C’è una legge molto elementare che vige in medicina: accertato
l’avvenuto decesso, è inutile somministrare al paziente altre cure.
Parto dalla medicina perché quella del malato e della cura è una
metafora fin troppo abusata dai tecnici del governo: loro i curatori
(fallimentari) e l’Italia il malato terminale. Però provo a proporne una
lettura diversa: il malato in questione, quello che loro pretendono di
rianimare, non è affatto lo Stato Italiano, quanto piuttosto il modello
di sviluppo fondato sul capitalismo bancario. È quello il paziente che
hanno intenzione di far resuscitare. Resuscitare, non "guarire",
perché trattandosi di cadavere non è possibile usare altro termine.
La "spending review" doveva insomma tagliare le spese
inutili, invece taglierà posti di lavoro, ferie, scuole e ospedali.
Siamo come la Grecia, ma non lo sappiamo neppure.
Si dice: questo è un governo tecnico, che deve realizzare delle
riforme impopolari che nessun governo politico avrebbe né il coraggio né
l’interesse di fare. Ma la questione non va posta in questi termini. I
procedimenti del governo Monti non sono sbagliati perché impopolari,
sono sbagliati perché inutili. Anzi peggio: sono proprio dannosi. Perché
rispondono ad una logica suicida, che permette a questo sistema di
continuare ad operare anche da morto. Ed è un sistema che “produce deficit”:
cioè ha bisogno che gli vengano fornite più energie di quelle che poi
riesce a restituire. Un esempio? I governi europei si indebitano con la
BCE per convincerla ad emettere nuovo denaro e a concedere prestiti
agevolati all’1% alle banche dei vari Paesi. Poi chiedono a quelle
stesse banche di comprare i propri titoli di Stato per non essere
sommersi dal debito. E se le banche non li comprano? La soluzione è
presto trovata: costituire una sorta di cassa comune europea – il tanto
famigerato Scudo Anti-Spread – affinché la BCE compri i buoni del tesoro
di quegli Stati che sono sotto il mirino della speculazione
finanziaria. Solo che, per costituire quella cassa comune, gli Stati
sono costretti a versare altri soldi: dunque, ancora una volta, ci
indebitiamo per tenere sotto controllo il nostro debito. Roba da
esaurimento nervoso.
Nel frattempo, oggi ci tolgono i diritti sindacali, domani ci
abbassano gli stipendi, dopodomani aumentano le accise sulla benzina. E
noi accettiamo tutto con l’illusione che fare questi sacrifici, in
fondo, ci convenga. E invece ci sveniamo per versare il nostro sangue in
un colabrodo, senza chiederci quand’è che basta:
quando decideremo che avremo rinunciato ad un pezzo abbastanza grande
della nostra felicità e della nostra libertà da non volerne cedere
oltre? Qualcuno ci ha spiegato le regole del gioco? Continuiamo ad
accettare questa austerità a tempo indeterminato, senza tuttavia
comprendere né domandare circa l’obiettivo che intendiamo perseguire coi
nostri sacrifici.
Se proprio i sacrifici vanno fatti, che almeno servano a costruire
un nuovo modello di vita, radicalmente diverso, con fondamenta nuova e
una grammatica completamente modificata. Soluzioni facili non ce ne
sono, né bacchette magiche.
Si può costruire
un’economia più sana, su scala più ridotta? Si può ridurre lo
sfruttamento delle risorse, evitando di smangiucchiarsi la Terra un
morso dopo l'altro? Si può riscrivere una carta costituzionale
attraverso la partecipazione di milioni di persone? Si può evitare di
affidare la gestione dei nostri diritti a istituzioni assenti e lontane
migliaia di chilometri, misurate in anni-luce e in anni-welfare?
Non che tutto questo sia fattibile nell’immediato, certo. Ma forse
converrebbe farsi domande del genere, ogni volta che qualcuno si prende
un’altra libbra dalla nostra carne, anziché starnazzare impanicati come
un branco di anatre che si fingono minacciose, per poi tornare
all’ordinario indulgere al nostro confortevole nulla quotidiano.
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