Il processo di svendita del patrimonio costiero, gli sversamenti di
liquame e materiali inquinanti in mare e la cementificazione delle
nostre coste, sono problematiche oramai note. Con la crisi si
intensificano i processi capitalistici di iper sfruttamento del
territorio e di chi mantiene in vita e sorregge il turismo balneare come
i lavoratori e le lavoratrici stagionali.
Un processo apparentemente inarrestabile, in corso già da anni, che sta portando alla progressiva privatizzazione degli arenili e delle nostre spiagge.
La direttiva Bolkestein, tanto contestata dai bagnini romagnoli ma non solo, introduce un elemento nuovo, quello della concorrenza nel rinnovo delle concessioni balneari trasformando così le spiagge in mera merce, mentre ora tutto si regge grazie ad una sorta di “baronato” che ha garantito negli ultimi decenni incredibili privilegi ai bagnini e contribuito a formare una vera e propria classe dominante nei territori turistici, quella dei mega consorzi dei balneari.
Questi ultimi non solo dettano legge sulla gestione di un bene comune come le spiagge ma impongono anche scelte politiche arbitrarie e razziste come accade oramai da un ventennio a Rimini sul tema della vendita ambulante senza licenza sull’arenile. Senza considerare gli aspetti che legano questo settore all’evasione fiscale e alla rendita maturata grazie a canoni per le concessioni demaniali ridicoli in termini monetari.
I balneari forti dei loro privilegi si sono riuniti, in diverse occasioni, attraverso le varie sigle sindacali rappresentative del settore. L’ultima volta è avvenuto il 23 ottobre 2013 a Firenze in occasione della prima giornata della XXX Assemblea dell’ANCI.
Nel volantino contro la direttiva Bolkestein che i balneari hanno distribuito all’esterno dei locali dell’Assemblea Anci si legge: “Fino al 2010 il regime del rinnovo delle concessioni demaniali-marittime per attività turistico-ricreative, dipendeva principalmente dall’art.37, comma secondo, del Codice della Navigazione e dalla Legge “Baldini” (L.88/2001). In pratica, in presenza di più domande, l’articolo 37 dava preferenza al precedente concessionario, questa Legge stabiliva invece il rinnovo automatico di sei anni in sei anni delle concessioni in oggetto. In precedenza si era già passati da una durata delle concessioni, annuale, ad una durata quadriennale. Le due norme contribuivano quindi a dare, alle nostre aziende, quella “tranquillità” necessaria per fare investimenti, migliorare l’offerta, creare posti di lavoro e incrementare la competitività turistica del nostro Paese”.
Un processo apparentemente inarrestabile, in corso già da anni, che sta portando alla progressiva privatizzazione degli arenili e delle nostre spiagge.
La direttiva Bolkestein, tanto contestata dai bagnini romagnoli ma non solo, introduce un elemento nuovo, quello della concorrenza nel rinnovo delle concessioni balneari trasformando così le spiagge in mera merce, mentre ora tutto si regge grazie ad una sorta di “baronato” che ha garantito negli ultimi decenni incredibili privilegi ai bagnini e contribuito a formare una vera e propria classe dominante nei territori turistici, quella dei mega consorzi dei balneari.
Questi ultimi non solo dettano legge sulla gestione di un bene comune come le spiagge ma impongono anche scelte politiche arbitrarie e razziste come accade oramai da un ventennio a Rimini sul tema della vendita ambulante senza licenza sull’arenile. Senza considerare gli aspetti che legano questo settore all’evasione fiscale e alla rendita maturata grazie a canoni per le concessioni demaniali ridicoli in termini monetari.
I balneari forti dei loro privilegi si sono riuniti, in diverse occasioni, attraverso le varie sigle sindacali rappresentative del settore. L’ultima volta è avvenuto il 23 ottobre 2013 a Firenze in occasione della prima giornata della XXX Assemblea dell’ANCI.
Nel volantino contro la direttiva Bolkestein che i balneari hanno distribuito all’esterno dei locali dell’Assemblea Anci si legge: “Fino al 2010 il regime del rinnovo delle concessioni demaniali-marittime per attività turistico-ricreative, dipendeva principalmente dall’art.37, comma secondo, del Codice della Navigazione e dalla Legge “Baldini” (L.88/2001). In pratica, in presenza di più domande, l’articolo 37 dava preferenza al precedente concessionario, questa Legge stabiliva invece il rinnovo automatico di sei anni in sei anni delle concessioni in oggetto. In precedenza si era già passati da una durata delle concessioni, annuale, ad una durata quadriennale. Le due norme contribuivano quindi a dare, alle nostre aziende, quella “tranquillità” necessaria per fare investimenti, migliorare l’offerta, creare posti di lavoro e incrementare la competitività turistica del nostro Paese”.
Pertanto chi ha da sempre sfruttato il mare e la spiaggia per pure
logiche di profitto e di business privatistico cerca di opporsi al
neoliberismo sfrenato e alla sua logica intrinseca, ovvero la
concorrenza sul libero mercato, imposta con la Bolkestein dall’UE.
La difesa delle concessioni balneari oramai pluridecennali, intese
dagli imprenditori turistici come la piena legittimità a quella che
considerano una loro proprietà privata, diventa il terreno di scontro
della governance capitalistica nel turismo.
Fra le spinte dell’UE nell’accelerare il progetto di privatizzazione
del demanio marittimo e quelle a difesa delle concessioni e quindi dei
privilegi dei balneari non rimane che riporre al centro il tema dei beni
comuni e del turismo come bene comune contro sfruttamento del
territorio e delle persone.
In questo quadro e mentre le spiagge libere – che potrebbero essere
gestite da disoccupati e precari per creare reddito e nuovi posti di
lavoro – si riducono o sono abbandonate a se stesse (dovrebbero essere
il 20% rispetto a quelle date in concessione), il Governo dovrà decidere
nelle prossime settimane, durante il dibattito per la legge di
stabilità, se accelerare il processo di privatizzazione già in atto e
fortemente sostenuto anche dalle U.E. e dal FMI o favorire la rendita
dei balneari.
A chi vive nei territori turistici e costieri, da Rimini a
Senigallia, dal Lido di Venezia a Trieste, da San Vito Chietino alla
Torrazza, da Ostia a Livorno, non rimane che tessere le file di reti di
scopo e coalizioni sociali capaci di sfidare il presente e imporre,
attraverso le lotte un nuovo tema dominante: le spiagge sono di tutti e
tutte, le spiagge sono un bene comune inalienabile.
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