lunedì 30 giugno 2014

IL TISA

Come se non bastasse il Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (TTIP), ovvero il negoziato, condotto in assoluta segretezza, fra Usa e Ue per costituire la più grande area di libero scambio del pianeta, realizzando l’utopia delle multinazionali, un nuovo attacco ai beni comuni, ai diritti e alla democrazia è in corso con il TISA (Trade In Service Agreement), un nuovo trattato.
Si tratta –per quel che sinora è filtrato dalle segrete stanze- di un negoziato, che riprende in molte parti il fallito accordo generale sul commercio e i servizi (Agcs), discusso per oltre 10 anni e con durissime contestazioni di piazza all’interno dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Fallito quello che doveva essere un accordo globale, le grandi elite politico-finanziarie hanno da tempo optato per accordi tra singoli paesi o per aree, dove far rientrare dalla finestra, grazie all’assoluta opacità con cui vengono condotti gli stessi, ciò che le mobilitazioni sociali dei movimenti altermondialisti avevano cacciato dalla porta.
A sedere al tavolo delle trattative per il nuovo trattato sono i paesi che hanno i mercati del settore servizi più grandi del mondo: Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Canada, i 28 paesi dell'Unione Europea, più Svizzera, Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Israele, Turchia, Taiwan, Hong Kong, Corea del Sud, Giappone, Pakistan, Panama, Perù, Paraguay, Cile, Colombia, Messico e Costa Rica. Con interessi enormi in ballo: il settore servizi è il più grande per posti di lavoro nel mondo e produce il 70 per cento del prodotto interno lordo globale; solo negli Stati Uniti rappresenta il 75 per cento dell'economia e genera l'80 per cento dei posti di lavoro del settore privato.
L’aspetto più incredibile è il fatto di come, non solo il negoziato si svolga in totale spregio di alcun diritto all’informazione da parte dei cittadini, bensì sia previsto, fra le disposizioni contenute, l’impegno da parte degli Stati partecipanti a non rivelare alcunché fino a cinque anni dopo la sua approvazione!
Una nuova ondata di liberalizzazioni e di privatizzazione di tutti i servizi pubblici si sta dunque preparando e, non a caso, la prima tappa di questa trattativa –avvenuta nell’aprile scorso e finita nelle provvidenziali mani di Wikileaks- ha riguardato la liberalizzazione dei servizi e prodotti finanziari, dei servizi bancari e dei prodotti assicurativi: non sia mai che la crisi, provocata esattamente dalle banche e dai fondi finanziari, rimetta in discussione la totale libertà di movimento e di investimento dei capitali finanziari in ogni angolo del pianeta.
Per quel che si è riusciti a sapere, proprio in questi giorni si sta svolgendo un secondo incontro ed è assolutamente evidente come ad ogni tappa verrà posta l’attenzione su un settore di servizi, fino a comprenderli tutti: dall’acqua all’energia, dalla sanità alla scuola, dai trasporti alla previdenza.
Un mondo da mettere in vendita, attraverso la trappola del debito pubblico e le politiche di austerità, attraverso il TTIP e il TISA, per permettere al modello capitalistico di uscire dalla crisi sistemica, con un rilancio dei mercati finanziari, che, dopo aver investito l'economia, ora hanno puntato gli occhi sulla società e la vita, sui diritti, i beni comuni e la natura.
Per farlo, devono sottrarsi ad ogni elementare regola di democrazia e rifugiarsi nella segretezza: ma come i vampiri della notte non reggono la luce del giorno, così i piani delle elite politico-finanziarie possono essere sconfitti da una capillare informazione e da una ampia e determinata mobilitazione sociale. E' ora di muoversi.

