domenica 29 dicembre 2013

FELICE (PER QUANTO POSSIBILE) 2014 A TUTTI

In occasione delle prossime festività di fine anno, il sottoscritto augura un buon 2014 a tutti i lettori del blog.nella speranza (molto vana) che l'anno nuovo si possa portare via tutti i problemi e le insicurezze che attanagliano le persone.
Ci si rivede dopo il 1 Gennaio....hola!!!!!!!!!

lunedì 23 dicembre 2013

FESTE TRISTI PER MOLTI ITALIANI

Le iminenti festività non sollevano l'umore delle gia tristi e sconsolate famiglie italiane.
Il cosidetto ceto medio, che oggi sono i nuovi poveri, non ha di che sorridere anche durante le festività natalizie.
Il peso fiscale delle tasse, con le ultime stangate di Tares e Imu, non mette in moto i consumi, la tredicesima viene spesa per coprire debiti e balzelli fiscali.
In questa maniera di certo non si riattivano i consumi; il natale è nero anche sul fronte disoccupati, le proteste di piazza aumentano sempre più..insomma l'italia e gli italiani piangono.
La cosa più triste è che all'orizzonte del 2014 non si vede nulla di positivo e che faccia intravedere un minimo segno di cambiamento positivo.
Si prospettano ancora e chissa per quanto lacrime e sangue, ma almeno durante il giorno di Natale e il pranzo con parenti e amici cerchiamo di dimenticare questa triste realtà, almeno per un giorno.
Per piangere c'è sempre tempo e ce ne sarà anche nel 2014.
Auguro comunque buone feste, per quanto possibile...e ci risentiamo nel 2014.
Ciaooooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!!

martedì 17 dicembre 2013

LA SANTIFICAZIONE DEL PROFITTO

Una volta si chiamavano feste comandate. Le domeniche, innanzitutto. E poi Natale, Pasqua. E poi quelle strappate con la lotta, il 1° Maggio, 25 AprilE, Ma il capitalismo conosce un unico comandamento: sacrifica qualunque cosa, preferibilmente i lavoratori, sull’altare del profitto. E così da qualche anno anche in Italia, a un numero sempre crescente di lavoratori viene impedito di godersi un riposo settimanale degno di questo nome, magari in compagnia delle proprie famiglie, dei propri figli.
Quella della liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali è una storia che va avanti da quasi vent’anni.Nel 1998 ci prova Bersani, con il decreto che porta il suo nome, il quale prevede (in barba all’esito del referendum di soli tre anni prima) che gli esercizi commerciali possano restare aperti tutti i giorni della settimana per un massimo di tredici ore. Le domeniche sono ancora quasi escluse dalla liberalizzazione: pur conferendo poteri di deroga ai comuni, le aperture domenicali sono previste solo per le domeniche del mese di dicembre e per altre otto domeniche nei restanti mesi dell’anno. Le cose peggiorano nel 2001: con la riforma del titolo V della Costituzione la competenza in materia passa alle Regioni, che fanno largo uso dei poteri di deroga previsti dal decreto Bersani.
E arriviamo ai giorni nostri: il governo Monti, nel 2011, ci lascia in eredità il decreto “Salva Italia”(in vigore dal gennaio 2012), che avrebbe dovuto risollevare le sorti di un’economia strangolata dal cappio del debito e dello spread. I risultati sono sotto gli occhi di tutti… Il “Salva Italia” prevede, tra le altre cose, la completa liberalizzazione degli orari di apertura.
Le aperture domenicali e festive avrebbero dovuto dare nuovo slancio al commercio, far aumentare i consumi, creare nuovi posti di lavoro. Niente di tutto ciò è accaduto. Secondo le stime di Confesercenti, complice la crisi che ancora morde le famiglie, i consumi sarebbero calati del 4,3% nel 2012, dato al quale andrebbe ad aggiungersi un -2% previsto per quest’anno. Tra l’inizio del 2012 e i primi sei mesi del 2013 sarebbero scomparsi quasi 32.000 esercizi di commercio al dettaglio e 90.000 posti di lavoro; 500.000 locali commerciali sarebbero rimasti sfitti, con una perdita di 62 miliardi di euro di affitti non percepiti e 6,2 miliardi di euro di gettito fiscale andato in fumo (più di quanto si è racimolato nelle tasche della povera gente con l’aumento di un punto di IVA).
Diverso sembra essere il discorso per i grandi nomi della Grande Distribuzione:  la capacità di competere al ribasso sui prezzi dei prodotti e la possibilità di restare aperti nei giorni festivi hanno sicuramente favorito i grossi centri commerciali.
La parola d’ordine che si materializza agli occhi dei lavoratori della grande distribuzione è una e una sola: flessibilità. Parliamo di circa 2 milioni di occupati, la maggior parte dei quali donne (circa l’80%) e con contratti part-time. In molti casi, la speranza di arrivare a firmare un contratto a tempo indeterminato è una chimera irraggiungibile: essere sbattuti fuori dopo anni di lavoro  non è una cosa così infrequente.
Lo stipendio medio di un lavoratore part-time si aggira intorno ai 600-700 euro mensili, il che rende quasi impossibile essere indipendenti, figuriamoci mettere su famiglia e crescere dei figli. Ma i problemi non finiscono qui. Perché proprio la liberalizzazione degli orari e le aperture nei giorni festivi hanno inferto un altro duro colpo alla qualità del tempo di lavoro e di vita di quanti lavorano nella GDO. In nome della già citata flessibilità, i turni vengono fissati settimana per settimana, a volte il giorno prima per il giorno dopo. In più si tratta spesso di turni spezzati, che prevedono qualche ora a metà mattinata e altre ore nel pomeriggio, con una pausa che magari non basta nemmeno per fare il tragitto di andata e ritorno dal lavoro a casa, figuriamoci per fare una visita medica.
 E' evidente che tutto cio rientrà nella logica della santificazione del profitto, non capendo che non essendoci soldi tra le famiglie, tenere aperto domenica e feste comandate non cambia nulla...ma vaglielo a spiegare a certuni..

venerdì 13 dicembre 2013

LAPROTESTA DI PANCIA, NON DI IDEALI

Dal 1968 al 1977 si ricordano perfettamente le battaglie metropolitane tra dimostranti e polizia ma c’era un progetto, un obiettivo, si sapeva chi erano i nemici.
Ad ogni modo quella era una battaglia ideale contro la borghesia parassita, ed il capitalismo che non era ancora globale ma sfruttava i lavoratori come e più di adesso.
Se gli sfruttati sono più degli sfruttatori, i poveri più dei ricchi, come mai non sono mai diventati vera maggioranza nelle gabine elettorali?
Perchè lo sfruttato vota per gli sfruttatori per paura di perdere le briciole che gli consentono la sopravvivenza, la lotta la lascia fare agli altri, ai sindacalizzati.
I sindacati sono attaccati da sempre, messi in cattiva luce, ed è ovvio che in mezzo a migliaia di problemi ci sia sempre un cavillo per il quale il proletario si senta in diritto di criticare senza tenere in considerazione le conquiste ottenute.
Non ho mai visto nessuno, di quelli assenti dalla lotta, rinunciare ad una conquista del sindacato. Dal diritto alla maternità quando le donne hanno smesso di fasciarsi la pancia per non essere licenziate alla giusta causa per il licenziamento da rappresaglia.
Sia chiaro per tutti che il dipendente disonesto, fannullone, parassita si è sempre potuto licenziare ma non l’hanno fatto perchè faceva comodo ai padroni per attaccare i lavoratori. Con qualche parassita in fabbrica veniva più facile attaccare i lavoratori, i diritti.
Ma quelli erano gli anni dell’ideologia, concetti superati, obsoleti, come la solidarità tra lavoratori, precari e senza diritti.
L’impressione mia, potrei sbagliarmi ma ho il diritto di opinione, è che la rivolta, la protesta, la ribellione, non diventeranno mai rivoluzione finchè sarà affidata alla pancia e  non alla ragione, all’ideale.
La ribellione affidata alla pancia è ad alto rischio di populismo utile solo a preparare la strada ad un regime. Aggiungo che siamo in una situazione nella quale non possiamo nemmeno scegliere il colore del regime prossimo futuro nel senso che quando il manifestante dice di non essere di destra e nemmeno di sinistra è automatico, da sempre come insegna la storia, che il regime sarà di destra.
Tutti hanno le loro ragioni, se li ascolti uno per uno ti viene spontaneo dargli ragione, ma se non conosci la storia del manifestante e consideri che è senza ideali capisci che di sociale, di solidarietà di classe, questa rivolata non ha niente farà solo gli interessi del sistema di potere camaleontico che, prima ricula sotto ai colpi della rivolta, poi ne prende la guida e la porta dove vuole.
Le rivolte andrebbero preparate a freddo, con un progetto, un obiettivo, cercando consensi tra chi vorrebbe farla. Il resto è terrorismo ideologico, come fu quello di destra o di sinistra. La rivolta dovrebbe essere in primis culturale se invece l’affidiamo alla pancia si spegnerà appena avranno, avremo, un piatto di pasta.
Dopo un ventennio di dominio culturale che ha distrutto, direi mimetizzato la destra e distrutto la sinistra, non ci va più bene niente ed a prima vista hanno pure ragione. Ragionando a caldo nessuno della classe dirigente o politica è difendibile e questo perchè abbiamo “sposato” in toto il capitalismo dimenticando, calpestando la Costituzione ed i suoi principi.
 Il disfattismo nel quale sguazziamo dove tutti sono disonesti, io escluso, ci porta al tanto peggio tanto meglio, al diffidare del vicino, del compagno di strada ed alla speranza di risolvere i problemi individuali e non della massa.
Molti, troppi, soffiano sul fuoco e la prossima marcia su Roma sarà peggiore della precedente perchè mentre la prima era guidata dai fascisti, questa è affidata alla pancia e non alla ragione seppure sbagliata, sconfitta dalla storia.
Di impresentabile, tra quelli che dovrebbero “andare a casa” non c’è solo la casta politica c’è la classe dirigente italiana, la Confindustria, la mafia, la camorra, l’ndrangheta e buona parte degli italiani che hanno sostenuto questo sistema per decenni e decenni senza rendersi conto che mentre il pregiudicato è diventato sempre più ricco noi siamo diventati più poveri.
Inutile prendersela con L’Europa, che ha i suoi limiti e deve migliorare molto, perchè la mafia, la camorra, l’ndrangheta ed una amministrazione corrotta l’abbiamo da un centinaio d’anni prima che arrivasse l’Europa unita.
Anche gli italiani li abbiamo da prima, quelli che hanno votato e sostenuto questa situazione, purtroppo tedeschi, inglesi, francesi o chi per esso non votano al nostro posto ed i farabutti li abbiamo votati noi.
Se il potere molla qualche euro alle lobbies, ai rivoltosi dominati dalla pancia, la rivolta si spegne e non diventerà mai una rivoluzione perchè la rivoluzione è di idee  non di pancia.

mercoledì 11 dicembre 2013

PROTESTA O RIVOLTA?

