lunedì 30 luglio 2012

Siamo come la Grecia ma non lo dicono

C’è una legge molto elementare che vige in medicina: accertato l’avvenuto decesso, è inutile somministrare al paziente altre cure.
Parto dalla medicina perché quella del malato e della cura è una metafora fin troppo abusata dai tecnici del governo: loro i curatori (fallimentari) e l’Italia il malato terminale. Però provo a proporne una lettura diversa: il malato in questione, quello che loro pretendono di rianimare, non è affatto lo Stato Italiano, quanto piuttosto il modello di sviluppo fondato sul capitalismo bancario. È quello il paziente che hanno intenzione di far resuscitare. Resuscitare, non "guarire", perché trattandosi di cadavere non è possibile usare altro termine.
 La "spending review" doveva insomma tagliare le spese inutili, invece taglierà posti di lavoro, ferie, scuole e ospedali. Siamo come la Grecia, ma non lo sappiamo neppure.
 Si dice: questo è un governo tecnico, che deve realizzare delle riforme impopolari che nessun governo politico avrebbe né il coraggio né l’interesse di fare. Ma la questione non va posta in questi termini. I procedimenti del governo Monti non sono sbagliati perché impopolari, sono sbagliati perché inutili. Anzi peggio: sono proprio dannosi. Perché rispondono ad una logica suicida, che permette a questo sistema di continuare ad operare anche da morto. Ed è un sistema che “produce deficit”: cioè ha bisogno che gli vengano fornite più energie di quelle che poi riesce a restituire. Un esempio? I governi europei si indebitano con la BCE per convincerla ad emettere nuovo denaro e a concedere prestiti agevolati all’1% alle banche dei vari Paesi. Poi chiedono a quelle stesse banche di comprare i propri titoli di Stato per non essere sommersi dal debito. E se le banche non li comprano? La soluzione è presto trovata: costituire una sorta di cassa comune europea – il tanto famigerato Scudo Anti-Spread – affinché la BCE compri i buoni del tesoro di quegli Stati che sono sotto il mirino della speculazione finanziaria. Solo che, per costituire quella cassa comune, gli Stati sono costretti a versare altri soldi: dunque, ancora una volta, ci indebitiamo per tenere sotto controllo il nostro debito. Roba da esaurimento nervoso.
 Nel frattempo, oggi ci tolgono i diritti sindacali, domani ci abbassano gli stipendi, dopodomani aumentano le accise sulla benzina. E noi accettiamo tutto con l’illusione che fare questi sacrifici, in fondo, ci convenga. E invece ci sveniamo per versare il nostro sangue in un colabrodo, senza chiederci quand’è che basta: quando decideremo che avremo rinunciato ad un pezzo abbastanza grande della nostra felicità e della nostra libertà da non volerne cedere oltre? Qualcuno ci ha spiegato le regole del gioco? Continuiamo ad accettare questa austerità a tempo indeterminato, senza tuttavia comprendere né domandare circa l’obiettivo che intendiamo perseguire coi nostri sacrifici.
 Se proprio i sacrifici vanno fatti, che almeno servano a costruire un nuovo modello di vita, radicalmente diverso, con fondamenta nuova e una grammatica completamente modificata. Soluzioni facili non ce ne sono, né bacchette magiche.
Si può costruire un’economia più sana, su scala più ridotta? Si può ridurre lo sfruttamento delle risorse, evitando di smangiucchiarsi la Terra un morso dopo l'altro? Si può riscrivere una carta costituzionale attraverso la partecipazione di milioni di persone? Si può evitare di affidare la gestione dei nostri diritti a istituzioni assenti e lontane migliaia di chilometri, misurate in anni-luce e in anni-welfare?
 Non che tutto questo sia fattibile nell’immediato, certo. Ma forse converrebbe farsi domande del genere, ogni volta che qualcuno si prende un’altra libbra dalla nostra carne, anziché starnazzare impanicati come un branco di anatre che si fingono minacciose, per poi tornare all’ordinario indulgere al nostro confortevole nulla quotidiano.