domenica 29 giugno 2014

LA PORCATA BIS DELLA RIFORMA DEL SENATO

Fu porcata-bis dell’ineffabile Cal­de­roli, o cal­lido dise­gno del governo pur di assi­cu­rarsi il senato non elet­tivo tanto ago­gnato? Tutti rifiu­tano la pater­nità, e l’angoscioso inter­ro­ga­tivo sul ritorno dell’immunità-impunità per­corre l’Italia e le prime pagine dei gior­nali. La sto­ria dirà.
Tutto nasce per l’emendamento che sop­prime l’art. 6 della pro­po­sta gover­na­tiva, con l’effetto di esten­dere ai sena­tori di seconda scelta del «senato nuovo» la pie­nezza delle garan­zie pre­vi­ste dall’art. 68, comma 2, della Costi­tu­zione per i parlamentari.
Per inten­derci, par­liamo dell’autorizzazione della camera per arre­sti, per­qui­si­zioni e inter­cet­ta­zioni. Dun­que, esi­ste­reb­bero in Ita­lia 95 gover­na­tori, con­si­glieri regio­nali e sin­daci per cui – a dif­fe­renza di tutti gli altri — qual­siasi inda­gine della magi­stra­tura sarebbe molto dif­fi­cile, di fatto impos­si­bile, o comun­que assog­get­tata al giu­di­zio dei pari.
Un bene­fit appe­ti­bi­lis­simo per i for­tu­nati 95, assai più del posto auto sotto Palazzo Madama. E nes­suno avanzi sot­tili distin­guo sul punto che la garan­zia costi­tu­zio­nale ope­re­rebbe per le fun­zioni di sena­tore, e non per quelle di sin­daco, con­si­gliere, o gover­na­tore. Come sepa­rare in con­creto, nell’ambito di un’attività inve­sti­ga­tiva, l’attività svolta per il comune o la regione da quella par­la­men­tare? E poi baste­rebbe con­durre gli affari – per così dire più riser­vati – nella bou­vette del senato o sul cel­lu­lare di servizio.
La radice del pro­blema è nell’avere scelto di imbot­tire il nuovo senato di ceto poli­tico regio­nale e locale, nel tempo del Mose, dell’Expo, degli assurdi rim­borsi spese a danno del pub­blico era­rio. Le inchie­ste hanno sco­perto un ver­mi­naio, mostrando a tutti quel che i più avver­titi già sape­vano: che la poli­tica regio­nale e locale è oggi in larga misura il ven­tre molle del sistema Italia.
Non c’è in prin­ci­pio nulla di inac­cet­ta­bile in un senato eletto in secondo grado. Se ne parlò ampia­mente anche in Assem­blea costi­tuente. Ma ogni cosa va vista nel suo tempo. Agli albori della Repub­blica, il cur­sus hono­rum era stret­ta­mente gover­nato da forti par­titi poli­tici, che garan­ti­vano la qua­lità e l’onorabilità degli eletti in tutti i livelli isti­tu­zio­nali, dalla peri­fe­ria al cen­tro. I par­titi liquidi di oggi non ne sono più capaci, come pro­vano le ricor­renti pole­mi­che sulla can­di­da­tura di per­so­naggi pros­simi al rin­vio a giu­di­zio, fre­schi di con­danna, e per­sino in odore di mafia e camorra. Siamo molto più vicini agli Stati Uniti che nel 1913, per porre fine a scan­dali e cor­ru­zione, scris­sero nella Costi­tu­zione l’elezione popo­lare diretta dei senatori.
Ben si com­prende come la rea­zione dell’opinione pub­blica sia stata nel senso dell’abolizione della gua­ren­ti­gia per tutti i par­la­men­tari, piut­to­sto che per l’allargamento ai sena­tori di nuovo conio. Certo, la spe­ciale tutela dell’art. 68, co. 2, ha avuto nella sto­ria repub­bli­cana grande rilievo in alcuni momenti, ad esem­pio quando i par­la­men­tari della sini­stra si met­te­vano alla testa delle mani­fe­sta­zioni per la riforma agra­ria. Ma quei tempi sono lon­tani. E ha più senso togliere una gua­ren­ti­gia vista da tanti come inac­cet­ta­bile pri­vi­le­gio, piut­to­sto che allar­garla a chi potrebbe appro­fit­tarne per aumen­tare il livello di cor­rut­tela. Del resto, non sono pochi i paesi in cui la garan­zia per il par­la­men­tare si ferma alla immu­nità per le opi­nioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle funzioni.
Com­po­si­zione del senato, sta­tus dei suoi mem­bri, poteri dell’istituzione fanno parte di un con­ti­nuum inscin­di­bile. La pole­mica in atto dimo­stra come sia dif­fi­cile – nelle con­di­zioni reali di oggi – costruire una isti­tu­zione forte negando l’elezione diretta. Aumen­tare i poteri, come in qual­che misura fanno gli emen­da­menti pre­sen­tati, accre­sce le con­trad­di­zioni, non le risolve. E rimane soprat­tutto macro­sco­pico il punto della revi­sione costi­tu­zio­nale. La Costi­tu­zione di tutti viene lasciata nelle mani di una camera poco rap­pre­sen­ta­tiva in virtù della legge elet­to­rale, e di un senato per niente rap­pre­sen­ta­tivo per­ché affi­dato alle occa­sio­na­lità delle vicende locali. Quale forza potrebbe mai avere domani una simile Costi­tu­zione? A que­sto punto, una riforma seria richie­de­rebbe una riscrit­tura radi­cale dell’art. 138 Cost., che affi­dasse la revi­sione a un’assemblea eletta ad hoc con il proporzionale.
Stu­pi­sce che la scom­messa del governo sia tanto forte. È il caso di riba­dire ancora una volta che un senato non elet­tivo non è affatto l’unico modo di supe­rare il bica­me­ra­li­smo pari­ta­rio. Al con­tra­rio, si potrebbe inve­stire su un senato forte ed elet­tivo nell’ambito di un sistema dif­fe­ren­ziato.
Ancora, il bica­me­ra­li­smo non è di per sé causa di ritardo e danno all’effettività del gover­nare.
Il 6 mag­gio 2014 Hol­lande, nel fare il bilan­cio dei primi due anni di Pre­si­denza afferma che il divieto per i par­la­men­tari del cumulo con cari­che ese­cu­tive regio­nali e locali « c’est un grand pas pour notre démo­cra­tie ». Indub­bia­mente, anche il nuovo senato sarebbe per noi un grande passo. Pur­troppo, all’indietro.

venerdì 27 giugno 2014

IL RUOLO DEI POTERI FORTI NEL PD

Se uno vuol capire bene cos'è il governo Renzi, il "sistema Pd", il senso comune "contro il pubblico" e altre stronzate di successo di questi tempi, è bene che guardi a Carlo De Benedetti, proprietario del gruppo Repubblica-L'Espresso, ovvero il primo caso di "partito-azienda" in questo paese (proprio così: è arrivato prima di Berlusconi, anche se ha "vinto" soltanto ora, dopo aver sponsorizzato e bruciato decine di aspiranti "salvatori della patria": De Mita, Craxi, Segni, Rutelli, D'Alema, Veltroni, Bersani, ecc). Curiosità: anhe lui, come Sergio Marchionne, ha preferito farsi "naturalizzare" come cittadino svizzero, chissà perché...

Un esempio solare viene dalla vicenda Sorgenia, società controllata dalla Cir (finanziaria della famiglia De Benedetti) fino a pochissimo tempo fa. Quando, cioè, le perdite sono diventate tali da convincere il boss di Repubblica e tessera n. 1 del Pd a mollare tutto nelle mani delle banche creditrici. Le quali ora si ritrovano a gestire 1,8 miliardi di "sofferenze" (l'eufemismo con cui definiscono i prestiti che non rientraranno mai più in cassa) e a dover trovare qualcuno - nessuno - che acquisti una società ormai valutata zero euro.

Perché è illuminante (al di là delle facili battute sul fatto che Sorgenia si occupa di forniture elettriche)? Perché il comportamento delle banche è stato paradigmatico: in piena crisi finanziaria, mente chiudevano i rubinetti del credito sia a piccole e medie imprese che alle famiglie, mentre chiedevano "rientri" anche di pochi euro a clienti giudicati "non solidi"... continuavano a prestare centinaia di milioni a De Benedetti, per una società che non ha mai fatto un euro di guadagno e accumulava decine di milioni di perdite l'anno. Evidentemente, nella valutazione sulla solidità delle "garanzie" offerte da Cir, c'era non soltanto la grande ricchezza della famiglia, ma anche il "peso politico" da questa esercitato tramite i media e il Pd.

Se tutto fosse limitato o limitabile a questo solo aspetti, potremmo chiuderla qui e definire De Benedetti un pessimo imprenditore (basterà ricordare la distruzione della Olivetti, da lui comprata quando era ancora un'azienda all'avanguardia in campo informatico), con il pallino della politica.

Sul suo giornale - "suo" in senso stretto, proprietario - ma anche sul foglio di Confindustria (IlSole24Ore) si esercita spesso in infuocati editoriali contro la pubblica amministrazione, l'invasività dello Stato (in toni non molto dissimili da LIbero o Il Giornale, peraltro), la fannullonaggine dei lavoratori pubblici (che licenzierebbe tutti volentieri, polizie a parte), indicando cosa va cambiato in Italia e come. A suo insindacabile parere.