Caos, scontri, blocchi e negozi chiusi. La rivolta dei “Forconi” scuote l’Italia. A Torino esplode la guerriglia urbana. Sit in dal Veneto alla Sicilia. Tafferugli tra polizia e manifestanti sotto la Mole.
Guerriglia urbana a Torino in nome del cosiddetto Movimento dei Forconi. Mentre nelle altre città d’Italia i presidi e le manifestazioni si sono svolte in modo relativamente pacifico, sotto la Mole la protesta è degenerata in violenza: scontri nella centralissima piazza Castello, davanti alla sede della Regione Piemonte, momenti di tensione davanti al Comune.
Contro i palazzi della politica sono volati non solo gli slogan «ladri, ladri», ma anche bombe-carta, sassi, bottiglie, mentre le forze dell’ordine, in tenuta antisommossa e con maschere antigas, sono state costrette a lanciare lacrimogeni per disperdere la folla. Malmenato un fotografo, assaltate postazioni Rai e Sky, tensione davanti alle sedi di Equitalia e Inps. Ma, alla fine, anche applausi per gli agenti che si sono tolti i caschi.
Si è conclusa così a Torino la protesta organizzata in tutta Italia che si è formalmente dissociato dagli episodi di violenza. In mattinata i manifestanti avevano bloccato le vie d’accesso alla città ed erano arrivati a occupare i binari delle stazioni di Porta Nuova e Porta Susa. Poi si sono mossi verso piazza Castello e qui la protesta è degenerata: ai manifestanti «regolari» si sono uniti gruppi di ultras di tifosi (riconoscibili i simboli del gruppo bianconero dei “Drughi”) e di estrema destra, ed è stata guerriglia per oltre un’ora; cassonetti e auto danneggiate, fumogeni, mattoni e bombe-carta contro la Regione, forze dell’ordine costrette a indossare maschere antigas e a lanciare lacrimogeni.
In più di un’occasione i commercianti che non avevano aderito alla protesta, rifiutandosi di chiudere i loro esercizi, sono stati costretti a farlo. Come per esempio lo storico caffè Caval ’D Brons della centrale Piazza San Carlo, uno dei locali più simbolici di Torino. Manifestanti del Movimento sono entrati nel locale, affollato di clienti, e hanno minacciato i presenti, prendendo a calci le vetrine e costringendo il titolare ad abbassare la serranda. Come avvenuto con altri negozi.
«Il nostro è un movimento pacifico, siamo contrari a ogni violenza e applaudiamo per quanto fa la polizia» si è sforzato di ripetere da un altoparlante uno dei responsabili del movimento. Ma ormai la scintilla era partita e piazza Castello si era già trasformata in un campo di battaglia. Il bilancio a fine giornata sara´ di quattordici feriti tra le forze dell’ordine, decine di vetrine danneggiate, un fotografo che collabora con l’ANSA malmenato e derubato della sua macchina fotografica e un manifestante fermato. La Procura aprirà un fascicolo su quanto avvenuto oggi a Torino, con quattordici feriti. «Sono preoccupato, perché Torino e i torinesi non sono stati rispettati – ha commentato il sindaco, Piero Fassino -. Manifestare è legittimo, ma non si può sconvolgere la vita della città e la normalità di chi la abita». Analogo il commento del presidente del Piemonte, Roberto Cota: «È legittimo manifestare, non lo sono gli atti di violenza».
Proteste a macchia d’olio anche in altre città d’Italia, da Napoli a Genova (dove sono state bloccate la stazione di Brignole e la soprelevata), ma senza degenerare negli scontri di Torino. «Quanto sta avvenendo su scala nazionale fa capire che il Paese corre il rischio di scivolare lungo un crinale pericoloso – ha commentato il Garante degli scioperi, Roberto Alesse -
Per quanto di nostra competenza, il principio che sarà applicato è quello della “tolleranza zero”». «Ma i temi sollevati sono sacrosanti» ha aggiunto il presidente del Veneto, Luca Zaia, mentre per il governatore del Piemonte, Roberto Cota, «è legittimo manifestare, non lo sono gli atti di violenza», e l’assessore al Lavoro del Piemonte, Claudia Porchietto (Ncd), ha tenuto a sottolineare questo principio: «esiste anche il diritto a non scioperare.

giovedì 5 dicembre 2013

LA GERMANIA FALSA MORALIZZATRICE

La Germania, che fa tanto la moralizzatrice con gli altri Paesi europei, è andata in default due volte in un secolo e le sono stati condonati i debiti di due guerre mondiali per consentirle di riprendersi. Fra i Paesi che le hanno condonato i debiti, la Grecia, prima di tutto, che pure era molto povera, e l’Italia. 

Dopo la Grande Guerra, John Maynard Keynes sostenne che il conto salato chiesto dai Paesi vincitori agli sconfitti avrebbe reso impossibile alla Germania di avviare la rinascita. L’ammontare del debito di guerra equivaleva, in effetti, al 100% del Pil tedesco. Fatalmemte, nel 1923 si arrivò al grande default tedesco, con l’iperinflazione che distrusse la repubblica di Weimar. Adolf Hitler si rifiutò di onorare i debiti, i marchi risparmiati furono investiti per la rinascita economica e il riarmo, concluso, come si sa, con una seconda guerra, ben peggiore, in seguito alla quale a Berlino si richiese un secondo, enorme quantitativo di denaro da parte di numerosi Paesi. L’ammontare complessivo aveva raggiunto i 23 miliardi di dollari (di allora!)
La Germania sconfitta non avrebbe mai potuto pagare i debiti accumulati in due guerre, peraltro da essa stessa provocate.
Mentre i sovietici pretesero e ottennero il pagamento della somma loro spettante, fino all’ultimo centesimo, ottenuta anche facendo lavorare a costo zero migliaia di civili e prigionieri, il 24 agosto 1953 ben 21 Paesi, Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia, con un trattato firmato a Londra le consentirono di dimezzare il debito del 50%, da 23 a 11,5 miliardi di dollari, dilazionato in 30 anni. In questo modo, la Germania poté evitare il default, che c’era di fatto. L’altro 50% avrebbe dovuto essere rimborsato dopo l’eventuale riunificazione delle due Germanie, ma nel 1990 l’allora cancelliere Kohl si oppose alla rinegoziazione dell’accordo, che avrebbe procurato un terzo default alla Germania. Italia e Grecia acconsentirono di non esigere il dovuto.
Nell’ottobre 2010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato del 1953 con il pagamento dell’ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro.
Senza l’accordo di Londra che l’ha favorita come pochi, la Germania dovrebbe rimborsare debiti per altri 50 anni. E non ci sarebbe stata la forte crescita del secondo dopoguerra dell’economia tedesca, né Berlino avrebbe potuto entrare nella Banca Mondiale, nel Fondo Monetario Internazionale e nell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Quindi: che cos’ha da lamentare la Merkel, dal momento che il suo Paese ha subito e procurato difficoltà ben maggiori e che proprio dall’Italia e dalla Grecia ha ottenuto il dimezzamento delle somme dovute per i disastri provocati con la prima e la seconda guerra mondiale? La Grecia nel 1953 era molto povera, aveva un grande bisogno di quei soldi, e ne aveva sicuramente diritto, perché aggredita dalla Germania. Eppure… Perché nessun politico italiano ricorda ai tedeschi il debito non esigito?

domenica 1 dicembre 2013

LA DECADENZA DELL'IMPERATORE

Piace molto cercare similitudini su scala grandiosa per non dire epica: Salò, caduta dell’impero Romano. Per via della lassezza dei costumi, per via di Romolo Augustolo  detto il Piccolo, ma forse non per via della statura, perché la leggenda stende sui grandi declini il velo leggendario della perdizione dissipata e folle che si accompagna appunto alla “decadenza”, tra baccanti e etere, eunuchi e cantori, cortigiani lascivi e sgangherati pronti al tradimento e irriducibili amanti, dedite all’estrema prova d’amore
È che il Senato non aspetta l’arrivo dei barbari, quelli li abbiamo in casa da tempo, è che si sarà riscontrata una coazione a ripetere italiana concernente tiranni e despoti, ma stavolta pare che il nemico non fugga, anzi, che nessuno gli faccia ponti d’oro su cui passare, mentre la folla inferocita abbatte monumenti e fasci littori. Il sacrificio del dittatorello è davvero quello  rituale, ma con i coltelli da teatro quelli con la lama retrattile, con il re che mostra il pollice verso, ma sa che i leoni sono di cartapesta, mentre il console e il suo governicchio sono chiusi dentro alla  fortezza a sbrigare le loro faccende, indisturbati.
Non lo saranno per molto. La minaccia non arriva dagli ultras del condannato che  innalzano altari in onore del martire, si produrrà tramite insolite alleanze tra lui e il capo dell’ondivaga opposizione: hanno terreni di scorreria e geografie della propaganda comuni, a tutti e due fa comodo la più suina delle leggi elettorali, il loro radicamento nell’elettorato si somiglia, occasionale, livoroso e personalistico. E ambedue invocano la piazza ma la temono, perché non ne sono immuni, perché la folla . lo sanno perfino loro – è più intrattabile e meno governabile degli spettatori, dei teleutenti, dei consumatori.
E di questi tempi le piazze mostrano un carattere preoccupante per chi pensa di difendersi stando in alto, stando lontano, stando separato. È fatta di tanti segmenti, di tanti fermenti ognuno dei quali è mosso da una rabbia differente, per la casa, contro il precariato, per il lavoro, contro le grandi opere, per i beni comuni, e tutti poi possono dare forma a un amalgama, a un’unica combinazione di dissenso, critica, rabbia, opposizione, a un unico urlo contro un unico nemico, cui prestano le loro facce grigie figure senza carisma, senza autorevolezza, senza coraggio, senza idee, non molto diversi dal tirannello per il quale hanno esplicitamente o nascostamente prestato servizio. Ma meno ricchi, meno fatali, meno potenti, meno furbi, meno liberi. Perché c’è il sospetto che la sua capacità e i suo strumenti di ricatto, la rete di alleanze opache che ha intessuto, le regalie dispensate con dovizia, la molteplicità di complicità facciano ancora tenere tra le sue dita molti fili che muovono gli eterni burattini.
Il sacrificio rituale del tiranno non fa fuori l’imprenditore sfacciato e disinvolto, l’imperatore delle televisioni che può pontificare a reti unificate e cui il sindaco della Capitale non nega il plateatico, l’origine del successo della satira che resterebbe orfana, l’oscuro cravattaro che minaccia implicitamente ex fedeli, diversamente fan, finti oppositori che oggi si accorgono che solo con un paletto nel cuore ci si libera di lui.
Perché come non mi stancherò di ripetere, è l’erede del declino della politica in favore del primato del leaderismi, è il volto prestato a un italiano medio, poco attento alla trasparenza e alle regole, incantato dalla furbizia, dall’affermazione sguaiata di sé e delle proprie ambizioni, è l’altoparlante e l’imbonitore di una ideologia del profitto che predica e razzola il disprezzo delle regole, l’egemonia dell’affiliazione, l’egoismo sopraffattore. Anche se se ne andasse, anche se il gran baule di Vuitton sulla Piazza Rossa altro non fosse che il suo bagaglio a mano di fuggiasco, resta il suo cerchio tragico e ridicolo a una tempo, le sue propaggini, le sue germinazioni, che si chiamino Renzi, che si chiamino Alfano. E d’altra parte mica pretenderete che gli italiani uccidano il Berlusconi che è in loro?

