venerdì 29 marzo 2013

L'EUROPA DELLE BANCHE E DELLA BANCAROTTA

L’euro non si è dissolto, ma la politica dei leader dell’Eurozona ha già fatto abbastanza danni che non saranno mai riparati. Non è un mistero per nessuno che le popolazioni di Portogallo, Spagna, Italia, Grecia e Cipro vivano oggi in condizioni peggiori di quanto non lo fossero prima dell’introduzione della moneta unica. Quello che è grave è che la situazione potrebbe ancora peggiorare, sostengono gli economisti.
Prima che scoppiasse la crisi cipriota l’Unione europea aveva sempre mostrato il suo pugno di ferro, chiedendo ai Paesi parte dell’Eurozona di rispettare gli obiettivi di deficit e Pil posti dal Trattato di Maastricht.
L’euro aveva, infatti, portato a una prosperità illusoria, durata fintanto che non è emersa la crisi del debito. Poi si sono susseguite manovre di tassazione sempre più pesanti, tagli alle pensioni improponibili. E’ scoppiata una disoccupazione che non conosce limiti. Un dato di fatto però c’è. “E’ il fardello del debito con cui le nazioni più in difficoltà continuano a convivere”, riprende Ilargi Meijer.
Calzante è l’esempio di Cipro. Secondo il giornalista non è una vittima dell’euro come le altre. Qui a fare la differenza è la tempistica. Entrata nell’Unione europea nel 2004, l’isola non ha introdotto la moneta unica fino al 2008.
Ma già da allora le sue attività bancarie rappresentavano il 450% del Pil: avrebbero messo a dura prova la stabilità dell’intero sistema euro. Bruxelles è rimasta a guardare.
Quello che deve essere modificato è il meccanismo di funzionamento della democrazia europea. “Viviamo in una democrazia dove la Germania con la sua quota pari al 24% della popolazione dell’Unione europea, decide la linea da seguire”. Berlino lo fa con una visione limitata, che si ferma ai confini del Paese. “A loro non importa quello che succede alla gente per le strade di Nicosia, di Porto o di Siviglia; l’importante è che non si tocchi il loro lavoro, i loro risparmi, il loro benessere – conclude Ilargi Meijer – . Sono degli intoccabili”. Ma hanno fallito.

venerdì 15 marzo 2013

LA SVOLTA EPOCALE CON PAPA FRANCESCO

Il nuovo Pontefice è Jorge Mario Bergoglio, 76 anni, arcivescovo di Buenos Aires. Si chiamerà Francesco I. Argentino di origini piemontesi, gesuita, Bergoglio è diventato una figura di riferimento nella Chiesa sudamericana, e il suo peso è cresciuto anche nel collegio cardinalizio. Jorge Mario Bergoglio, gesuita, arcivescovo di Buenos Aires (in Argentina), ordinario per i fedeli di rito orientale residenti in Argentina e sprovvisti di ordinario del proprio rito, è nato nella capitale argentina il 17 dicembre 1936. Francesco I non è solo il primo papa sudamericano: è anche il primo pontefice gesuita della storia.
Semplice, alla mano, spontaneo e disponibile: sono queste le prime impressioni di molti dei fedeli che ancora affollano piazza San Pietro sul pontefice Francesco I. Ma la cosa che ha più convinto la maggioranza dei fedeli è che è un «bellissimo segnale che abbia scelto di rifarsi a San Francesco». Per molti questo vuol dire «che la Chiesa ha scelto di occuparsi dei poveri, dei semplici, degli umili e soprattutto degli ultimi». Infine, tanti fedeli sono contenti che i cardinali hanno scelto «di dare importanza ai Paesi latinoamericani».
Auguroni al nuovo Pontefice per il duro lavoro che lo aspetta!!

lunedì 4 marzo 2013

LA STRANA DEMOCRAZIA INTERNA DELLE 5 STELLE

Grillo non vuole cambiare la politica, vuole cambiare la democrazia. Non vuole sostituirsi al potere esistente, ma lo vuole stravolgere; vuole rifondare le basi che regolano il rapporto tra il cittadino e lo Stato, la sua partecipazione attiva alla cosa pubblica. Grillo, come ha detto lui stesso, se non lo avete capito vuole “cambiare il mondo”.
Ecco perché suscita tante preoccupazioni soprattutto in chi crede nella centralità delle assemblee elettive, nell’importanza fondamentale e unica del parlamento come luogo in cui il popolo sovrano esercita i suoi poteri e si difende dai poteri privati che cercano di condizionare la vita pubblica.
Grillo suscita inquietudine perché è un antiparlamentarista convinto. Per lui il parlamento è il luogo dove la politica diventa una cosa cattiva, dove la volontà popolare si corrompe. Il parlamento va “aperto come una scatola di tonno”. Per questo che lui e Casaleggio ne stanno fuori: a tutela (secondo loro) della loro purezza, della loro buona fede da sbandierare davanti agli elettori esasperati dalle nefandezze della “casta”. Per questo i parlamentari grillini adesso rappresentano se stessi come dei monaci, il cui unico obiettivo è quello di evitare la corruzione mondana, le tentazioni della politica romana.
Non vogliono essere chiamati onorevoli, immaginano di vivere nella capitale in case comuni, ostentano la loro distanza dai luoghi del potere in cui sono stati chiamati (“non so dov’è Palazzo Madama”, dice un neoeletto). A loro tocca di stare in parlamento come se fosse una punizione. I loro capi infatti in parlamento non ci stanno. Loro sì che sono onesti, credibili e disinteressati, che non cedono alle lusinghe del potere ma lottano per il bene comune.
La vera grande anomalia del Movimento Cinque Stelle consiste nel fatto che i suoi due fondatori, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, non stando parlamento, non possono essere controllati; eppure controllano direttamente un foltissimo gruppo parlamentare ed esercitano oggi un potere straordinario al di fuori di qualunque istituzione.
Grillo e Casaleggio oggi senza stare in parlamento ne decidono le sorti. Controllano senza poter essere controllati: la negazione della democrazia.
Ma i 163 parlamentari del M5S obbediranno sempre e comunque alla direttive dei capi? O verrà un momento in cui esploderà il dissenso e bisognerà in qualche modo comporlo? E se sì, come verrà fatto?
Se la democrazia è il sistema che meglio di qualunque altro garantisce le minoranze, come verranno garantite le minoranze del M5S? In questi giorni i guru Grillo e Casaleggio, davanti alle proteste dei loro elettori che nel blog chiedono di non chiudere la porta in faccia al Pd, hanno detto che si tratta di “infiltrati”. Come inizio non c’è male.
Non c’è democrazia senza un parlamento in cui gli eletti, liberamente eletti, si esprimono liberamente e liberamente votano. Non possono esserci poteri esterni al parlamento in grado di condizionarlo pesantemente. Oggi invece Grillo e Casaleggio condizionano in maniera intollerabile i gruppi parlamentari del Movimento Cinque Stelle. Che sono impossibilitati anche a fissare le regole per il loro stesso funzionamento. Chi le ha scritte le prime 18 regole di comportamento? Chi ha deciso quanto guadagneranno i parlamentari del Movimento? Forse gli eletti? Evidentemente no.
Il Movimento Cinque Stelle ora è il primo partito in Italia; ma finché non darà concreta dimostrazione di saper gestire il dissenso interno e di poter controllare i suoi due capi, il consenso di cui gode è destinato a generare inquietudine e non potrà essere ritenuto un elemento di crescita democratica.