Ecco, i due ruoli ("locusta" e "moralizzatore") a noi sembrano decisamente incompatibili. Qualcosa che trova un paragone calzante solo con i numerosi "conflitti di interesse" berlusconiani. Ma di questo maleodorante impasto sembra fatta la classe dirigente italica. Tutta intera.

giovedì 26 giugno 2014

LE GRANDI MANOVRE SOTTOTRACCIA

Allo studio un accordo segreto internazionale per favorire la grande finanza.
Vi è un do­cu­men­to se­gre­to (Tasi, Trade in ser­vi­ce agree­ment) sul quale stan­no la­vo­ran­do cin­quan­ta Paesi oc­ci­den­ta­li per rag­giun­ge­re «un ac­cor­do se­gre­to a li­vel­lo in­ter­na­zio­na­le che punta a sman­tel­la­re il ruolo dei go­ver­ni nella fi­nan­za e apri­re la stra­da a po­li­ti­che ul­tra-li­be­ri­ste».
Il Tasi, an­co­ra in via di ela­bo­ra­zio­ne, è stato ana­liz­za­to da Jane Kel­sey, pro­fes­so­res­sa della fa­col­tà di giu­ri­spru­den­za del­l’U­ni­ver­si­tà di Auc­kland, la quale ha messo in luce «la vo­lon­tà dei pro­po­nen­ti di eli­mi­na­re al­cu­ne delle norme che sono state in­tro­dot­te (o sug­ge­ri­te) in se­gui­to alla crisi del 2008. Per esem­pio i li­mi­ti alle di­men­sio­ni degli isti­tu­ti fi­nan­zia­ri, im­po­sti in al­cu­ni Paesi per evi­ta­re il ri­pe­ter­si di ope­ra­zio­ni di sal­va­tag­gio ob­bli­ga­te nei con­fron­ti di quei sog­get­ti “trop­po gran­di per fal­li­re”. Le pro­po­ste pre­sen­ta­te nella bozza si oc­cu­pa­no però anche di altre que­stio­ni, come la pri­va­tiz­za­zio­ne della pre­vi­den­za e delle as­si­cu­ra­zio­ni, l’e­li­mi­na­zio­ne degli ob­bli­ghi di di­vul­ga­zio­ne delle ope­ra­zio­ni off­sho­re nei pa­ra­di­si fi­sca­li, il di­vie­to di im­por­re un si­ste­ma di au­to­riz­za­zio­ne per nuovi stru­men­ti fi­nan­zia­ri (come i de­ri­va­ti) o di re­go­la­men­ta­re l’at­ti­vi­tà dei con­su­len­ti fi­nan­zia­ri». Dal­l’ac­cor­do sono esclu­si i Brics, ov­ve­ro Rus­sia, Cina, India, Bra­si­le e Su­da­fri­ca e «do­vreb­be ri­ma­ne­re se­gre­to per 5 anni anche dopo il rag­giun­gi­men­to del­l’ac­cor­do tra i Paesi ade­ren­ti».

martedì 24 giugno 2014

GLI ITALIANI IN FUGA DALL'ITALIA

Con l’avvento del governo Monti il numero degli italiani che cercano condizioni di vita migliori all’estero è esploso: nel 2012 si è verificato un vero e proprio ‘boom.
Un vero e proprio esodo, nel giro di un anno il numero degli italiani che vivono in Inghilterra – meta tra le più ambite è raddoppiato.
Se ne vanno i giovani che in Italia non riescono a trovare lavoro, ma anche gli anziani che con la pensione farebbero la fame. Mentre i giovani scelgono paesi occidentali, Germania, Inghilterra e altri paesi europei, ma anche Australia, Usa e Canada, quest’ultimi generalmente scelgono l'est europa , il Sud America o il sud est asiatico, dove con l’assegno dell’INPS possono vivere dignitosamente. Ormai il numero dei connazionali che lasciano il paese è superiore a quello di migranti in entrata dai cosiddetti “paesi poveri”. Qualcuno dice che “esportiamo ‘cervelli’ – fior di laureati che spesso all’estero si sistemano, mentre in Italia sono relegati, nel migliore dei casi, ad una vita da precari – ed importiamo bassa manovalanza: e in un certo senso, è vero.  Ma oggi anche molti stranieri che avevano scelto di vivere in Italia, sono tornati al loro paese. Ormai l’ex belpaese, che un tempo era una delle mete più ambite dai migranti, sembra attrarre solo chi fugge da guerre o comunque da situazioni disperate: e molti profughi o “richiedenti asilo” usano l’Italia solo quale porta d’ingresso per altre nazioni d’Europa. Lo dimostrano i numeri dell’attuale emergenza sbarchi: ogni giorno sbarcano centinaia di persone che se restassero in Italia, avrebbero mandato in tilt il già fragile sistema dell’accoglienza: ma il ricambio è continuo, e spesso coloro che intendono richiedere “asilo” (praticamente tutti: anche se sanno che la richiesta sarà negata, presentarla significa “prendere tempo”, poter soggiornare temporaneamente nel paese dove presentano la richiesta, e ricevere sostegno economico) lasciano il paese immediatamente, prima che siano completate le operazioni di identificazione: se presentassero la richiesta in Italia dovrebbero restare qui fino a quando ricevono la risposta, pertanto lo fanno quando sono giunti alla destinazione finale, quasi sempre i paesi del nord Europa…

venerdì 20 giugno 2014

L'ITALIA CHE AFFONDA

La crisi che nel 2013 ha affossato i consumi e falcidiato i redditi ha avuto un'ulteriore, pesante, conseguenza: la morosita'. Ad aumentare non sono solo gli sfratti per mancato pagamento del mensile, anche nel settore dell’energia la situazione si va aggravando. Il fenomeno era già stato notato da qualche tempo, ora però si è diffuso anche nel "mercato di massa", con famiglie e imprese che sempre piu' spesso non pagano le bollette. A lanciare l’allarme è il presidente dell'Autorita' per l'Energia, Guido Bortoni, che non ha dato cifre però. L'allarme morosita', secondo la Relazione annuale dell'Autorita' al Parlamento, va di pari passo con altri elementi critici del panorama energetico. A partire dalla cosiddetta "poverta' energetica", vale a dire quella che soffrono coloro che non hanno un reddito sufficiente a sostenere prezzi che, a giudizio della stessa Autorita', malgrado alcuni positivi passi avanti (in particolare sul gas o per le Pmi con il recente taglio del 10% delle tariffe), continuano a preoccupare perche' "troppo alti". E' dunque urgente semplificare il ricorso ai bonus sociali, che possono costituire un'importante risorsa per tante famiglie: attualmente solo il 35% degli aventi diritto chiede di usufruirne. Ma anche aumentare gli sconti e adeguare il meccanismo al nuovo Isee. Quindi fatto un rapido calcolo il numero di chi non paga le utenze elettriche può essere valutato intorno ai quattro milioni.
''I consumi sono in drastico calo non solo nel settore del commercio, ma anche in comparti primari come quello energetico. Il forte aumento della morosita' da parte di famiglie e imprese dimostra inoltre come non ci siano piu' i soldi nemmeno per pagare le bollette. Trattandosi di un settore essenziale per la vita di persone e aziende, bisogna non solo ridurre le tariffe di luce e gas, ma anche un intervento mirato del Governo per sostenere i soggetti in difficolta', introducendo ulteriori sconti ed agevolazioni per i nuclei familiari a basso reddito e per le imprese che versano in condizioni di grave crisi e sono a rischio chiusura''.