venerdì 22 novembre 2013

LA RINUNCIA DEGLI IDEALI DA PARTE DELLA POLITICA

Gli italiani hanno ormai talmente fatto abitudine alla consuetudine dei loro politici di rinunciare ai propri ideali personali allo scopo di privilegiare gli “interessi superiori” del partito che ormai questa cosa non fa nemmeno più notizia. E invece dovrebbe.
Li senti argomentare seri e compunti davanti al cronista televisivo per spiegare agli italiani che loro hanno una idea diversa, quella decisione non la condividono, tuttavia loro sono persone serie e responsabili, quindi “fanno un passo indietro” (No, non come la Cancellieri, che invece ne ha fatto uno in avanti, per far capire che in Italia un Ministro della Giustizia può, essendo un privilegio riservato a quelli del suo livello, telefonare personalmente ad una amica in carcere per garantirle tutto il proprio sostegno come si conviene ad una persona di buon cuore che non abbandona mai gli amici).
No, non scherziamo, il parlamentare “responsabile” fa davvero una rinuncia sofferta, e per giustificarsi si appella alla ragione superiore: “Mi adeguo alla disciplina di partito”, conclude. Quindi con un saluto ed un sorrisetto di circostanza saluta il cronista e gli spettatori e si allontana soddisfatto di aver fatto appieno il suo dovere.
Sicuramente mentre si allontana starà pensando di sé: “Sono stato bravissimo! Ho preso due piccioni con una fava: da una parte ho soddisfatto i miei fans ribadendo la mia posizione, dall’altra ho guadagnato punti pesanti facendo vedere che io non tradisco, al bisogno so essere fedele e adeguarmi alla decisione del partito anche se è diversa da quella che avrei voluto io”.
Peccato che ad assistere a queste rappresentazioni ci siano anche degli italiani che vivono all’estero, e quando sentono nominare la “disciplina di partito” si chiedono subito allarmati: “ma… hanno per caso cambiato la Costituzione in Italia? Cosa sono diventati i partiti, delle caserme?”. E cosa sono gli onorevoli, dei soldatini che devono obbedire e tacere agli ordini di un caporale qualunque?
Va bene che c’è ancora il “porcellum”, che consente ai partiti di scegliere chi candidare, e quindi scegli di fatto chi siederà in Parlamento (salvo i trombati), ma la Costituzione non è cambiata. La Costituzione dice ancora che il parlamentare rappresenta i cittadini, non il partito.
Proprio ieri nel Senato degli Stati Uniti si è visto come si deve interpretare esattamente il ruolo del “rappresentante eletto dal popolo”: è stata presentata dal partito democratico, che al Senato conta una maggioranza di 55 senatori su 100, una modifica di legge che qui definiscono “nucleare”, perché modifica la maggioranza necessaria ad approvare le nomine presidenziali, portandola da una maggioranza “qualificata” di 60 voti, ad una maggioranza semplice di 51 voti. In questo modo i democratici potranno finalmente liberare il campo dal cosiddetto “filibustering” dei repubblicani, che fin dall’inizio della presidenza Obama hanno abusato un numero record di volte (più di 60) la tecnica del filibustering per bloccare le nomine di Obama.
Quello che mi interessa far rimarcare qui è che la modifica di legge è stata approvata con 52 voti favorevoli e 48 contrari. Ma tre senatori democratici hanno votato contro alla modifica e, benché il leader democratico Harry Reid abbia raccomandato compattezza nel voto, lui non si è mai sognato di invocare la “disciplina” di partito. E anche dopo che tre gli hanno votato contro, Mr. Reid non ha gridato al tradimento. La Costituzione dà al parlamentare il diritto-dovere di votare secondo la propria coscienza interpretando il volere dell’elettorato. Non quello del partito, quello dell’elettorato!
So che in Italia, finché dura questo malvezzo, uno che manifesta questo pensiero non verrà mai candidato da nessun partito, ciò nondimeno questa cattiva abitudine italiana deve cessare. Non è questione di opinioni, è questione di democrazia.

lunedì 18 novembre 2013

LE SPIAGGE DI TUTTI

Il processo di svendita del patrimonio costiero, gli sversamenti di liquame e materiali inquinanti in mare e la cementificazione delle nostre coste, sono problematiche oramai note. Con la crisi si intensificano i processi capitalistici di iper sfruttamento del territorio e di chi mantiene in vita e sorregge il turismo balneare come i lavoratori e le lavoratrici stagionali.
Un processo apparentemente inarrestabile, in corso già da anni, che sta portando alla progressiva privatizzazione degli arenili e delle nostre spiagge.
La direttiva Bolkestein, tanto contestata dai bagnini romagnoli ma non solo, introduce un elemento nuovo, quello della concorrenza nel rinnovo delle concessioni balneari trasformando così le spiagge in mera merce, mentre ora tutto si regge grazie ad una sorta di “baronato” che ha garantito negli ultimi decenni incredibili privilegi ai bagnini e contribuito a formare una vera e propria classe dominante nei territori turistici, quella dei mega consorzi dei balneari.
Questi ultimi non solo dettano legge sulla gestione di un bene comune come le spiagge ma impongono anche scelte politiche arbitrarie e razziste come accade oramai da un ventennio a Rimini sul tema della vendita ambulante senza licenza sull’arenile. Senza considerare gli aspetti che legano questo settore all’evasione fiscale e alla rendita maturata grazie a canoni per le concessioni demaniali ridicoli in termini monetari.
I balneari forti dei loro privilegi si sono riuniti, in diverse occasioni, attraverso le varie sigle sindacali rappresentative del settore. L’ultima volta è avvenuto il 23 ottobre 2013 a Firenze in occasione della prima giornata della XXX Assemblea dell’ANCI.
Nel volantino contro la direttiva Bolkestein che i balneari hanno distribuito all’esterno dei locali dell’Assemblea Anci si legge: “Fino al 2010 il regime del rinnovo delle concessioni demaniali-marittime per attività turistico-ricreative, dipendeva principalmente dall’art.37, comma secondo, del Codice della Navigazione e dalla Legge “Baldini” (L.88/2001). In pratica, in presenza di più domande, l’articolo 37 dava preferenza al precedente concessionario, questa Legge stabiliva invece il rinnovo automatico di sei anni in sei anni delle concessioni in oggetto. In precedenza si era già passati da una durata delle concessioni, annuale, ad una durata quadriennale. Le due norme contribuivano quindi a dare, alle nostre aziende, quella “tranquillità” necessaria per fare investimenti, migliorare l’offerta, creare posti di lavoro e incrementare la competitività turistica del nostro Paese”.
Pertanto chi ha da sempre sfruttato il mare e la spiaggia per pure logiche di profitto e di business privatistico cerca di opporsi al neoliberismo sfrenato e alla sua logica intrinseca, ovvero la concorrenza sul libero mercato, imposta con la Bolkestein dall’UE.
La difesa delle concessioni balneari oramai pluridecennali, intese dagli imprenditori turistici come la piena legittimità a quella che considerano una loro proprietà privata, diventa il terreno di scontro della governance capitalistica nel turismo.
Fra le spinte dell’UE nell’accelerare il progetto di privatizzazione del demanio marittimo e quelle a difesa delle concessioni e quindi dei privilegi dei balneari non rimane che riporre al centro il tema dei beni comuni e del turismo come bene comune contro sfruttamento del territorio e delle persone.
In questo quadro e mentre le spiagge libere – che potrebbero essere gestite da disoccupati e precari per creare reddito e nuovi posti di lavoro – si riducono o sono abbandonate a se stesse (dovrebbero essere il 20% rispetto a quelle date in concessione), il Governo dovrà decidere nelle prossime settimane, durante il dibattito per la legge di stabilità, se accelerare il processo di privatizzazione già in atto e fortemente sostenuto anche dalle U.E. e dal FMI o favorire la rendita dei balneari.
A chi vive nei territori turistici e costieri, da Rimini a Senigallia, dal Lido di Venezia a Trieste, da San Vito Chietino alla Torrazza, da Ostia a Livorno, non rimane che tessere le file di reti di scopo e coalizioni sociali capaci di sfidare il presente e imporre, attraverso le lotte un nuovo tema dominante: le spiagge sono di tutti e tutte, le spiagge sono un bene comune inalienabile.

martedì 12 novembre 2013

LO STATO CANAGLIA PER ECCELLENZA: GLI USA

L’America, dominata da un partito (azienda) unico, si arroga il diritto di fare ciò che vuole nel mondo e del mondo. Un commentatore ha scritto che se gli Usa non possono essere un membro responsabile del sistema mondiale, forse il mondo dovrebbe «de-americanizzarsi», separarsi dallo Stato canaglia che regna tramite il suo potere militare, ma sta perdendo credibilità in altri settori.
La fonte diretta dello sfacelo di Washington è stato il forte spostamento a destra della classe politica.
In passato, gli Usa sono stati talvolta descritti ironicamente (ma non erroneamente) come uno Stato avente un unico partito: il partito degli affari, con due fazioni chiamate democratici e repubblicani.
Questo non è più vero. Gli Usa sono ancora uno Stato a partito unico, il partito azienda. Ma hanno una sola fazione: i repubblicani moderati, ora denominati New Democrats.
Esiste ancora una organizzazione repubblicana, ma essa da lungo tempo ha abbandonato qualsiasi pretesa di essere un partito parlamentare normale, i repubblicani di oggi sono come «una rivolta radicale, ideologicamente estrema, sdegnosa dei fatti e dei compromessi, che disprezza la legittimità della sua opposizione politica». In altre parole, un grave pericolo per la società.
Il partito è al servizio dei più ricchi e del settore delle imprese. Siccome i voti non possono essere ottenuti a quel livello, il partito è stato costretto a mobilitare settori della società che per gli standard mondiali sono estremisti. Pazza è la nuova norma tra i membri del Tea Party e una miriade di altri gruppi, al di là della corrente tradizionale.
La classe dirigente repubblicana e i suoi sponsor d’affari avevano previsto di usarli come ariete nell’assalto neoliberista contro la popolazione, per privatizzare, deregolamentare e limitare il governo, pur mantenendo quelle parti che sono al servizio della ricchezza e del potere, come i militari.
La classe dirigente repubblicana ha avuto un certo successo, ma ora si accorge che non riesce più a controllare la sua base, con sua grande costernazione. L’impatto sulla società americana diventa così ancora più grave.
Nel 1999, l’analista politico Samuel P. Huntington avvertiva che per gran parte del mondo, gli Usa stanno «diventando la superpotenza canaglia», visti come «la più grande minaccia esterna per le loro società».
Nell’ultimo documento emanato da “Foreign Affairs”, si esamina un aspetto dell’allontanamento di Washington dal mondo: il rifiuto dei trattati multilaterali, «come se si trattasse di sport».
Egli spiega che alcuni trattati vengono respinti in modo definitivo, come quando il Senato degli Stati Uniti «ha votato contro la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità nel 2012 e il Comprehensive Nuclear – Test Ban Treaty (il trattato sulla messa al bando del nucleare o Ctbt), nel 1999».
Altri trattati sono scartati dal non agire, inclusi «temi come il lavoro, i diritti economici e culturali, le specie in pericolo di estinzione, l’inquinamento, i conflitti armati, il mantenimento della pace, le armi nucleari, la legge del mare, e la discriminazione contro le donne».
«Il rifiuto degli obblighi internazionali è cresciuto in modo così radicato, che i governi stranieri non si aspettano più la ratifica di Washington o la sua piena partecipazione nelle istituzioni create dai trattati. Il mondo va avanti; le leggi vengono fatte altrove, con limitato (quando c’è) coinvolgimento americano».
Anche se non è nuova, la pratica si è effettivamente consolidata in questi ultimi anni, insieme con l’accettazione tranquilla all’interno della nazione della dottrina che gli Usa hanno tutto il diritto di agire come uno stato canaglia.
Per fare un esempio, un paio di settimane fa, le forze speciali Usa hanno preso un sospetto, Abu Anas al-Libi, dalle strade della capitale libica Tripoli, portandolo su una nave da guerra per l’interrogatorio senza avvocato o diritti. Il segretario di Stato americano John Kerry ha fatto sapere alla stampa che le azioni sono legali perché sono conformi con il diritto americano, senza suscitare alcun particolare commento.
I principi sono validi solo se sono universali. Le reazioni sarebbero un po’ diverse, manco a dirlo, se le forze speciali cubane avessero rapito il prominente terrorista Luis Posada Carriles a Miami, portandolo a Cuba per l’interrogatorio e il processo in conformità alla legge cubana.
Tali azioni sono limitate agli Stati canaglia. Più precisamente, a quegli Stati canaglia abbastanza potenti da agire impuniti: in questi ultimi anni, per svolgere aggressioni a volontà, terrorizzare le grandi regioni del mondo, con gli attacchi dei droni, e molto altro.
E a sfidare il mondo in altri modi, ad esempio persistendo nel suo embargo contro Cuba, nonostante l’opposizione di lunga durata di tutto il mondo, oltre a Israele, che ha votato con il suo protettore, quando le Nazioni Unite hanno condannato ancora una volta l’embargo nel mese di ottobre.
Qualunque cosa il mondo possa pensare, le azioni degli Usa sono legittime perché diciamo così. Il principio fu enunciato dall’eminente statista Dean Acheson nel 1962, quando diede istruzioni alla Società americana di diritto internazionale, in base alle quali nessun problema giuridico si pone quando gli Stati Uniti rispondono a una sfida per il loro «potere, posizione e prestigio».
Cuba ha commesso quel delitto, quando ha sconfitto un’invasione proveniente dagli Stati Uniti, e poi ha avuto l’ardire di sopravvivere a un assalto progettato per portare «i terroristi della terra» a Cuba, nelle parole dello storico Arthur Schlesinger, consigliere di Kennedy.
Quando gli Stati Uniti hanno ottenuto l’indipendenza, hanno cercato di unirsi alla comunità internazionale del tempo. È per questo che la Dichiarazione d’Indipendenza si apre esprimendo la preoccupazione per il «rispetto delle opinioni dell’umanità».
Un elemento cruciale fu l’evoluzione da una confederazione disordinata verso un’unica «nazione degna di stipulare trattati».
Con il raggiungimento di questo status, la nuova nazione otteneva anche il diritto di agire a suo piacimento a livello nazionale.
Il diventare una «nazione degna di stipulare trattati» conferì molteplici vantaggi: il riconoscimento da parte degli altri Stati e la libertà di agire senza interferenze a casa propria.
Il potere egemonico fornisce l’opportunità di diventare uno Stato canaglia, sfidando liberamente il diritto internazionale e le sue norme, mentre affronta una crescente resistenza all’estero e contribuisce al proprio declino attraverso ferite auto inflitte.