giovedì 19 luglio 2012

I CONFLITTI D'INTERESSE DI NAPOLITANO

Il ventennale della strage di Via D’Amelio, dopo i giorni delle accuse, degli attacchi, delle delegittimazioni istituzionali ai magistrati di Palermo che conducono l’inchiesta sulla trattativa Stato-Cosa Nostra, non poteva essere “celebrato” in modo più inimmaginabile: e cioè con il decreto sul conflitto di attribuzione stilato da Napolitano nei confronti della procura palermitana.
Secondo il ministro della Giustizia si tratta del percorso più lineare che poteva essere intrapreso dal Capo dello Stato e di un’occasione per chiarire ed integrare da parte della Corte Costituzionale una disciplina giuridica “lacunosa” in materia materia di intercettazioni indirette, quando a sollevare la cornetta sia un’alta carica dello Stato.
Può darsi che sotto il profilo tecnico ed in un’ottica di giurisprudenza costituzionale sticto sensu, si tratti di un’occasione di chiarimento.
Ma sotto il profilo politico e del rapporto, mai così compromesso tra cittadini ed istituzioni, la mossa della presidenza della Repubblica, motivata dall’intento dichiarato di tenere “la facoltà immune da qualsiasi incrinatura” nello spirito di Einaudi, suona come la rivendicazione esibita di assoluto arbitrio ed intangibilità.
L’articolo 90 della Costituzione a cui fa riferimento esplicito il decreto sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro il presunto abuso della procura di Palermo, rea di non aver interrotto e/o distrutto immediatamente le intercettazioni intercorse tra Nicola Mancino ed il Quirinale, stabilisce che “Il presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”.
Sembrerebbe lecito e pertinente domandarsi se, accanto e parallelamente alla rete di telefonate intercorse tra il consigliere giuridico del Quirinale e Mancino tutte tese a rassicurare l’indagato per falsa testimonianza e ad attivarsi in tal senso, anche le due dirette tra l’ex ministro ed il presidente della Repubblica debbano essere considerate tra “gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni”.
A prescindere del fatto fondamentale che si tratta di intercettazioni “casuali ed indirette”  è un delitto di lesa maestà chiedersi se nelle funzioni del capo dello Stato, tra l’altro garante della Costituzione e presidente dell’organo di autogoverno dei magistrati, rientrino le cure e gli imput per tutelare un ex ministro che da testimone stava (consapevolmente) diventando imputato per false dichiarazioni ai Pm?
Sulla attendibilità delle dichiarazioni di Nicola Mancino si pronunceranno i magistrati; però noi possiamo intanto liberamente valutare secondo il nostro buon senso se quello che va dicendo in TV o in contesti pubblici in merito alla trattativa, o come la si voglia chiamare, ha un fondamento o una parvenza di verità.
Nicola Mancino ha ribadito che  non ha incontrato privatamente Paolo Borsellino il 1 luglio del ’92, appena insediato al Viminale, che non si sono parlati e che comunque non lo ricorda dato che non sapeva che faccia avesse il magistrato più famoso d’Italia, dopo Giovanni Falcone. E a seguire ha negato di aver mai incontrato il generale Dalla Chiesa, di “essersi sempre sentito lontano dalla Sicilia” , di aver incontrato Calogero Mannino, massimo esponente siciliano della sinistra Dc di cui Mancino faceva parte, una sola una volta in Translatantico.
Senza fare esercizio spericolato di fantasia e di dietrologia è quantomeno possibile identificare il perimetro degli argomenti che possono aver toccato l’ex ministro ed ex potente democristiano, ora semplice cittadino imputato, ed il Capo dello Stato nei momenti più calienti dell’inchiesta in quelle telefonate top secret.
Se come ha rivendicato Napolitano, elevando un conflitto di attribuzione con la magistratura, che non ha precedenti nella storia repubblicana (altra cosa quello con il ministro della giustizia in materia di grazia risolto con sentenza costituzionale n.200/2006), il bene tutelato sarebbe quello di tenere “la facoltà immune da qualsiasi incrinatura”, la strada maestra era quella di lasciar “piangere il telefono” o in subordine di dare in qualche modo conto ai cittadini del contenuto di quelle conversazioni.