mercoledì 18 giugno 2014

LE MANOMISSIONI DEL GOVERNO USA SULL'11 SETTEMBRE

I documenti ufficiali rilasciati dopo gli attentati dell’11 settembre hanno riconosciuto che i due aerei che hanno colpito le torri gemelle viaggiavano, al momento dell’impatto, a cira 900 km/h.
Il problema è che un Boeing 767 può raggiungere quella velocità solo a 10000 metri d’altezza perché l’aria rarefatta non produce attrito. Invece, sul livello del mare, un aereo di questo tipo non avrebbe mai potuto viaggiare a quella velocità perché la densità dell’aria lo avrebbe reso ingovernabile o ne avrebbe addirittura danneggiato la struttura. Eppure i due Boeing non hanno subito alcun danneggiamento fino al momento dell’impatto; impatto “perfetto” dato che i dirottatori hanno centrato in pieno le torri dopo aver compiuto manovre impossibili anche per i piloti più esperti.
E infatti sono proprio alcuni piloti esperti ad affermare che un Boeing 767 non possa viaggiare a 900 km/h sul livello del mare. Non solo: la stessa Boeing ha ammesso che sarebbe impossibile che un loro veivolo possa raggiungere tale velocità ad una quota tanto bassa.
Ma allora come si spiegano i filmati che tutto il mondo ha visto? Ci sono due possibilità: o tutti gli esperti si sbagliano, oppure i filmati sono stati modificati. Esiste un documentario, September Clues, che analizza i video (anche quelli amatoriali) che mostrano l’impatto sulle Twin Towers e le probabili manomissioni.
Analizzandoli si può capire come le inquetanti ombre su quel maledetto 11 Settembre sono innumerevoli, che le zone grigie e le ambiguità sono molteplici.
Probabilmente la verità non la sapremo mai ma almeno tentiamo di capirne qualcosa di più.

lunedì 16 giugno 2014

PRIVATIZZAZIONI SELVAGGE: IL MALE PEGGIORE

Una nuova ondata di privatizzazioni è in arrivo e potrebbe interessare le società municipalizzate o partecipate dai Comuni e dagli enti locali. Questo significherà che anche i servizi pubblici primari come acqua, energia e trasporti, saranno regolati dalle leggi del mercato e non dal soddisfacimento dei bisogni dei cittadini. Privatizzazioni a go go. Il fiume delle privatizzazioni ora dovrebbe interessare le società municipalizzate o partecipate dai Comuni e dagli enti locali. Questo significa che migliaia di lavoratori e soprattutto i servizi primari per i cittadini come quelli nel settore dell’energia, dell’acqua e dei trasporti saranno in futuro governati dalle leggi di mercato e non dalla necessità di soddisfare i bisogni dei cittadini. Come pretesto per procedere con la privatizzazione dei servizi pubblici si è scelto il fatto che le le municipalizzate e le società partecipate degli enti locali producono perdite, e si sa che gli sperperi non sono accettabili nel sistema finanziario elaborato dall’Ue. Insomma sembra quasi che vengano spesso diffuse notizie allarmati sugli sperperi dei servizi pubblici per creare un contesto che preluda proprio alla loro privatizzazione. In realtà però privatizzare non vuol dire assolutamente porre fine agli sperperi, basi pensare al caso di Roma con gli alti stipendi dei dirigenti Atac, con tanto di relativo scandalo dei biglietti dell’autobus prodotti in parallelo e che hanno drenato milioni dalle casse dello Stato alle tasche dei privati. Non solo, secondo il Cerved la maggior parte delle società partecipate dagli enti locali che drenano risorse pubbliche, non sono società di servizi primari da fornire ai cittadini (trasporti, energia, acqua, raccolta rifiuti) ma società di “consulenza” a tutti gli effetti. Spesso si tratta di vere e proprie società private o semi-private che fanno consulenze amministrative e gestionali ad enti come Comuni e Regioni. Dati Cerved alla mano il 17,7%delle 5288 società partecipate dai Comuni, sarebbero società privati di consulenza. Non solo, privati vorrebbero accaparrarsi anche le società di utilities in modo da attingere direttamente dai guadagni fissi derivanti dalle bollette. Insomma, quello delle privatizzazioni è un problema reale, e non è possibile affrontarlo partendo dal presupposto che privato equivale a “bene” e pubblico a “male”.