mercoledì 6 novembre 2013

Datagate, contro lo spionaggio spostiamo il G8 all'ONU?

Credo che ben poche persone siano mai state pienamente convinte dell’utilità dei vari assembramenti dei potenti della Terra quali i vari G8, G20 etc.. Se facciamo un bilancio di questi eventi, rileviamo a mio parere quattro criticità di base: 1) le vere decisioni strategiche a livello globale non sono mai state assunte in questi fora, ma piuttosto nelle riunioni dei governatori delle Banche Centrali; 2) i costi di organizzazione e gestione di tali eventi, compresi ovviamente quelli per la sicurezza e per la popolazione che ha la sciagura di vedere la propria città sequestrata per qualche giorno, sono esorbitanti rispetto alla loro utilità; 3) questi summit si sono rivelati una splendida occasione per ricompattare i vari movimenti di contestazione che, in un primo momento, avevano degli argomenti forti da proporre in contrasto alle politiche mondiali ma che, ultimamente, si organizzano solo per mostrare muscoli e scatenare violenza, molto ben aiutati – c’è da ammetterlo – dalla reazioni spesso spropositate delle forze dell’ordine; 4) tali meeting sono antistorici e non stanno al passo coi tempi, prova ne sia che l’Italia fa ancora parte del G8 pur essendo la nona economia mondiale e che i paesi emergenti si devono inventare fora paralleli per far sentire la loro voce, inascoltata nonostante l’evidente ribaltamento delle posizioni economiche globali attualmente in atto.
A tutto ciò si aggiunge poi la scoperta recente – ma non sorprendente – di come alcuni Paesi ospitanti tali summit (leggasi Russia) abbiano sfruttato l’occasione per rafforzare il loro sistema di spionaggio, regalando alle delegazioni partecipanti raffinatissimi gadget dotati di sistemi di cattura dati sensibili (sia vocali che scritti). Personalmente mi fa impressione pensare che i massimi potenti della terra, una volta tornati a casa dal G qualcosa, consegnino i regali offerti dal Paese ospitante ai propri servizi di sicurezza per verificare che non vi sia qualche trucco nascosto. Mi chiedo infatti quale possa essere il livello di fiducia presente nelle discussioni per decidere le sorti dell’umanità se nella sala aleggia il dubbio che ci si spii a vicenda.
Per questo motivo ritengo che la fase dei summit organizzati da un Paese ospitante dovrebbe essere conclusa per tornare al vero multilateralismo in campo neutro: leggasi Nazioni Unite. Certo, l’organismo non riscuote ampi consensi in vari strati dell’opinione pubblica, ma alla fine dovrete ammettere che è ad oggi l’unico vero meccanismo di tutela per garantire piena trasparenza e terzietà di fronte a tutti i Paesi membri. Da oggi in poi, sarebbe auspicabile che tutte le riunioni di questo genere si tenessero sempre e comunque nella sede e sotto l’egida ONU, che dovrebbe garantire appunto la sicurezza di tutte le delegazioni, la piena parità e legittimità delle posizioni rappresentante etc.., senza quel meccanismo perverso per cui il Paese ospitante detta l’agenda dei lavori, elemento che già a mio parere rappresenta un vulnus iniziale alla corretta e paritaria gestione dell’evento.
Desidererei che i paesi della vecchia Europa, che in questa congiuntura di spionaggio mondiale hanno mostrato di saper tenere la schiena dritta ed hanno dato prova di equilibrio e dignità, oltre ad avere una consolidata abitudine al multilateralismo grazie all’esperienza dell’Unione Europea, avanzassero congiuntamente una posizione forte di questo tipo: mai più G8 o G20 se non in campo neutro, nel Palazzo di Vetro. Sarebbe un ottimo segnale per far capire che i vari scandali di spionaggio non sono accaduti invano e che, come succede nella vita di tutti i giorni, ad ogni azione scorretta occorre rispondere con una reazione forte e decisa, per annullarne gli effetti.

venerdì 1 novembre 2013

LEGGI AD PERSONAM E CONTRA PERSONAM

Si e' dibattuto e combattuto in questi giorni sulla modalità del voto della decadenza da senatore di Silvio Berllusconi. Ora, pur essendo evidente la mia ostilità nei confronti del puttaniere di Arcore, non bisogna certo cadere nell'errore di diventare come lui lo è stato per 20 anni...un manipolatore della costituzione per usarla a proprio uso e consumo. Il fatto che la giunta abbia deciso, in autonomia per carità, di forzare la mano e votare a voto palese da un lato fa dire..ok tutti i parlamentari ci devono mettere pubblicamente la faccia..ma dall'altro presti il fianco a Mister B nel dire che per lui a differenza di tutti gli altri si usa un metodo unico e particolare..scorciatoie contra personam inaccettabili..in effetti cosa costava comportarsi con Mr B come tutti gli altri..la decadenza e quindi poi l'incandidabilita sarebbe stata sancita dal tribunale in maniera irreversibile..che bisogno c'era di forzare in questo modo? La spiegazione e' una: la sinistra vuole portarsi a casa il totem dell'eliminazione parlamentare di Berlusconi da sbandierare alle prossime elezioni e ciò la porta a fare mosse avventate, anche per accontentare Renzi. Vedremo se il popolo della sinistra apprezzerà o meno.

martedì 29 ottobre 2013

DUELLO RENZI-MARINA BERLUSCONI? NO PER CARITA'

Ho sempre considerato la politica come progetto per una società diversa nel quale impegnarsi con dedizione e sacrificio per un mondo migliore e, quindi, quando vedo far politica con opportunismo, massaggiando la pancia della gente e non il cervello, mi fa impressione. Non è la politica che intendo io.
Ormai sono tutti berlusconizzati solo che il pregiudicato manda avanti il progetto della P2 per i suoi interessi gli emuli fanno solo proposte atte a catturare voti da ovunque vengano senza preoccuparsi delle ideologie, del progetto e delle prospettive. Uno chiede voti al Pdl ed ai grillini l’altro non tocca il tema immigrazione per non perdere voti.
Se la politica è senza progetto ideologico non è la mia politica. 
Il capitalismo si è evoluto, da capitalismo oppressivo e sfruttatore è diventato capitalismo finanziario e parassita.
Prima il capitalista metteva in piedi una fabbrica e produceva qualcosa attraverso lo sfruttamento della manovalanza da pagare, ovviamente, il meno possibile.
Uno, un capitalista a caso, investiva miliardi e si trovava ad avere a che fare con dirigenti, dipendenti, sindacati, scioperi e manifestazioni ed alla fine dell’anno aveva una rendita del 10%, al netto delle tasse sempre che sia stato onesto, ed abbia rispettato tutte le regole imposte dallo stato e dalle conquiste del sindacato. Insomma una rottura di palle.
Adesso
il capitalista finanziario parassita non ha più bisogno di capannoni, reparti di ricerca, reparti di produzione, dipendenti e dirigenti che fanno il lavoro sporco per lui. Niente più incontri con i sindacati, rivendicazioni, scioperi, serrate e niente stipendi da elargire a 3, 4 mila persone o di più.
Oggi il capitalista finanziario parassita investe sui debiti dello stato che tutti i cittadini, si fa per dire, verranno chiamati a pagare.
Niente più scioperi, boicottamenti della produzione, sindacati che rompono le palle con le rivendicazioni dei dipendenti, niente capannoni e niente dirigenti che magari ci mangiano sopra.
Il lavoro sporco per opprimere la massa non lo fa più lui, o i suoi scagnozzi, lo fa il governo, i governi, che sguazzano tutti nello stagno del capitalismo.
La resa, per l’imprenditore capitalista parassita, è molto di più del 10% che ho ipotizzato sopra, senza rotture di palle.
Il risultato è che le imposte dello Stato italiano vengono per l’87% dal lavoro dipendente e dai pensionati il resto dai parassiti della finanza.
Teniamo presente che il 10% delle famiglie italiane possiede oltre il 47% della ricchezza nazionale: niente è più anticostituzionale ed antidemocratico di una situazione del genere.
Vi va bene una situazione come questa?
Se Marina rappresenta il capitalismo finanziario parassita e ladrone mi domando cosa rappresenti Matteo Renzi per il quale l’obiettivo è rubare voti al Pdl ed ai grillini per vincere.
Vincere che cosa? Per andare dove e con chi?
Da sempre preferisco avere a che fare con un figlio di buona madre piuttosto che con un ignorante.
So cosa vuole e dove vuole andare, il figlio di buona madre, l’ignorante no. Non lo sa nemmeno lui e ti spiazza in continuazione.
Ora non credo che Renzi sia ignorante, è opportunista ed aspira ad un obiettivo di breve termine, vincere.
Manca il progetto del dopo, se c’è è un ripiego, sono dei cerotti da mettere al capitalismo finanziario e parassita...briciole..

