Massimo Cacciari – tra i cui non molti meriti di sindaco di Venezia
c’è quello di essersi sempre opposto al Mose – ha detto che le radici
della corruzione vanno cercate nell’urgenza.
Vero, ma il Mose sarebbe criminogeno anche se i suoi lavori andassero
lentissimi. Perché è un progetto sbagliato in sé: frutto di quella
vocazione al suicidio da cui Venezia non sembra capace di liberarsi.
Per mille anni la Repubblica Serenissima ha vegliato sul delicato
equilibrio della Laguna,che è la particolarissima “campagna”che circonda
Venezia. In natura, una laguna ha una vita limitata nel tempo: o
vincono i fiumi che portano materiali solidi verso il mare, e la laguna
si trasforma in palude e piano piano si interra, oppure vincono le
correnti marine, che tendono a renderla un golfo o una baia. I veneziani
capirono subito che tenere in vita la Laguna salmastra voleva dire
assicurarsi uno scudo naturale sia verso la terra che verso il mare.
Così la storia di Venezia è stata “la storia di un successo nel governo dell’ambiente”.
Una storia che, con l’avvento dell’Italia unita si è, però,
interrotta, ed è definitivamente collassata negli ultimi quarant’anni di
malgoverno veneziano. Per fare entrare le Grandi Navi (turistiche,
industriali e commerciali) si sono dragati e approfonditi i canali
d’accesso in Laguna, e contemporaneamente se ne è abbandonata la
secolare manutenzione.
Il risultato è stato un abnorme aumento dell’acqua alta, culminato
nella vera e propria alluvione del 1966. Fu proprio quell’enorme choc
che mise Venezia di fronte all’alternativa: o riprendere il governo
della Laguna e mantenere l’equilibrio, o essere mangiata dall’Adriatico.
Fu allora che emerse la terza via: il Mose, che permise di eludere la
scelta tra responsabilità e consumo. L’idea era di continuare
indefinitamente a violentare la Laguna e poi rimediare meccanicamente,
con una gigantesca valvola che chiudesse le porte al mare. È come se un
paziente ad altissimo rischio di infarto venisse persuaso dai medici a
non sottoporsi ad alcuna dieta né ad alcun esercizio fisico, e a
scommettere invece tutto su una costosissima e complicata operazione di
angioplastica.
Non verrebbe da pensare solo che i medici sono incompetenti: ma anche
che hanno qualche interesse occulto nell’operazione. E se poi quei
medici finissero in galera, chi potrebbe stupirsi?
Follemente, la scelta della terapia è stata affidata direttamente ai
chirurghi. Fuor di metafora: la salvezza di Venezia e del suo territorio
è stata affidata a un consorzio di imprese private interessate a realizzare il costosissimo meccanismo di
riparazione del danno, il Mose appunto. E tutto è stato asservito a
questo ente.
Sarebbe difficile spiegare un simile suicidio se non vedessimo che
Venezia si distrugge ogni giorno in mille altri modi, prostituendosi,
fino alla morte, a un turismo cannibale. Ma mentre gli abitanti
continuano a scendere (sono ora 59.000: un terzo della popolazione del
1950, la metà di quella del 1510) e le Grandi Navi sembrano
inarrestabili, c’è ancora
chi resiste, tra mille difficoltà.
Esemplare il caso di Italia Nostra, cui appartiene la voce più ferma e
coraggiosa contro la morte di Venezia, una voce che un anno fa aveva
documentato pubblicamente proprio la corruzione del Mose.
Pulire la Laguna, insomma, sarà
un’impresa lunga
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