domenica 15 giugno 2014

L'ITALIA OSTAGGIO DELL'EUROPA

Il voto alle europee premia con un consenso da anni 50 un partito e un leader che fruiscono di un sistema di potere e sostegno senza precedenti nella storia repubblicana. Con il Pd di Renzi sono contenti sia Obama che Merkel e soprattutto Goldman Sachs e Bilderberg. Le agenzie di rating lo premiano e la finanza internazionale lo elogia. Da noi poi il sostegno dell’establishment è totale. In nessun momento della storia repubblicana, neppure nel breve periodo della unità nazionale alla fine degli anni 70, c’è stato un tal sostegno comune al governo da parte di banche, Confindustria, Cgil Cisl e Uil, Conferenza Episcopale, terzo settore, enti locali, mondo dello sport e dello spettacolo, giornali, televisioni, tutto. Renzi a sua volta è riuscito a mescolare la vecchia capacità comunicativa di Berlusconi, l’affidabilità finanziaria di Monti, la rivolta contro le caste di Grillo, e a fare di tutto questo un messaggio di speranza privo di agganci concreti, che ha fatto presa su un paese democraticamente stremato.
Qui non c’è davvero nulla che sembri una vittoria della sinistra, fondata sulla partecipazione e sulla crescita di lotte e movimenti. Il consenso a Renzi si fonda sulla fine delle illusioni e sulla rassegnazione. La forza di Renzi sta nell’inerzia e nella passività diffusa tra le persone massacrate dalla crisi, che si aggravano con l’assenza di azione sociale e sindacale, mentre tutte le élites investono su di lui. Per fare che? Per costruire con il consenso una gestione neoliberale della crisi in Europa. Potremmo davvero esportare il Gattopardo in tutto il continente. Quando Van Rompuy afferma che finora la Ue ha difeso gli affaristi e ora si deve occupare delle persone parla come Renzi. E naturalmente agisce come lui, visto che continua a portare avanti i negoziati con Usa e Canada per quello sconvolgente via libera alle multinazionali che è il Ttip, e vuole rafforzare il fiscal compact con l’Erf.
La Grecia è stata una cavia in tutti i sensi, non solo per la sperimentazione delle più brutali politiche di austerità, ma anche per la comprensione dei limiti del puro esercizio brutale del potere di banche e finanza. Per questo la signora Merkel è una fan ricambiata di Matteo Renzi. Perché bisogna cambiare dosi e modalità di somministrazione di una medicina che però deve restare sempre la stessa. Gli 80 euro nella busta paga sono questo. Come ha detto Tsipras, sono una misura concordata con Merkel per rendere più accettabile la continuazione della politica di austerità. Che non a caso viene contemporaneamente ribadita nei suoi tre cardini: la flessibilità del lavoro, cioè la riduzione dei salari e dei diritti, le privatizzazioni, la riduzione della spesa pubblica sociale nel nome del pareggio di bilancio, che siamo il solo paese euro ad aver inserito nella Costituzione.
La Commissione Europea ci chiede nuovo rigore mentre i disoccupati veri sono 6 milioni e quelli ufficiali più della metà. Ma non c’è alcun reale cambiamento nella politica economica, anzi. Renzi non ha mai posto in discussione il vincolo europeo, anzi ha sempre più spesso affermato che i problemi sono da noi e che si cambia l’Europa cambiando l’Italia con le riforme, liberiste. Il vecchio slogan di Monti che dobbiamo fare i compiti a casa diventa l’obiettivo di essere i primi della classe. Siamo la seconda cavia d’Europa dopo la Grecia. Lì si è usato solo il bastone, qui si prova con Renzi. Il futuro della nostra democrazia dipenderà da se e come si costruirà una opposizione a tutto questo dal lato della sinistra. Occorre operare perché il disegno di Renzi e di chi lo sostiene fallisca, altrimenti perderemo altri venti anni scoprendo ora Blair e Clinton, quando ovunque la loro politica è oggi sotto accusa per essere stata una delle cause di fondo della crisi mondiale.

sabato 14 giugno 2014

LO SPECCHIETTO PER GLI ALLOCCHI

80 euro in più a chi lavora a fronte di 1milione di famiglie povere, a circa 4 milioni di cittadini senza la possibilità di “mettere il piatto a tavola”, ad una cassa integrazione che batte record su record, ad un tasso di disoccupazione, rilevato dall’Istat, molto più basso del reale, ad una marea di anziani pensionati, di disabili, senza aiuto, senza assistenza né sanitaria né economica.
Serviva al PD, corresponsabile delle politiche di distruzione dello Stato sociale e dei redditi delle famiglie più povere e di quelle della medio-borghesia, presentare un programma di quegli slogan ripresi dalla piazza, a cominciare dai tetti degli stipendi dei manager pubblici, solo in parte ritoccati, ma ancora molto al di sopra dei reali risultati raggiunti e confrontati con quelli delle stesse figure professionali degli altri paesi europei, da un abbassamento del numero, sproporzionato ed inaccettabile, di macchine blu, e da un “aggiustamento”, ancora tutto da verificare, sulle spese militari, in primis gli inutili e difettosi F35.
Rimangono intoccati i problemi nodali del nostro paese, quelli “strutturali”, quelli legati all’ormai noto e conclamato “accordo” tra malavita ed istituzioni, tra imprenditori “prenditori” e collusi di enti locali e nazionali, di spese inutili e sprechi incontrollabili, di arroganza ed amoralità diffusa, di “grandi opere” fatte a misura e somiglianza di interessi altri, contrari ed addirittura nocivi per la popolazione.
Una passata di fard su un viso pieno di pustole, di quelle decisioni prese assieme al PDL di Berlusconi, che hanno reso il lavoro precario, e mirano a mantenerlo così per sempre ed a peggiori condizioni, che hanno affossato la vita di chi ha lavorato per decenni, distruggendogli potere d’acquisto della pensione, cancellando accordi sottoscritti (esodati), rubando quel minimo dovuto a chi, disabile, riteneva di vivere in un paese democratico.
Ora i servi giornalai si accorgono della presenza di un milione di famiglie senza reddito, di circa 4 milioni di poveri, di gente che non ha diritti, non ha casa, non ha stipendio, non ha quello che i furti, l’incapacità, l’arroganza, l’ignoranza di questa classe politica gli ha tolto per il proprio arricchimento, per il proprio potere, per rigenerarsi e continuare a distruggere quel poco che è rimasto.
Servivano gli specchietti per gli allocchi, ma soprattutto servono ai collusi, a chi pappa con questa gentaglia, a chi detiene la ricchezza di questo paese, a chi ruba e a chi continua a rubare…anche alla feccia serve avere una giustificazione morale per continuare a puzzare.

giovedì 12 giugno 2014

I BAMBINI PRINCIPALI VITTIME DELL'AUSTERITA'