lunedì 21 ottobre 2013

IL NEGARE COME VIA D'USCITA DALLA REALTA'

La morte dell’Hauptsturmführer der SS Priebke e soprattutto il suo testamento spirituale nel quale il ne regrette rien ha aperto le fosse dei cazzari, dei negazionisti e dei sedicenti “storici” da blog e social network, creando una tossica nube di ottuse e inumane sciocchezze che forse vale la pena di chiarire.
La prima cosa è che Priebke non era affatto uno dei tanti tedeschi richiamati nella Wehrmacht, non apparteneva alle forze armate, ma a un élite (si fa per dire) militar politica che durante il periodo della guerra si è specificamente occupata dello sterminio degli ebrei, così come delle operazioni a danno dei Paesi occupati. Questi signori, quasi uno Stato nello Stato, svolgevano operazioni di polizia politica, avevano giurisdizione sui campi di concentramento, governavano l’intelligence (non militare) che serviva per sgominare qualsiasi opposizione in Germania, come in Europa, controllavano la fedeltà ideologica dei comandi militari. Erano sostanzialmente combattenti da retrovia (anche perché la Wehrmacht ne sabotava la dotazione di armi) che si occupavano di sterminare i prigionieri, fanatici che avevano scelto e perseguito con accanimento la loro appartenenza ideologica senza che nessuno glielo avesse imposto e spesso anzi per interesse di carriera. Le SS non vanno confuse con le Waffen SS, truppe combattenti che in principio erano costituite da 18mila uomini raccolti tra le cosiddette Allgemeine – SS cioè persone ideologicamente molto vicine al nazismo, ma non inserite nei vari corpi a difesa di Hitler e del partito. Solo In seguito, con l’allargarsi del conflitto, Himmler cominciò ad arruolare prima i nazisti delle popolazioni di origine tedesca sparsi per il continente, i ben notiVolksdeutscher, e poi i fascisti di tutti i Paesi occupati, ingrossando a dismisura il proprio numero. Queste truppe agivano insieme all’esercito, spesso come tappabuchi, ma con un comando separato ed è a loro che si deve la massima parte delle stragi verificatesi nel continente, compresa Marzabotto. Tra parentesi proprio l’esistenza delle Waffen SS è stato uno dei fattori che ha portato alimento alle tesi revisioniste di Nolte, permettendogli parlare di guerra civile europea.
La seconda è che Priebke è stato uno dei “nazisti viventi” che ha alimentato la leggenda secondo la quale la Shoa sarebbe un’invenzione. È la tipica affermazione di un codardo e di un soldato da scrivania degli orrori, perché volutamente confonde, ad uso dei babbioni, i campi di concentramento “dedicati” agli ebrei e altri individui “inferiori” con il lavoro forzato dei prigionieri di mezza Europa uscendosene col ragionamento che siccome gli internati erano utili non sarebbe stato conveniente sterminarli. Ma soprattutto sostenendo come se fosse un testimone oculare che le camere a gas erano un’invenzione, che erano troppo pericolose e affermando che a Dachau la camera a gas era stata costruita dagli americani. Come potesse saperlo visto che dal 1943 non metteva piede in Germania, che non aveva accesso alle segrete cose di quel livello e che dopo fuggì – attraverso Roma – in una remota regione andina dell’Argentina, è misterioso o è forse solo la disonestà di un travetdell’orrore.
In ogni caso qui c’è da sfatare due leggende metropolitane, se così possiamo chiamarle che circolano al tema. La prima è il negazionismo inaugurato da Faurisson, il quale smentisce la testimonianza del comandante di Auschwitz, Rudolf Hoess, sulla base di una presunta impossibilità di utilizzare il Zyklon B nei modi in cui viene raccontato. Si tratta naturalmente di balle forse derivate da un’ignorante o astuta confusione con il Sarin, cioè uno dei più conosciuti gas nervini, implicato anche ai nostri giorni nella questione siriana: il fatto che non fosse possibile entrare nella camera a gas pochi minuti dopo il loro uso o toccare i cadaveri o fumare, come racconta Hoess, è stato completamente smentito dagli esperimenti condotti in seguito, lasciando alla superficialità di Faurisson e dei suoi seguaci che ingrassano a dismisura con queste sciocchezze da bricoleur della chimica, il posto che merita.
La seconda leggenda è quella secondo la quale, visto che non esistevano le camere a gas non sarebbe stato possibile sterminare sei milioni di ebrei: peccato che tutto questo non abbia assolutamente senso visto che le camere a gas, sebbene molto comode per uno sterminio di massa, non furono affatto usate dappertutto, era molto più economico cominciare lo sterminio già al momento della cattura e delle retate (quasi un milione di ebrei fu ucciso così, soprattutto in Russia e in Europa orientale), poi durante il viaggio e infine attraverso la denutrizione, le malattie (che di solito uccidono con molta efficienza) o con le iniezioni di fenolo o infine con i gas di scarico dei camion. In quegli anni altre 40 milioni di persone sono morte in Europa senza alcun bisogno di gas. Che tra l’altro non sono mai stati usati durante il conflitto, nemmeno dai tedeschi, salvo che nel tentativo di appoggiare il colpo di mano del ’44 del Gran Mufti di Gerusalemme contro la comunità ebraica della Palestina. Ma qui siamo di fronte a un tipico cortocircuito informativo: l’esistenza di camere a gas era quella che aveva maggiormente colpito le persone dopo la rivelazione della Shoa alla fine della guerra, tanto da far pensare che fosse stato l’unico strumento di sterminio. Dunque negare o ridurre il ruolo del Zykon B era automaticamente anche negare la strage.
E negare è spesso molto facile, anzi spesso una meravigliosa via d’uscita dalla propria umanità. Lo stesso Priebke ha sostenuto: «Se un domani si dovessero trovare queste prove, la condanna di cose così orribili, di chi le ha volute e di chi le ha usate per uccidere, dovrebbe essere indiscussa e totale». Purtroppo le prove ci sono eccome, anzi ci sono persino i primi elenchi informatici di morituri creati dalla sinergia tra Ibm e Deutsche Hollerit. Però l’Hauptsturmführer der SS, Erich Priebke, non ha tremato di fronte all’ultima vigliaccheria da piccolo e ignobile burocrate della morte.

domenica 13 ottobre 2013

La sepoltura del Boia

Non voglio nemmeno nominare il suo nome, in questo breve articolo lo chiamerò IL BOIA.
Dopo la sua dipartita, si spera all'inferno, ci si è posto il problema della sua sepoltura; problema che per me sarebbe di facile soluzione ma abbastanza sbrigativa...credo comunque che Roma non possa e non debba accettare la sepoltura ed i funerale del Boia, pena la cancellazione morale della sua storia recente.
La pietà cristiana imporrebbe un funerale e poi la tumulazione, credo che questo debba avvenire in Germania terra natia di tale personaggio e terra dove l'ideologia appoggiata dal boia ha avuto terreno fertile, non certo qua da noi in Italia, ancora nell'animo profondo ferita da certe atrocità.
Speriamo che tutti si ragioni col buon senso.

lunedì 7 ottobre 2013

LA DECADENZA DI UNA SOCIETA'

Purtroppo i “Compro-oro”, le sale slot machine, i centri scommessa e altre attività simili, sono il segno evidente della rovina e della decadenza sociale in cui è sprofondata l’Italia, un paese fortemente corrotto, avvilito e annichilito.
Negli ultimi anni, questo genere di attività – che galleggiano sul sottile filo che divide legalità e illegalità – si sono decuplicate, non esiste via o piazza senza il suo bel angolo di disperazione. Il giro d’affari è di circa 7-10 mld di euro ogni anno, le regole sono labili o inesistenti e dietro molte attività vi è la mano della malavita, lesta ad invadere le opportunità che il mercato globalizzato offre.  Lo confermano i dati della Guardia di finanza: solo nel 2013 sono stati arrestati 52 responsabili di traffico di metalli preziosi, oltre il 200% in più rispetto all’anno precedente. Difatti solo l’1% dei “compro-oro” è registrato presso l’apposito elenco di Bankitalia.
Il denaro in circolazione scarseggia, per far fronte a ciò si “investe” il poco denaro rimanente tentando la fortuna in scommesse e slot machine, oppure si svendono le “ricchezze” familiari per poter pagare il caro vita in perenne rialzo in questi anni di crisi economica. Stanno rastrellando l’indipendenza finanziaria delle famiglie italiane, una volte famose in tutto il mondo per capacità di risparmio e di tutele del proprio futuro.
A Madrid, ho visto con i miei occhi a Puerta del Sol, in pieno centro, veri e propri P.R. dei “compro-oro” che cercano clienti strada per strada.
La situazione sta diventando invadente e insostenibile. Nel 2013 – secondo il Rapporto Italia dell’Eurispes – un italiano su quattro si è recato presso un “compro-oro”, ovvero più del 28% della popolazione.
Le gigantografie nelle strade e gli spot in televisione contribuiscono ad acuire il fenomeno della svendita italiana, con testimonial d’eccezione che, senza vergogna e ritegno alcuno, prestano il proprio volto per la promozione dell’anticamera del disastro socio-economico.
In uno dei sopracitati spot, un noto attore italiano, in coppia con il figlio, sostiene di essersi sbarazzato di qualche «cianfrusaglia d’oro» per acquistare un megaschermo: «Così quando sono a casa, anziché aprire il cassetto e guardare l’oro, guardo il televisore e mi diverto di più».
Si chiama propaganda. Si invita la gente a non pensare, a svendersi per sopravvivere, rinnegando il passato, i valori, le tradizioni, le radici culturali, ma anche il futuro, barattato con un presente di perenne alienazione.

