabato 1 marzo 2014

GLI ULTIMI COLPI DI CODA DEL DECLINO IMPERIALISTA AMERICANO

In ogni parte del globo, nazioni sovrane subiscono l’ira del declinante sistema imperialista degli Stati Uniti. L’imperialismo USA perde la presa quale economia capitalista dominante nel pianeta. Per conciliare l’umiliazione e mantenere il predominio economico in caduta, l’imperialismo degli Stati Uniti ha fatto ricorso alla costruzione di un vasto impero militare all’estero, per schiacciare gli Stati indipendenti. Dal 1945, passando per l’appello di GW Bush per il “New American Century”, il rovesciamento di governi democraticamente eletti e palesi atti di guerra ebbero il consenso popolare negli Stati Uniti prima o furono segretamente eseguiti dalla CIA. Ora, con l’economia capitalista globale in crisi permanente, gli Stati Uniti e i loro alleati sponsorizzano i cosiddetti “movimenti di protesta” e gruppi “d’opposizione” per scatenare guerre che la maggioranza degli statunitensi non supporta più. In nessun luogo ciò è più chiaro che in Venezuela, Corea democratica e Ucraina. Come in Libia e Siria, Venezuela e Ucraina lottano contro i gruppi d’”opposizione” di Washington, che tentano d’installare regimi filo-USA. Al governo democraticamente eletto del Venezuela non è mai stato perdonato di aver tradito la volontà dell’oligarchia neo-coloniale e di voler riformare completamente la base elettorale ed economica allineandosi agli interessi della maggioranza povera del Venezuela. Il governo bolivariano ha compiuto notevoli progressi riducendo la povertà e nell’assistenza sanitaria, nell’alfabetizzazione e nell’istruzione. Ma i media aziendali e i leader politici statunitensi vogliono far credere che i manifestanti “antigovernativi”, finanziati ogni anno con 5 milioni di dollari dal governo degli Stati Uniti, rappresentino gli interessi della maggioranza venezuelana. Indubbiamente, l’oligarchia venezuelana e i loro padrini di Washington sono irritati dai loro rappresentanti, che hanno perso oltre il 70 per cento dei comuni nelle elezioni locali e non sono riusciti ad andare al governo in quello che Jimmy Carter, nel 2012, definì il più democratico processo elettorale presidenziale nel mondo.
In Ucraina, un movimento di “protesta” armato è allevato da NATO e Stati Uniti. Questi “manifestanti”, pesantemente armati, chiedono che il governo ucraino apra le relazioni con l’UE consentendo che l’economia diventi possesso del capitale finanziario. Il governo ucraino ha sfidato le pretese dei loro alleati occidentali, volgendosi alla Russia. L’alleanza USA-NATO-UE considera l’Ucraina futura base militare della NATO e risorsa economica per affrontare l’austerità e la crisi che sconvolge l’ordine capitalista europeo. Solo un colpo di Stato, a questo punto, poteva raggiungere tali obiettivi. La sostituzione del Presidente Janukovich con un governo filo-UE esacerba le difficoltà economiche e respinge la speranze di Russia ed alleati per un ordine globale multipolare economico e militare. A livello di soft power, un nuovo rapporto è emerso alle Nazioni Unite, sulla base di interviste a esuli residenti in occidente e Sud Corea. La relazione conclude che il leader della Corea democratica Kim Jong Un, dovrebbe essere deferito alla Corte penale internazionale per “crimini contro l’umanità.” Ipocrisia totale del  rapporto. Gli Stati Uniti non hanno mai concluso la guerra contro la Corea, firmando solo un armistizio nel 1953, che tiene il Paese diviso tra RPDC socialista e la neo-colonia Corea del sud.  Gli Stati Uniti non sono mai stati processati da un qualsiasi organismo internazionale per i loro crimini di guerra, e tanto meno per i bombardamenti terrificanti che lasciarono in rovina la Corea  con migliaia di morti e profughi. Né il rapporto delle Nazioni Unite ammette che le sanzioni USA alla Corea democratica, imposte dopo la caduta dell’Unione Sovietica, sono un palese atto di guerra. Gli Stati Uniti, non la Corea democratica, usano “il cibo come arma” contro il popolo della Corea democratica, bloccando l’accesso dall’estero delle risorse necessarie per incrementare la produzione alimentare. Infine, l’ONU tace sui crimini del governo sudcoreano, che accresce le masse impoverite e imprigiona i dissidenti del suo regime. L’ONU e il suo sovrano, gli Stati Uniti, non criticano le operazioni militari della Corea del Sud, che violano la sovranità della Corea democratica. Infatti, il rapporto delle Nazioni Unite è stato stilato al solo scopo di giustificare un ulteriore intervento statunitense contro la Corea democratica, per imporre il predominio geopolitico.
La realtà è che il sistema imperialista degli Stati Uniti è in un così terribile stato economico che deve contare sulla guerra in ogni angolo del globo per mantenere la propria rilevanza. L’imperialismo degli Stati Uniti non può più condurre ampi bombardamenti o rovesciare impunemente governi democraticamente eletti con la CIA. Per bypassare la Russia e la Cina alle Nazioni Unite, l’imperialismo statunitense deve ricorrere alla manipolazione di massa attraverso i  media e la rete di agenzie d’intelligence, militari privati e nazioni alleate nelle organizzazioni imperialiste come la NATO, per addestrare e finanziare i cosiddetti “movimenti di protesta” e “gruppi d’opposizione”. Venezuela, Ucraina e Corea democratica sono vittime dell’inganno mediatico e del terrorismo mercenario sponsorizzato dall’alleanza USA-occidente governata da Wall Street. Gli antimperialisti negli Stati Uniti devono difendere il diritto alla sovranità di questi Paesi e organizzare la resistenza interna all’imperialismo degli Stati Uniti. Inoltre, gli antimperialisti negli Stati Uniti devono spiegare ai cittadini il legame tra l’imperialismo USA all’estero e la maggiore austerità, povertà, razzismo, le grandi prigioni e lo stato di polizia interni.