Le misure d’austerità ideate, in teoria, per portare l’Europa fuori dalla crisi hanno costretto dal 2008 ad oggi oltre 800 mila bambini a superare la soglia di povertà. A sostenerlo in un rapporto pubblicato martedì, dal titolo “World Social Protection”  di 357 pagine, è l’Organizzazione internazionale del lavoro. 
“I risultati del modello sociale europeo, che hanno ridotto drasticamente la povertà e promosso la prosperità dopo la seconda guerra mondiale, si stanno erodendo a causa delle riforme di aggiustamento di breve periodo”, si legge nel rapporto. Secondo World Social Protection, inoltre, il consolidamento fiscale che aveva come obiettivo quello di ridurre il debito non è riuscito a stimolare quella crescita economica necessaria a creare posti di lavoro. Mantenere le protezioni sociali, si legge, non solo riduce la povertà ma stimola anche la crescita rafforzando la salute dei vulnerabili, aumentando la loro produttività e incrementando la domanda interna.
Il rapporto dichiara come le nazioni sotto regime di austerità come per esempio Irlanda, Cipro, Grecia e Portogallo hanno visto i loro Pil crollare e con essi i consumi. In Grecia i salari sono diminuiti del 35% dal 2008 mentre la disoccupazione ha toccato la cifra record del 28%. Allo stesso tempo, le riforme di sicurezza sociale sono sostituite con un sistema che limita la responsabilità dello stato greco verso i propri cittadini.
La soluzione europea per la crisi nei cinque anni passati ha dato il via a disoccupazione persistente, bassi salari e alte tasse, tutte e tre hanno aumentato i tassi di povertà e di esclusione sociale, che ora affligge 123 milioni di persone o il 24% della popolazione. Prima dell’inizio della crisi nel 2008, la cifra era di 116 milioni e oggi oltre 800 mila bambini hanno superato la soglia di povertà rispetto al 2008 e, conclude il rapporto, “alcune stimeprevedono un aumento di 15-25 milioni di persone che si vedranno di fronte la possibilità di vivere in povertà dal 2025 se il consolidamento fiscale dovesse continuare”.
Secondo i dati della Commissione europea, il numero di disoccupati nell’Ue ha toccato i 26 milioni e 5,3 sono i giovani senza impiego. Il commissario per l’impiego Laszlo Andor ha dichiarato lunedì che circa un quarto della popolazione dell’Ue è a rischio povertà o esclusione sociale.  
Questa è l'attuale europa cosi come concepita.

martedì 10 giugno 2014

LA GESTIONE DEGLI SCANDALI

Non tutti gli scandali vengono per nuocere. Anzi…
E’ la triste lezione della Tangentopoli numero uno, oltre venti anni fa. Il terremoto politico innescato da una banale mazzetta in un Pio Albergo Trivulzio qualsiasi sfociò, al termine di due anni convulsi come pochi, tutto il potere nelle mani del re dei corruttori. Anche Tomasi di Lampedusa sarebbe rimasto sorpreso dell’abilità dei gattopardi contemporanei…
Gli arresti per il Mose di Venezia arrivano a pochi giorni di distanza da quelli per l’Expo 2015 a Milano. Testimoniano entrambi del fatto che classe politica e imprenditori sono edificatori solidali di un sistema corruttivo senza alternative. Siamo in un micromondo dove il capitalismo non è mai davvero arrivato e prevalgono ancora le logiche della cosca rispetto a quelle dell’imprenditorialità. Non che queste siano “migliori”. Semplicemente corrisponderebbero più precisamente al contesto – “i mercati” – entro cui anche questo paese risulta inserito.
Il governo Renzi rappresenta forse l’ultimo tentativo, col pieno sostegno dell’Unione Europea e della Troika, di trasformare la governance di questo paese mettendo al centro l’impresa tout court, senza più quel groviglio di interessi intrecciati tra amministrazione pubblica corrotta, impresa fuori mercato ma corruttrice e quindi sopravvivente solo grazie agli appalti pubblici, malavita organizzata e cecità generale.
Per questo, dunque, gli scandali recenti possono essere gestiti al meglio, come “il passato che non vuol passare”, come la “vecchia politica” che va “rottamata” creando nuovi poteri e nuove regole. E’ un regime super centralizzato contro cui nessuno si deve poter illudere di continuare ad agire come prima.
La reazione alla raffica di arresti è stata dunque scontata: un’accelerazione sul ddl anticorruzione, per dare immediatamente tutti i poteri operativi necessari al “grande commissario”, all’uomo solo al comando, per il momento incarnato dal magistrato anti-camorra Raffaele Cantone. Un personaggio al di sopra di ogni sospetto, con una carriera cristallina alle spalle. Un nuovo Di Pietro, simile a quell’icona prima dell’ingresso “in politica”.
Il problema centrale per il governo è infatti quello di dare seguito alle grandi opere, non ripensarne l’utilità o “necessità”. Soprattutto per quanto riguarda l’Expo, elevato ormai a “vetrina” della ritrovata verve italiana davanti al mondo.
Di fatto, si tratta di una torsione centralizzatrice perfettamente coerente con l’orizzonte istituzionale del nuovo governo. Naturalmente “motivata” con nobili intenzioni, ma generante un potere incontrollabile. Non osiamo pensare a cosa potrebbe accadere se al posto di Cantone, un futuro governo (o anche questo) dovesse piazzare un più disinvolto referente delle lobby dei grandi appalti…
Una torsione evidente da mille dettagli. Si può forse credere che lo “tsunami di sgomberi” delle occupazioni di immobili, attivato in tutta Italia nelle ultime due settimane, sia una pura coincidenza temporale di autonome iniziative delle questure locali? Chiaro che no.
Una prova addirittura solare è nella querelle sul proclamato sciopero della Rai. Dichiarato velocemente “illegittimo” – a causa della quasi coincidenza con lo sciopero nei servizi pubblici proclamato da U.s.b. – ha “animato” reazioni mediatiche generali pro e contro il governo. Ma quando Usb si è fatta sentire per invitare i lavoratori Rai ad unirsi allo sciopero del 19, invece che insistere sulla data del 21, è improvvisamente calata una cortina di silenzio generale. Che non si può non definire “complice”.
La costruzione di un  regime implica davvero un “cambio di passo”. Non solo una nuova retorica e un nuovo immaginario, ma un campo di valori completamente diverso e soprattutto una centralizzazione assai più ferrea. La priorità programmatica resta naturalmente quella chiesta dall’Unione Europea e dalle imprese: liquefare il mercato del lavoro, in modo da consegnare alle imprese lavoratori spogliati di diritti e forza contrattuale, soli e senza collegamenti solidali. Ma per far passare questo programma con il minimo di conflittualità possibile vanno benissimo – anzi: servono come il pane – scandali che facciano vedere ex potenti, politici, amministratori e imprenditori felloni varcare le porte delle galere.
Un lavacro pubblico che dovrebbe consegnare alla “nuova classe politica” le chiavi dello Stato per almeno un paio di decenni a venire. Per portare a termine le “grandi opere”, tutto sommato, si stanno già facendo avanti altri imprenditori. Si cambiano le facce e persino il gioco. Ma non di molto.