martedì 1 ottobre 2013

LA VERA CRISI DELLA PERDITA DI COMPETENZE

E’ impressionante il numero di persone verso cui nutro una stima incredibile che se ne sono già andate o si stanno organizzando per andarsene dall’Italia.
Amici universitari e d’infanzia hanno fatto già i bagagli da tempo e sono contentissimi della loro scelta: per loro l’Italia è oramai soltanto un posto di vacanza.
A questi si aggiungono altre persone conosciute nella vita professionale e privata.
Della perdita di competenze ed intelligenza ci si preoccupa poco.
La vera crisi comunque è quella legata alla perdita di comVisualizza blogpetenze, al tessuto produttivo vero e creativo che viene ostacolato, bloccato, immobilizzato da una burocrazia sempre più viscosa, organizzata in modo da far sprecare inutilmente un sacco di energie ed avere illusoriamente tutto sotto controllo.
Governanti od aspiranti tali stanno gestendo la crisi soltanto dal punto di vista finanziario, poiché per loro è quello il problema numero uno.
Come viene gestita? Sostanzialmente è una gestione taroccata, condotta sul lato della percezione del problema:
- negare sempre la situazione attuale ed annunciare che il peggio sta per finire
- sovvenzionare aziende o modelli di business (ovviamente legati al proprio entourage di amici e clientele) che dovrebbero già essere estinti
- rischiare la distruzione della moneta pur di non aumentare i tassi di interesse (il cui aumento spazzerebbe via aziende e addirittura Stati interi, ingozzati di debiti)
Nel frattempo aziende e imprenditori fanno le valigie e portano altrove la propria conoscenza organizzativa e creativa (la quale necessita comunque di tempo per riadattarsi al nuovo territorio).
I politicanti ed i burocrati hanno la convinzione che risolto il lato finanziario (sono convinti della riuscita dei taroccamenti), basti una leggina per fare ritornare le aziende e renderle produttive dal giorno dopo.
Non avendo per la maggior parte mai avuto altre esperienze fuori dal mondo della pubblica amministrazione, ignorano del tutto il processo cognitivo legato all’organizzazione di un’impresa come ad esempio la scelta delle persone idonee e competenti da assumere (che necessitano di tempo per apprendere e diventare produttive).
Un’azienda che se ne va, non torna domani mattina e qualora in futuro tornasse non troverebbe le stesse condizioni di conoscenza che ha lasciato (le persone che vi lavoravano si devono riadattare, cambiare per un analogo posto o acquisire altre competenze). La perdita di conoscenza non viene recuperata in tempi brevi. E sicuramente non viene ripristinata senza parecchio sacrificio/investimento di tempo e senza una buona dose di tenacia/dedizione.
E qua veniamo al secondo punto che io reputo molto importante: l’etica del lavoro delle persone.
Decenni di espansione continua dello Stato hanno creato e stanno creando un esercito di persone con un’etica del lavoro molto più blanda e fiacca rispetto al passato.
L’etica del lavoro non è minimamente paragonabile a quella di qualche decennio fa. Cosa è cambiato?
Lo Stato e tutti i sociopatici che conquistano le istituzioni hanno nel profondo del loro cuore un desiderio di controllo che li consuma. Odiano il fatto che le persone siano dotate di libero arbitrio e possano scegliere col proprio cervello cosa fare nella propria vita.
Per cui si sono organizzati per colpire il cervello delle persone e riempirglielo di idiozie.
Tramite la scuola pubblica hanno attuato una strategia dell’ignoranza, uno svuotamento della cultura e delle conoscenze di base, ottenuto tramite proliferazione di titoli di studio farlocco fatti di abbondante nozionismo e di poca conoscenza pratica. Aggiungiamo a questo una continua predicazione di buonismo di Stato, di solidarismo coi soldi altrui.
Et voilà hai ottenuto un prototipo di persona molto legata alle istituzioni ed amante della pianificazione dall’alto.
Se a questo sommiamo il fatto che il modello di successo continuamente propinato da televisione e giornali è un mix di gioventù, ricchezza, tempo libero e voglia di divertimento e di viaggi, ma chi glielo fa fare ad un giovane di sacrificarsi per formarsi una professionalità che gradualmente col tempo lo renderà competente e ricercato? Meglio tirare a campare cercando di infiltrarsi nello stato e sperare di ottenere a sbafo un po’ di grasso che cola (per la verità sempre meno) o ambire ad una fortuita svolta nella propria vita (lotto, superenalotto, macchinette, scommesse online, ci sarà pure un perché lo Stato continua a fare pubblicità a queste forme di auto-tassazione?)
Tirando le conclusioni:
- la crisi finanziaria è soltanto un aspetto (e a mio avviso neppure il più importante) di un problema di più vaste dimensioni
- la maggior parte delle persone neppure percepisce il problema, quello che l’hanno percepito, stanno facendo i bagagli (non che all’estero sia tutto rose e fiori, ma una cosa è certa, gli Stati tendono a considerare i propri cittadini come una loro proprietà. Spesso invece all’estero si è considerati come una risorsa e non una proprietà, come portatori di idee nuove).
- l’etica del lavoro viene e verrà sempre più distrutta: allo Stato non interessa avere persone autonome e pensanti, ma dei droidi da comandare. Le persone libere ed intelligenti mettono a repentaglio la struttura di potere esistente (“Senti cerebroleso, mi sembra che sei un po’ un deficiente nel continuare a rifare gli stessi errori, facciamo che provo io a governare e a cambiare? Anzi, meglio ancora, facciamo che smetti di fare leggi idiote che mi rompono continuamente i coglioni e mi fanno perdere un sacco di tempo della mia preziosa vita?”)
- la distruzione dell’etica del lavoro porta alla diminuzione della creazione della ricchezza. Anche per gli Stati saranno guai seri. 
- il processo è lento e la massa critica coinvolta (decenni di formazione culturale) è tale per cui i tempi di reazione per ottenere un cambio di direzione saranno semmai molto lunghi, scordatevi la leggina fatta dell’Illuminato di turno che sistema subito i problemi.

lunedì 23 settembre 2013

LE SOLITE BUGIE DEL PREGIUDICATO B.

Sui fondamenti della procedura in atto al Senato per la decadenza dall’incarico per Silvio Berlusconi non possono esserci dubbi.Una lettura solo attenta del decreto-legge che porta il nome dell’ex ministro del governo Monti Severino toglie ogni dubbio a chi conosca,sia pure in modo non perfetto,la costituzione repubblicana e le leggi vigenti del nostro Stato.
Berlusconi-come sempre ma con aria indubbiamente più tesa e preoccupata del solito-nel solitario comizio registrato ad Arcore in villa San Martino, ha cercato di mettere insieme la sua ultima difesa giornalistico-televisiva e il rilancio del partito di Forza Italia destinato a rimpiazzare il PDL in vista delle non troppo lontane elezioni che si profilano all’orizzonte. Le elezioni appaiono vicine(probabilmente nella prossima primavera) tra qualche mese per responsabilità di due fattori concomitanti:la prima è  la difficoltà oggettiva di far convivere le due anime abbastanza in conflitto tra loro che convivono nel Partito democratico in un partito che è difficile non definire incerto;la seconda è che l’uomo di Arcore non può accettare senza reazioni il voto previsto per il 10 ottobre di decadenza dalla carica di senatore.E, poichè ha a  disposizione in parlamento  un pacco di voti in grado di far cadere il governo e non  ha nel suo partito nessuno che gli si possa nè sia in grado di  opporsi con successo alla sua posizione,la sua diventa dall’inizio la posizione ufficiale e definitiva della rifondata Forza Italiana.
Occorre subito dire, peraltro,  che l’uomo di Arcore,che, con ogni probabilità, si dimetterà un minuto prima che l’aula di Palazzo Madama emetta-se i tre partiti proponenti,cioè il PD,SEL e Scelta Civica-manterranno la posizione già espressa- di votare per la sua decadenza. Ma ieri, nel malinconico, videomessaggio, ha riempito gli spettatori di un carico di bugie degno della sua antica fama,del tutto incurante di quanto hanno scritto al Senato dieci tra i maggiori costituzionalisti italiani(tra i quali ricordo almeno Bettinelli,Allegretti,Pinto e Guastini), affermando che non si può parlare di irretroattività per la legge Severino e che esistono tutte le condizioni perchè l’assemblea plenaria dopo il voto della commissione apposita possa provvedere immediatamente ad emanare il provvedimento di decadenza dalla carica per il senatore Berlusconi.
Il che non significa-sia ben chiaro-che l’ex senatore non possa imitare Beppe Grillo e ritirarsi in una posizione di fondatore o meglio ancora garante dei desolati e divisi parlamentari e seguaci del suo movimento.Certo i rapporti tra il segretario Alfano e i “falchi”,come ormai vengono chiamati,Verdini e Santanchè sono tra i peggiori.E d’altra parte l’uomo che è stato per molti anni presidente del Senato e che oggi fa il capogruppo del PDL nella Camera Alta,il siciliano Schifani,pure indagato da tempo per concorso esterno nell’associazione mafiosa,non si stacca di un grammo dalle affermazioni rese nel videomessaggio del capo. C’è forse in molti dei suoi luogotenenti la sensazione, non del tutto errata,che l’assenza del cavaliere nella campagna elettorale rischi di condurre alla sconfitta l’intero esercito. E’ questo-possiamo dirlo-il destino dei partiti troppo personali e leaderistici e lo si è già visto nel centro-destra con la parziale resurrezione del neofascista Storace come nel centro-sinistra di fronte al disastro che ha vissuto la IDV di Antonio Di Pietro,ridotta ormai ai minimi termini.  Ma ad elencare rapidamente le bugie ripetute per l’ennesima volta da Silvio Berlusconi c’è da pensare che l’uomo tratti gli italiani come del tutto privi di memoria e di senno. Il che non ci riempie di gioia.
1) La crisi economica come effetto dell’ultimo ventennio quando anche i più ignari sanno che lui ha governato più di tutti gli altri in questo periodo.
2)La magistratura come “contropotere irresponsabile”:ma se è lui aver fatto approvare 18 leggi ad personam sulla giustizia su un totale di 37 approvate dal parlamento;
3)la caduta del suo primo governo:non è vero che venne rovesciato dall’opposizione di centro-sinistra ma cade per la riforma Dini che porta la Lega Nord a decidere il ribaltone;
4)50 processi e 41 assoluzioni:non è vero,i processi sono stati finora 18 ,quelli conclusi sono 14 e con varie condanna,come chiunque può controllare;
5)l’evasione sui diritti tv: l’effettiva  evasione c’è stata nel biennio 2002-2003  e nella misura di 7 milioni di euro(e contestata all’inizio per 370 milioni di euro).La prima imputazione è caduta solo grazie alle leggi ad personam che hanno fatto cadere le accuse di appropriazione indebita e di falso in bilancio.
6) Il finale del video-messaggio ripete le frasi sul valore della famiglia e detto da chi ha tentato di convincerci che Ruby era la nipote di Mubarak ed è stato per questo già condannato in primo grado per prostituzione minorile è davvero troppo.

martedì 17 settembre 2013

IL TABU'