martedì 10 luglio 2012

Tempi di macelleria sociale

“Ma perché non lo dice in televisione che non è possibile che continuano a prendere i soldi solo a noi e che i ricchi non li tocca nessuno”? La signora è proprio arrabbiata e vorrebbe che i democratici che conosce uscissero da un silenzio accondiscendente per schierarsi.
Mi spaventa che nelle grandi analisi su quel che sta facendo il governo Monti queste realtà siano ignorate. Non è questo il terreno su cui populismo e demagogia attingono a piene mani? E come far capire a chi ha sempre pagato le tasse, che continua a pagarle, che si è dissanguato per avere servizi che ora rischia di perdere, che i possessori di grandi patrimoni, gli evasori, i furbi, continuano a restare impuniti? Va bene il senso di responsabilità, ma perché non guardare anche a questa base del Paese che non conta più per nessuno, quella base che non sa, non è in grado o non vuole urlare ma che è solo capace di prendersela con chi è altrettanto o più povero?
La logica dei mercati, dello spread, delle borse è diventata una camicia di forza asfissiante che ottunde anche le intelligenze. Ho sentito affermare in tv da un illustre esponente del Pdl che ormai lo stato sociale del secolo scorso è un vecchio arnese buono solo per i nostalgici. E con cosa lo sostituiamo? Perché non viene prospettato quel che ci sarà dopo il tanto bramato “risanamento”? Finalizzati a cosa sono i tagli dei servizi, degli impieghi, dei posti letto, dei tribunali? Con tante leggi scritte solo per tutelare chi ha commesso gravi reati, perché non ci si ricorda mai delle tante vittime che aspettano soltanto di avere giustizia? E quando mai la otterranno se anche i luoghi fisici del diritto vengono fatti sparire? E perché attaccare le risorse che spettano alle regioni a Statuto Speciale? E’ vero che non siamo più alle prese con il Circo Barnum berlusconiano, ma non sarà il caso di riprendere ragionamenti politici, accanto a quelli ragionieristici? Se anche il presidente di Confindustria parla del rischio di “macelleria sociale”, visto che lui gli operai li conosce direttamente e non per aver letto solo qualche pregnante trattato, ci sarà qualche ragione, o dobbiamo sospettare che anche lui si stia preparando a ‘scendere in campo’ per le prossime elezioni?
Va benissimo mostrarsi responsabili, ma non sulla vita degli altri, degli esclusi, dei non garantiti, dei precari, dei pensionati. Ci sono molte strade per far guarire questo Paese. Quella che si sta percorrendo rischia di danneggiare soprattutto chi non ha neppure una qualche collocazione sociale. Ed è lì che rischia di scatenarsi una violenta guerra fra poveri.

domenica 1 luglio 2012

Internet. Come il “grande fratello” conosce i nostri interessi e condiziona i nostri stili di vita


Condividendo sempre più informazioni e documenti online nei motori di ricerca e nei social network, aziende specializzate come la Acxiom, ci conoscono sempre meglio. Il procedimento è molto semplice: grazie alle tracce che lasciamo nella rete, quando condividiamo un post in Facebook o in Twitter, oppure quando facciamo una ricerca di un prodotto che vorremmo acquistare su un motore di ricerca, queste società catalogano gli interessi e fanno per ognuno di noi una scheda del “consumatore perfetto” di determinati prodotti.
Dal 2005 ad oggi, il numero di intermediari a “caccia” dei nostri dati è raddoppiato….
Una delle maggiori aziende, che per noi è sconosciuta, èla Acxiom con sede operativa in Arkansas. Con i suoi 23mila server e 50mila miliardi di dati, ha prodotto 500milioni di profili di “perfetti clienti”.
Secondo il New York Times, la Acxiom ha raccolto la più grande massa di dati al mondo sui consumatori. Tutti queste informazioni vengono poi rivendute ad altre aziende importanti (banche, case automobilistiche, grandi magazzini e grandi multinazionali) che vogliono sapere se stanno offrendo la cosa giusta al momento giusto.
Secondo una ricerca del Wall Street Journal dello scorso anno, i cinquanta siti più popolari del mondo, hanno istallato in media 64 cookie e beacon carichi di dati su di noi. E’ così che ci ritroveremo, mentre guardiamo la nostra posta elettronica, delle pubblicità che ci propongono (guarda caso) lo stesso prodotto che avevamo cercato in precedenza in motori di ricerca come Google o Yahoo.
Un tempo internet era un mezzo anonimo in cui tutte le persone potevano essere chiunque, ma ora tutto questo è cambiato, è diventato marketing allo stato puro. Se fosse solo un modo per vendere pubblicità mirata, sarebbe grave. Ma non troppo. Il problema è che la personalizzazione non condiziona solo quello che compriamo, ma il nostro stile di vita. E potrebbe essere molto pericoloso.
Bisogna, dunque, trasformale il virus in antivirus. Utilizzare internet a nostro vantaggio e non il contrario. Perché, altrimenti, saremo schiavi controllati e addomesticati dai venditori del nulla.