domenica 8 giugno 2014

MAZZETTE IN LAGUNA

Massimo Cacciari – tra i cui non molti meriti di sindaco di Venezia c’è quello di essersi  sempre opposto al Mose – ha detto che le radici della corruzione vanno cercate nell’urgenza.
Vero, ma il Mose sarebbe criminogeno anche se i suoi lavori andassero lentissimi. Perché è  un progetto sbagliato in sé: frutto di quella vocazione al suicidio da cui Venezia non sembra capace di liberarsi.
Per mille anni la Repubblica Serenissima ha vegliato sul delicato equilibrio della Laguna,che è la particolarissima “campagna”che circonda Venezia. In natura, una laguna ha una vita limitata nel tempo: o vincono i fiumi che portano materiali solidi verso il mare, e la laguna si trasforma in palude e piano piano si interra, oppure vincono le correnti marine, che tendono a renderla un golfo o una baia. I veneziani capirono subito che tenere in vita la Laguna salmastra voleva dire assicurarsi uno scudo naturale sia verso la terra che verso il mare.
Così la storia di Venezia è stata “la storia di un successo nel governo dell’ambiente”.
Una storia che, con l’avvento dell’Italia unita si è, però, interrotta, ed è definitivamente collassata negli ultimi quarant’anni di malgoverno veneziano. Per fare entrare le Grandi Navi (turistiche, industriali e commerciali) si sono dragati e approfonditi i canali d’accesso in Laguna, e contemporaneamente se ne è abbandonata la secolare manutenzione.
Il risultato è stato un abnorme aumento dell’acqua alta, culminato nella vera e propria alluvione del 1966. Fu proprio quell’enorme choc che mise Venezia di fronte all’alternativa: o riprendere il governo della Laguna e mantenere l’equilibrio, o essere mangiata dall’Adriatico.
Fu allora che emerse la terza via: il Mose, che permise di eludere la scelta tra responsabilità e consumo. L’idea era di continuare indefinitamente a violentare la Laguna e poi rimediare meccanicamente, con una gigantesca valvola che chiudesse le porte al mare. È come se un paziente ad altissimo rischio di infarto venisse persuaso dai medici a non sottoporsi ad alcuna dieta né ad alcun esercizio fisico, e a scommettere invece tutto su una costosissima e complicata operazione di angioplastica.
Non verrebbe da pensare solo che i medici sono incompetenti: ma anche che hanno qualche interesse occulto nell’operazione. E se poi quei medici finissero in galera, chi potrebbe stupirsi?
Follemente, la scelta della terapia è stata affidata direttamente ai chirurghi. Fuor di metafora: la salvezza di Venezia e del suo territorio è stata affidata a un consorzio di imprese private interessate a realizzare il costosissimo meccanismo di riparazione del danno, il Mose appunto. E tutto è stato asservito a questo ente.
Sarebbe difficile spiegare un simile suicidio se non vedessimo che Venezia si distrugge ogni giorno in mille altri modi, prostituendosi, fino alla morte, a un turismo cannibale. Ma mentre gli abitanti continuano a scendere (sono ora 59.000: un terzo della popolazione del 1950, la metà di quella del 1510) e le Grandi Navi sembrano inarrestabili, c’è ancora  chi resiste, tra mille difficoltà.
Esemplare il caso di Italia Nostra, cui appartiene la voce più ferma e coraggiosa contro la morte di Venezia, una voce che un anno fa aveva documentato pubblicamente proprio la corruzione del Mose.
Pulire la Laguna, insomma, sarà un’impresa lunga

venerdì 6 giugno 2014

LA FESTA DEL 2 GIUGNO IN UN PAESE SENZA SOVRANITA'

Chissà perché la Festa della Repubblica debba essere una parata militare. Non voglio fare la litania di “quanto ci costa”, anche se ci costa moltissimo, più di quanto ci dicono. Vi sono centinaia di soldati di tutte le armi, fuori dalla parata, in servizio d’ordine. E centinaia di auto blu, con relativi autisti. Questi costi non sono stati conteggiati, ma c’erano. Lasciamo perdere: sarei disposto a spese anche maggiori, se fossero nello spirito della Repubblica, “fondata sul lavoro” (articolo 1). Mi sono chiesto: perché non fare sfilare il lavoro? Quello che c’è e quello che non c’è. Certo ci vorrebbe un tantino di fantasia creativa, ma non siamo forse un popolo di artisti, di santi, di navigatori ecc? Non potremmo appaltare questa idea a trenta saggi, che scandaglino per benino la nostra Costituzione e trovino come festeggiarla senza “farle la festa”m senza scassinarla, e scardinarla, come si è fatto più d’una volta in questi ultimi 30 anni?
Lo so che c’è la tradizione, che, dal lontano 1948, prevede una parata militare. Ma erano altri tempi. Eravamo Repubblica da poco, da poco avevamo combattuto. Ma, fin dal 1949 entrammo nella NATO e cessammo di essere sovrani nel nostro stesso paese. Da allora tutto questo orgoglio tricolore non ha più cessato di sbiadire.
Nel 2010, già regnante Giorgio Napolitano, il 64-esimo anniversario della Repubblica fu dedicato – in onore dell’articolo 11 della Costituzione – “alle forze armate in missioni di pace”. Non ridete, s’intendeva anche l’Afghanistan, l’Irak, la Libia. Con questo spirito si poteva dedicare la parata agli F35. Insomma voglio dire che di tutto questo si potrebbe fare a meno. Lo so, lo so, anticipo l’obiezione: e la gente come si diverte? Ho una risposta: educandola alla pace. Del resto nel 1963 la parata fu annullata perché Giovanni XXIII stava morendo. Pensate e inchinatevi. Adesso l’hanno fatto santo.  Non potevamo fare altrettanto e sospenderla? Anche nel 1976 non ci fu la parata, causa il terremoto nel Friuli. Nel 2012 fu dedicata ai terremotati dell’Emilia, che avrebbero preferito di certo che quei soldi andassero a loro. infine l’anno scorso il re decise che la parata si doveva fare, ma ridotta, in ricordo dei poveri. E costrinse la compagnia a rinunciare al ricevimento con champagne e pasticcini.
Quest’anno c’è Renzi in trionfo, la crisi è finita (dicono sul palco) e dunque abbiamo potuto permetterci ben due passaggi delle Frecce Tricolori. Fine dell’austerità, dunque, e anche i corazzieri hanno potuto sfilare a cavallo per la gioia dei cittadini festanti colà pervenuti. C’era abbastanza biada. Ma, sotto sotto, lo sappiamo: siamo una colonia dell’Impero, e questo è un cerimoniale senza significato: un involucro vuoto. Parata inutile di un esercito inutile. Di professionisti che non rappresentano il popolo. Dovremmo pensarne un altro, di esercito, di leva, una forza capace di difendere le popolazioni dalla catastrofi naturali che si annunciano sempre più frequenti. Sarebbe stato meglio proclamare il lutto nazionale per il ritorno ufficiale in Europa del nazismo. Parlo dell’Ucraina, che tra poco sarà nostra alleata nella NATO. E nessuno lo sa, nel nostro popolo festante che applaude i simpatici bersaglieri.