Per quanto riguarda questa Repubblica, la posta in gioco non consiste nel destino del governo Letta e nemmeno nell’esito politico della ventennale parabola berlusconiana. Consiste nell’affermazione dello Stato di diritto, nel principio della legge uguale per tutti contro la legge del più forte, del più ricco, del più furbo.
Per quanto riguarda invece le questioni personali del signor Berlusconi la posta in gioco è curiosamente quella di cui si parla di meno, quasi come se fosse un tabù, un esito difficile da immaginare, talmente indicibile che nel suo monito d’agosto Napolitano vi ha lontanamente accennato e solo per escluderlo: cioé le manette, il carcere vero, la cella.
Perché è attorno a questo scenario che si sta litigando e trattando, tutti lo sanno anche se nessuno lo dice.
Com’è che Berlusconi si è così imbullonato a un seggio senatoriale che ha frequentato finora solo nello zero virgola per cento delle sedute, se non per lo scudo che questo offre rispetto a eventuali futuri mandati d’arresto?
Com’è che la mediazione si impantana ogni volta non di fronte alla grazia (su cui Napolitano è più che possibilista) ma di fronte alla sua ‘esaustività’, cioè alla possibilità che faccia fuori tanto gli effetti della Severino quanto l’interdizione, in modo da lasciare Berlusconi in Parlamento a vita, elezione dopo elezione?
Com’è che tutti i calcoli pidiellini su possibili elezioni anticipate si aggirano attorno al rischio che Napolitano le eviti, o attorno alla (debole) chance di ricorrere al Tar per la candidatura del Capo ma anche (o soprattutto) attorno alla maggioranza da raggiungere in entrambe le Camere per poi cucirgli addosso un nuovo salvacondotto?
Di questo si tratta, ormai: altro che “agibilità politica” e altre fesserie di copertura.
Stiamo parlando dei pizzini di Lavitola, delle confessioni di De Gregorio, delle parole di Tarantini, di un gorgo senza fine di procedimenti penali che si moltiplicano perché emergono ogni giorno reati commessi per coprire altri reati, come le pressioni sulla diplomazia cinese per nascondere le carte sulla frode fiscale, come i soldi e le ‘utilità’ ai testimoni del Rubygate perchè mentissero e smentissero le loro stesse intercettazioni e le loro celle telefoniche.
Di questo si tratta, ormai: di un precipizio che può portare prima o poi un giudice a mandargli i carabinieri a casa per evitare che inquini ulteriormente le prove (è di corruzione giudiziaria che è accusato a Bari) o che scappi all’estero (come sempre piu amici gli suggeriscono, gli basta salire su un suo aereo privato e decollare, non deve certo passare i controlli a Linate come noi comuni mortali).
Ora, che l’arresto di B. sia uno scenario scioccante è comprensibile e i primi ad averne paura sono quelli che gli si proclamano avversari o competitori, timorosi di farne un martire e di pomparne quindi il consenso.
Ma qui si ritorna al punto di partenza: se questo è uno Stato di diritto, se la legge è uguale per tutti, il cittadino Berlusconi andrà o non andrà arrestato secondo la legge e senza alcuna differenza rispetto agli altri cittadini, né in un senso né in un altro. Per quanto ora sia un tabù di cui ipocritamente nessuno parla anche se a questo che tutti pensano.

lunedì 9 settembre 2013

IL DILEMMA DEL PREGIUDICATO DI ARCORE

Ci sono due immagini di Silvio Berlusconi degli ultimi giorni che raccontano meglio di ogni retroscena lo stato di «disperazione» del Cavaliere, rinchiuso nella sua villa di Arcore in attesa che lunedì la giunta per le immunità decida sul suo ormai scontato addio alla politica italiana. Due immagini che rappresentano l’indecisione, il panico, la sospensione tra falchi e colombe del Pdl, propria di un leader politico che non ha ancora preso una decisione sul da farsi da qui a domenica: staccare la spina al governo Letta o continuare a sostenerlo.
La prima istantanea che dovrebbe far riflettere è quella che lo ritrare con il leader dei Radicali Marco Pannella per il voto ai referendum: un Berlusconi un po’ «stralunato» che invita i suoi elettori ad abolire diverse leggi approvate durante i suoi governi. La seconda è quella con la fidanzata Francesca Pascale e il cane Dudù sul divano di villa San Martino. Volto sofferente, quasi «costretto» in posizioni plastiche lontane anni luce dai bagni di folla o dai comizi che gli hanno fatto governare l’Italia per quasi vent’anni: è l’immagine dell’eclissi di un leader.
Chi lo ha visto negli ultimi giorni racconta di un Berlusconi che da troppo tempo non sa più a che santo votarsi. Che parla con tutti, si arrabbia, cambia idea in continuazione. Tra alti e bassi di umore. Tra chiedere la grazia e non chiederla. Tra chiedere a Marina Berlusconi di lanciarsi in politica, ma anche di non farlo. Tra chi lo invita, come Fedele Confalonieri o Ennio Doris, a riflettere sulle sue aziende che potrebbero essere stritolate dopo una crisi di governo, e chi invece gli chiede di forzare la mano.
Appena sabato annunciava di non voler far cadere il governo Letta. Poi la giravolta di mercoledì quando fa trapelare che tra due giorni, cioè venerdì, i ministri del Popolo della Libertà potrebbero dimettersi dall’esecutivo nel caso in cui il Partito Democratico votasse per la sua decadenza da senatore. Le avvisaglie di crisi sono iniziate subito a filtrare tra i parlamentari. Tra chi asseconda le istanze bellicose e chi invece chiede ancora tempo, almeno fino a lunedì.
E se Altero Matteoli all’uscita dalla riunione dei senatori pidiellini a palazzo Madama spiegava «che se decade Berlusconi cade anche il governo Letta», è toccato alla colomba Maurizio Lupi, ministro per le Infrastrutture, ribadire che da parte del Pdl «non c’è nessuna minaccia. Pur avendola votata, i dubbi sulla costituzionalità della legge Severino possono esserci e sono legittimi. Noi abbiamo con forza espresso una posizione, richiamando alla responsabilità il Pd. Non è un ricatto ma è un invito ad un’assunzione di responsabilita».
Il problema è che Berlusconi si trova in un vicolo cieco tanto che Enrico Letta appare più che mai tranquillo: «La mia testa è concentrata sugli obiettivi di medio-lunge termine» spiega. «È l’unico modo per lavorare e non lasciarsi distrarre dalle turbolenze del momento che in parte sono legate a questioni estranee al governo, come accade fra le altre cose con i problemi giudiziari di Silvio Berlusconi». Lo stesso presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, anche se irritato dalla situazione, almeno secondo diversi interlocutori, tace ben sapendo che resisterà con le unghie alla caduta del governo che lui stesso ha voluto.
Del resto, tra le priorità del Capo dello Stato, c’è la modifica della Legge Elettorale. Chi lo conosce spiega che «Napolitano non vuole sciogliere le Camere se prima non sarà modificato il porcellum», tassativo. E soprattutto che c’è una crisi economica mai finita e il semestre in Europa a guida italiana a bloccare ogni possibile avvisaglia di elezioni. E per essere ancora più chiari, Gianni Cuperlo, rivale di Matteo Renzi al prossimo congresso del Partito Democratico, ha già fatto sapere che nel caso in cui cadesse il governo ci potrebbe essere una nuova maggioranza. Per intenderci, quei quattro nuovi senatori a vita da poco eletti, nemmeno applauditi dal Pdl al loro insediamento al Senato, potrebbero essere solo «la prima gamba» su cui costruire il nuovo Letta bis.
Il punto però è che Berlusconi sta pensando alle elezioni. O comunque i falchi come Daniela Santanchè o Micaela Biancofiore continuano a spronarlo in quella direzione, facendo breccia in un leader confuso, che vede avvicinarsi il baratro finale. La disperazione che potrebbe vincere sul calcolo razionale. C’è persino chi gli consiglia di cavalcare elettoralmente la decadenza da senatore e soprattutto l’interdizione dai pubblici uffici che gli pioverà addosso a ottobre. La data ultima per possibili elezioni a novembre e dicembre sarebbe il 15 ottobre, quando Letta ha annunciato il varo della nuova legge di stabilità. Coincidenze? Non si sa. Sta di fatto che la tensione inizia a farsi palpabile, si ballerà per qualche settimana, ma alla fine, come sussurrano le colombe, «non succederà nulla». Perché Berlusconi, come dice Dario Franceschini del Pd, «è finito». Sarà davvero così?

domenica 1 settembre 2013

LE BOMBE PACIFICHE

Hanno catarreristiche tecniche diverse da quelle del passato. Si sa da subito chi vincerà. Sono veloci nella fase militare ed eterne nella ricostruzione della pace.La guerra umanitaria che ha il brevetto sul nome è quella dei bombardamenti Nato sulla Jugoslavia di Milosevic. È il 1999 e da Washington e Bruxelles ci dicono che è per difendere la minoranza albanese della provincia serba del Kosovo. Roma zelante ripete la lezione. Balla sovranazionale, con la Serbia che alla fine perde un pezzo del proprio territorio e l’Europa che ci guadagna solo un nuovo staterello attaccabrighe, nuova isola della Tortuga. Dopo l’avventura che il mondo continua a pagare cash con elefantiache e sterili missioni internazionali, quella motivazione alla guerra perde fascino e credibilità. Da allora si tenta di legittimare altre azioni militari internazionali come “ingerenza umanitaria”, ma lo slogan è bocciato sul nascere dagli addetti al marketing dell’idealpolitik. Troppo evidente pubblicità ingannevole.
Le guerre umanitarie, hanno caratteristiche tecniche che le distinguono da tutte quelle del passato. Si sa da subito chi vincerà. Squilibrio di forze poderoso, altrimenti neppure ci si proverebbe. Sono veloci nella fase militare e sono eterne nella ricostruzione della pace del cessate il fuoco che viene gabellato come pace. Quelle guerre impongono l’uso di ordigni sempre intelligenti, che ammazzano i civili nel tentativo di risparmiare i soldati. “Opzione zero” viene chiamata. Tradotto: zero morti per chi decide il conflitto e zero umanità nei confronti di chi lo subisce. Per perfezionare il meccanismo delle guerre umanitarie resta un problema da risolvere: individuare e catalogare i pochi buoni da soccorrere e i molti cattivi da punire. Prima o poi scoppierà una guerra anche per questo. Cruise e Tomahawk non sanno distinguere.
Anche a raccontarle, quelle umanitarie sono guerre difficili. Guerre da vendere, da mettere sotto i riflettori a tutti i costi ma senza mostrare nulla. L’ultimo Iraq ne è l’emblema. Guerra da offrire in pasto all’opinione pubblica attraverso insistita e acconcia esposizione dell’attacco meritorio. Il conflitto armato, se abbastanza televisivo, fa ascolto, e il macello si trasforma in ore di televisione a basso costo, da spalmare su tutto il palinsesto. In un pindarico contraddittorio che insegue le emozioni e perde per strada la notizia, o almeno l’obbligo di verificarla. È la guerra dei forse, dei sembra, dei si dice. La guerra è materia giornalistica da maneggiare con prudenza, sempre. E quella umanitaria, che millanta di ammazzare soltanto un po’ e quasi chiede scusa, pretenderebbe una cronaca in toni composti. Da funerale di stato.