mercoledì 4 giugno 2014

LA MANIPOLAZIONE DELLA REALTA' DEI MASS MEDIA

L’informazione mediatica, che già agli albori del secolo scorso iniziava a mostrare tutte le proprie potenzialità, ha man mano conquistato nei decenni a venire uno spazio sempre maggiore, crescendo di pari passo con la crescita degli strumenti tecnologici idonei a veicolarla.
Oggi la sua presenza è immanente e costituisce la spina dorsale di un modello sociale ipercinetico e visionario, basato sull’informazione urlata, la superficialità assoluta e la competizione sfrenata, elevata a ragione di vita.
Chi gestisce i media, attraverso la TV, internet, le radio ed i giornali, detiene il potere non solo di gestire, ma anche di creare la realtà nella quale conduciamo la nostra esistenza. Controlla i nostri sentimenti e le nostre idee, decide quando dobbiamo piangere, ridere o indignarci, crea i nostri nemici ed i nostri eroi, sceglie se attirare la nostra attenzione in una determinata direzione, oppure sviarla, ci informa su quanto sta accadendo all’altro capo del mondo e contemporaneamente ci tiene all’oscuro riguardo a quanto accade a pochi chilometri da noi……
Chi gestisce i media sceglie le coordinate per delimitare il piano inclinato attraverso il quale siamo costretti a muoverci, ci suggerisce chi dobbiamo amare e chi detestare, quali devono essere le nostre aspirazioni, quali vicende meritano la nostra attenzione e quali no. Chi gestisce i media gestisce noi e le nostre idee, lasciandoci unicamente l’illusione che esse ci appartengano.
E’ sufficiente la visione di un TG o la lettura di un quotidiano, per prendere coscienza del sottile lavoro di mistificazione in essi contenuto. In un periodo di grande sofferenza economica come quello attuale, l’attenzione dello spettatore (lettore) deve essere sviata dai problemi contingenti cha affliggono le famiglie e dalle responsabilità che stanno alla base di questi problemi. l servizi di apertura e le prime pagine saranno di conseguenza monopolizzati dalle vicende giudiziarie di Berlusconi o di altri uomini politici, dalla gestione del relitto della Costa Concordia o dalle tragedie aventi per oggetto i naufragi dei migranti, mentre al tempo stesso l’epidemia di suicidi causati dalla crisi economica, l’aumento dell’IVA e della benzina, la crescita esponenziale della disoccupazione, verranno sottaciuti o al più relegati in qualche trafiletto minore.
Seguendo lo stesso modus operandi, il presidente di un paese non più nelle grazie dell’Occidente verrà definito tiranno o dittatore ed il suo governo regime, per suscitare l’odio dello spettatore che sarà indotto ad approvare la futura guerra. Ad uno scandalo concernente un uomo politico o un partito verrà data ampia o scarsa visibilità, le tribolazioni di un popolo oppresso, verranno raccontate o completamente ignorate e via discorrendo.
Riuscire a ragionare in maniera autonoma, riducendo il più possibile l’influenza della manipolazione mediatica sulla nostra psiche è più difficile di quanto si possa immaginare. Occorre innanzitutto abbandonare la presunzione di essere immuni ai manipolatori e armarsi di pazienza e “coraggio” nella ricerca della vera realtà. Si tratta di una strada lunga, complicata ed infarcita di brutte sorprese, ma senza dubbio prodromica di grandi soddisfazioni.

lunedì 2 giugno 2014

CHI E' FARAGE?

Chi è Nigel Farage? Secondo i giornali sarebbe diventato il successore di Hitler, marchiato di misoginia, xenofobia, razzismo, omofobia: un criminale in breve. Allora è vero che il caro vecchio Beppe stava oltre Hitler, perciò l’incontro con il nuovo “Führer”. A parte le battute, che molti a quanto pare non riescono a cogliere e a comprendere senza sollevare una questione di paternale opportunità, l’obiettivo dei diversi influencer in rete e vari troll esagitati è ancora una volta screditare il movimento. Tutti a condividere status, foto, articoli sul nuovo mostro e a dire “ecco chi era veramente Beppe, avevamo ragione”. Tutti contro Beppe e M5S. Quale occasione più ghiotta di un incontro con un ultra conservatore estremista di destra inglese?
Il dado è tratto. Uno vale uno: un fascista vale un fascista. Discorso chiuso secondo La Stampa: “La foto di Grillo con Nigel Farage chiude ogni discussione sulla natura e le radici del Movimento 5 Stelle”. Tutti di corsa a puntare il dito, disprezzare, denigrare, demonizzare, ridicolizzare, offendere il nemico. Un nemico che urla sì, ma parla di onestà. Bravi, dopotutto si sa una sinistra antropologicamente superiore ha il dovere di metterti in guardia e indicarti dove sta la verità e la ragione. Si sa devi essere di sinistra (camuffata da destra o viceversa) per essere e parlare di persone oneste. Sì proprio quelle che siedono attualmente accanto ai vari Alfano, Lorenzin, che fanno patti con condannati e che contano tra le loro file soggetti penalmente discutibili. Perché loro sono la speranza, la paura sta dall’altra parte.
Ancora di più se hai dalla tua parte mass media e stampa. Ancora di più oggi dopo la vittoria di Renzi a 80 euro al mese. Ho i miei dubbi su Farage, soprattutto per le sue posizioni su ambiente e immigrazione, ma lo conosco poco in profondità per poterne tracciare un profilo serio e non mi va di andarlo a raccattare attraverso quello che l’informazione sta smistando in queste ore. Tra l’altro vedo pochi punti in comune con il M5S. Tranne quello di volere lottare contro gli eurocrati e la “dittatura” europea. Sarò impopolare ma io ci vedo solo un gioco al massacro.
Nigel Farage, che rappresenta oggi quasi un terzo dei cittadini inglesi, sarebbe talmente pericoloso da non meritare neanche una visita su invito per discutere la possibilità di una futura alleanza in Europa. Questo è un altro punto che troppo spesso sfugge: abbracciare un progetto comune, soprattutto di lotta e di modifica alle radici, in Europa non significa condividere le idee e i valori di politica interna. E questo frastuono mediatico avviene in un’epoca in cui a commissari, tecnocrati, finti governi e legionari della Troika, che stanno imponendo una macelleria sociale senza precedenti ad intere popolazione, quegli stessi giornali portano il rispetto omertoso che si deve al padrone.