lunedì 26 agosto 2013

IL RICATTO

E’ un ricatto. Non ci sono motivi politico-lessicali per definire in maniera diversa la richiesta berlusconiana al PD di rinviare – magari astenendosi dal voto in giunta – la procedura di decadimento dall’incarico di senatore del condannato Silvio Berlusconi. Preso atto dell’impraticabilità della grazia presidenziale, dal momento che pendono sul cavaliere di Arcore altri cinque processi, la guerriglia che l’armata Brancaleone sferra contro il Paese si è concentrata sull’assalto all’unico polo strategico sul quale può avere ancora parola determinante: la sorte del governo.
Dunque, come Don Vito Corleone, Berlusconi propone un’offerta che non si può rifiutare e “suggerisce” al centrosinistra di sottrarsi al voto favorevole in giunta e permettere così al governo di sopravvivere, anche se al prezzo di uno strappo costituzionale tra potere legislativo e giudiziario che lacererebbe il già fragilissimo tessuto costituzionale italiano.
Tralasciando gli house organ famigli, impegnati a definire la riunione di giunta come fosse linizio di Armageddon, gli italiani che hanno sempre votato a destra, stando ai sondaggi, rimarrebbero convinti che la presenza di Berlusconi alla guida del PDL vada garantita.
Qui non c’è solo quella idiosincrasìa tutta italiana della corsa a salire sul carro del vincitore, quella dimensione stracciona del sistema valoriale condiviso che vede nella italica furbizia un modello di vita e nell’aggiramento delle norme il solo modo di sentirsi liberi. C’è proprio il convincimento che la caduta del capo sia l’inizio della fine di una destra che solo sul fatto che egli lo sia trova un minimo di accordo tra le bande che la compongono.
Dal punto di vista politico appare assurda la richiesta di approfondimento in sede di giunta del Decreto Severino, in forza del quale il capo del centrodestra non può più esercitare il ruolo di parlamentare; un simile iter consentirebbe né più né meno stabilire che l’erogazione delle pene previste dalle violazioni dei codici non sono più compito della magistratura ma, nel caso di un parlamentare, diventano materia a discrezione dei colleghi.
Sarebbe un vero e proprio golpe istituzionale che azzererebbe la divisione dei poteri prevista dalla costituzione e sancirebbe, sul piano dell’ordinamento politico, la similitudine tra le istituzioni della repubblica e la fattoria degli animali di Orwell, dove, com’è noto, tutti gli animali sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri.
La scalcinata destra italiana, gigantesco prodotto di una commistione affaristica tra eletti e proprietario, si misura con il senso stesso della sua esistenza, quello cioè di rappresentare un aggregato a difesa degli interessi privati di Silvio Berlusconi. Poco si capisce come mai alcune anime belle del centrosinistra si stupiscano di ciò, indicando la strada della rifondazione del PDL senza il cavaliere.
Sarebbe stato possibile per qualunque partito della storia della Repubblica, ma non per il PDL, giacché esso non rappresenta – né mai ha rappresentato – un progetto politico e non ha mai prodotto una classe dirigente alla quale chiedere d’interpretarlo.
La destra berlusconiana è stata ed è tuttora un gigantesco collegio di difesa delle avventure finanziarie del cavaliere, uno scudo per la sua immunità e la benzina per i suoi motori industrili e finanziari, strumento che, in parallelo con la politica, ha permesso l’espandersi dell’impero.
Mettere in discussione la Legge Severino, da loro convintamente votata, argomentando l’illegittimità della retroattività nell’applicazione delle norme, non deve stupire più di tanto. Quello della retroattività è certamente un elemento che presenta dubbi di costituzionalità, ma fintanto che non è toccato a Berlusconi la destra non l’ha – guarda caso – mai posto all’attenzione, men che mai ha proposto una legge che la abolisse. Ora però, la legge di colpo non va più bene. E dov’è la novità?
Allo stesso modo hanno sferrato attacchi durissimi contro il rigore europeo dopo aver loro firmato il fiscal compact e l’impegno di pareggio dei conti pubblici. Non serve, dunque, cercare coerenza; non c’è mai stata, mai ci sarà, dal momento che l’idea che il padrone della destra ha è che tutto si possa dire e smentire, fare e disfare, se funzionale al processo di consolidamento del suo potere politico e finanziario.
Nel merito, infatti, la decadenza da senatore e una prossima non candidabilità di Berlusconi per effetto della sentenza definitiva di condanna, non impedirebbe al cavaliere di dirigere comunque, pur restando fuori dalle istituzioni, il suo balocco. Il problema è che in vista dei prossimi processi Berlusconi ha disperato bisogno dell’immunità parlamentare e dunque non può permettersi di non usufruirne; a questo si aggiunge poi la consapevolezza che lui per primo ha di quale sia il livello qualitativo del suo gruppo dirigente.
Berlusconi è ben conscio di come la messa in sicurezza delle sue aziende, che devono essere tenute al riparo dalle inchieste della magistratura sulle discutibili pratiche con le quali sono nate e cresciute, non può essere affidata a pitonesse, nani e ballerine, cioè quella scombinata combriccola che compone il Circo Barnum che ci ostiniamo a chiamare PDL.
Il PD, al momento, reitera quotidianamente l’indisponibilità ad accettare il baratto tra governo e legalità, ma per esperienza, tra il prima e il poi nel PD c’è sempre qualcosa che s’incunea. Che il governo Letta sopravviva o meno è cosa relativa rispetto al rispetto, una volta tanto, della legge e delle norme. Berlusconi sa però che sulla tenuta della linea intransigente si gioca anche la partita per il Congresso e che non certo tutto il PD ansima per mantenere Letta saldo a Palazzo Chigi.
Per questo tenterà ogni mossa utile a far leva sul “senso di responsabilità” dei soliti noti. Ma è ovvio che il PD debba cercare ovunque al Senato i voti utili a sostituire quelli del PDL. Se li troverà, sia tra i MS5, sia tra eventuali franchi tiratori del PDL, tanto meglio per l’Esecutivo.
La speranza è che il PD non accetti il ricatto e che Grillo sia pronto ad offrire una soluzione politica funzionale al raggiungimento di almeno tre obiettivi: espellere Berlusconi dal consesso parlamentare italiano, trovare un accordo sulla legge elettorale, tornare al voto.
Obbiettivi salutari per il paese, ai quali opporre furbe tattiche speculative comporterebbe un danno irreparabile per il movimento e per l’Italia stessa. Serve, caro Beppe, una prova di elasticità e pragmatismo politico, una dimostrazione concreta dell’arte della semina prima e del raccolto poi. Mai come ora il bene di tutti s’intreccia così perfettamente con quello di ognuno.

giovedì 15 agosto 2013

Silvio e i dubbi di Ferragosto

Non è di certo un Ferragosto spensierato per Mr. B questo...la sentenza della Cassazione ha complicato non poco i piani del reuccio di Arcore...ora la strada politica per lui è tutta in salita e l'apertura di Napolitano per la grazia non sembra neppure più quella una buona notizia.
La grazia..seppure nella sciagurata ipotesi venga concessa, comporta comunque un ammissione di colpa che Silvio mai si sentirà di fare ed in più non elimina il problema dell'incandidabilita'.
Le strade alternative sono ancor peggiori nella forma ma forse più risolutive....l'affidamento ai servizi sociali, che a livello di immagine certo non e' il massimo, ad esempio e' la via più breve per estinguere la pena e potersi poi candidare...le restrizioni sono poche e B potrebbe non dico fare politica come ora ma quasi...
Vedremo questo ferragosto che consigli porterà ad Arcore e dintorni...di certo il Caimano le studierà tutte per non farsi mettere al l'angolo...definitivamente questa volta...


domenica 4 agosto 2013

Berlusconi e Grillo: come guidare un grande partito di massa da fuori il parlamento

Non entro nel merito della sentenza su Berlusconi perché io la penso in un modo e i difensori del cavaliere la pensano l'esatto opposto...mi chiedo invece un altra cosa, riuscirà il cavaliere dopo la recente sentenza della Cassazione che lo vedra' comunque prima o poi fuori dal parlamento, governare il suo partito anche fuori dal palazzo e magari ai domiciliari? Credo proprio di si...anzi paradossalmente nel suo Mondo ha rafforzato ancora di più i consensi e le convinzioni di chi lo ha sempre appoggiato..egli avrà un carisma ancor più di santità per chi lo ama...coagulando a se in modo granitico i consensi e unendo il partito...quindi Silvio rafforzato e sinistra ancora allo sbando...! Molto di più di Grillo che invece non pare più avere quella credibilità tra il suo elettorato...credibilità minata dalla gestione del dopo elezioni su Governo e capo della stato...il suo popolo voleva un coinvolgimento nei posti che contano e non solo dei no! Vedremo chi durerà di più politicamente...fuori dal parlamento.... tra i 2...ma Silvio sembra ancora una volta in una posizione di vantaggio..!

mercoledì 31 luglio 2013

LONDRA NEL CUORE

“Colui che a Londra può dominare la tavola a cena può dominare il mondo”
Oscar Wilde (Poeta e scrittore irlandese, 1854-1900)

“Non troverai nessuno, soprattutto un intellettuale, che voglia lasciare Londra. No, Sir, quando un uomo è stanco di Londra è stanco della vita; a Londra c’è tutto ciò che questa vita possa offrire”
Samuel Johnson (Poeta, critico e scrittore inglese 1709-1784)

“Londra è una moderna Babilonia”
Benjamin Disraeli (Primo Ministro britannico e scrittore 1804-1881)

“Sto andando via perchè il tempo è troppo bello. Odio Londra quando non piove”
Groucho Marx (Comediografo, attore e cantante americano, 1890-1977)

“Quando sono le 3.00 a New York, è sempre il 1938 a Londra”
Bette Midler (Cantante e attrice americana, 1945)

“Vedendo Londra, ho visto tutta la vita che il mondo può presentare”
Samuel Johnson (Poeta, critico e scrittore inglese 1709-1784)

“Niente è certo a Londra, solo le spese”
William Shenstone (Scrittore scozzese, 1714-1763)

“Trecento anni fa un prigioniero condannato alla Torre di Londra, per tenere alto il suo morale durante la lunga prigionia, scolpì il muro della sua cella con una frase che così recitava: non sono le avversità che uccidono, ma l’impazienza con la quale esse vengono sopportate”
Padre James Keller (Prete americano, 1900-1977)

“Dovremmo aver cura di sempre meno persone. Maggiore è il numero di persone che uno conosce e più semplice diventa la possibilità che queste vengano rimpiazzate. Questo è uno dei guai di Londra”
Ambrose Bierce (Scrittore, giornalista e editore americano, 1842-1914)

“Non penso possa esistere qualcosa che meriti di essere chiamata ‘Società’ al di fuori della città di Londra”
William Hazlitt (Scrittore inglese, 1778-1830)

“Londra malinconica- a volte immagino che le anime perdute della gente siano costrette a vagare per le strade di questa città in modo perpetuo. Uno le sente passare accanto come un soffio d’aria”
William Butler Yeats (Premio Nobel per letteratura irlandese, 1865-1939)

“Arrivai a Londra. Divenne il centro del mio mondo e ho lavorato duro per questo. E mi sono perso”.
V. S. Naipaul (Premio Nobel per la letteratura nel 2001, 1932-)

“Per un uomo a Londra, un cuore spezzato diventa un vero e piacevole reclamo solo se si possiede un reddito agiato”
George Bernard Shaw (Scenegiatore e critico irlandese e Premio Nobel per la letteratura nel 1925, 1856-1950)

“Sir, la più nobile possibilità che uno scozzese possa vedere è la strada che lo dirige a Londra”
Samuel Johnson (Poeta, critico e scrittore inglese, 1709-1784)

“I fiori sono così comuni in campagna così come le persone lo sono a Londra”.
Oscar Wilde (Poeta, Scrittore, drammaturgo e critico irlandese, 1854-1900)

“I miei 50 anni sono arrivati e andati,
siedo solitario,
in un cafe affollato di Londra,
e libro aperto e tazza vuota,
nel marmo del tavolo”.

William Butler Yeats (Premio Nobel letteratura nel 1923, 1865-1939)

“Questa è una caratteristica di Londra…la nebbia, signorina”
Charles Dickens (Novellista inglese, 1812-1870)

“Riconoscerai, ragazzo mio, il primo segno della vecchiaia: arriverà quando andrai fuori per le strade di Londra e realizzerai, per la prima volta, quanto giovane il poliziotto ti sembrerà”
Seymour Hicks (Attore e drammaturgo inglese, 1871–1949)

“A Parigi impari l’arguzia, a Londra impari ad eliminare i tuoi avversari sociali, a Firenze impari il portamento”.
Virgil Thomson (Compositore americano, 1896-1989)


Con queste stupende citazioni voglio omaggiare Londra che sarà meta del mio imminente viaggio.
Arrivederci al mio ritorno.
Buone vacanze a tutti i lettori :)