L’America, dominata da un partito (azienda) unico, si arroga il diritto
di fare ciò che vuole nel mondo e del mondo. Un commentatore ha scritto
che se gli Usa non possono essere un membro responsabile del sistema
mondiale, forse il mondo dovrebbe «de-americanizzarsi», separarsi dallo
Stato canaglia che regna tramite il suo potere militare, ma sta perdendo
credibilità in altri settori.
La fonte diretta dello sfacelo di Washington è stato il forte spostamento a destra della classe politica.
In passato, gli Usa sono stati talvolta descritti ironicamente (ma
non erroneamente) come uno Stato avente un unico partito: il partito
degli affari, con due fazioni chiamate democratici e repubblicani.
Questo non è più vero. Gli Usa sono ancora uno Stato a partito unico,
il partito azienda. Ma hanno una sola fazione: i repubblicani moderati,
ora denominati New Democrats.
Esiste ancora una organizzazione repubblicana, ma essa da lungo tempo
ha abbandonato qualsiasi pretesa di essere un partito parlamentare
normale, i repubblicani di oggi sono come «una rivolta radicale,
ideologicamente estrema, sdegnosa dei fatti e dei compromessi, che
disprezza la legittimità della sua opposizione politica». In altre
parole, un grave pericolo per la società.
Il partito è al servizio dei più ricchi e del settore delle imprese.
Siccome i voti non possono essere ottenuti a quel livello, il partito è
stato costretto a mobilitare settori della società che per gli standard
mondiali sono estremisti. Pazza è la nuova norma tra i membri del Tea
Party e una miriade di altri gruppi, al di là della corrente
tradizionale.
La classe dirigente repubblicana e i suoi sponsor d’affari avevano
previsto di usarli come ariete nell’assalto neoliberista contro la
popolazione, per privatizzare, deregolamentare e limitare il governo,
pur mantenendo quelle parti che sono al servizio della ricchezza e del
potere, come i militari.
La classe dirigente repubblicana ha avuto un certo successo, ma ora
si accorge che non riesce più a controllare la sua base, con sua grande
costernazione. L’impatto sulla società americana diventa così ancora più
grave.
Nel
1999, l’analista politico Samuel P. Huntington avvertiva che per gran
parte del mondo, gli Usa stanno «diventando la superpotenza canaglia»,
visti come «la più grande minaccia esterna per le loro società».
Nell’ultimo documento emanato da “Foreign Affairs”, si
esamina un aspetto dell’allontanamento di Washington dal mondo: il
rifiuto dei trattati multilaterali, «come se si trattasse di sport».
Egli spiega che alcuni trattati vengono respinti in modo definitivo,
come quando il Senato degli Stati Uniti «ha votato contro la Convenzione
sui diritti delle persone con disabilità nel 2012 e il Comprehensive
Nuclear – Test Ban Treaty (il trattato sulla messa al bando del nucleare
o Ctbt), nel 1999».
Altri trattati sono scartati dal non agire, inclusi «temi come il
lavoro, i diritti economici e culturali, le specie in pericolo di
estinzione, l’inquinamento, i conflitti armati, il mantenimento della
pace, le armi nucleari, la legge del mare, e la discriminazione contro
le donne».
«Il rifiuto degli obblighi internazionali è cresciuto in
modo così radicato, che i governi stranieri non si aspettano più la
ratifica di Washington o la sua piena partecipazione nelle istituzioni
create dai trattati. Il mondo va avanti; le leggi vengono fatte altrove,
con limitato (quando c’è) coinvolgimento americano».
Anche se non è nuova, la pratica si è effettivamente consolidata in
questi ultimi anni, insieme con l’accettazione tranquilla all’interno
della nazione della dottrina che gli Usa hanno tutto il diritto di agire
come uno stato canaglia.
Per fare un esempio, un paio di settimane fa, le forze speciali Usa
hanno preso un sospetto, Abu Anas al-Libi, dalle strade della capitale
libica Tripoli, portandolo su una nave da guerra per l’interrogatorio
senza avvocato o diritti. Il segretario di Stato americano John Kerry ha
fatto sapere alla stampa che le azioni sono legali perché sono conformi
con il diritto americano, senza suscitare alcun particolare commento.
I principi sono validi solo se sono universali. Le reazioni sarebbero
un po’ diverse, manco a dirlo, se le forze speciali cubane avessero
rapito il prominente terrorista Luis Posada Carriles a Miami, portandolo
a Cuba per l’interrogatorio e il processo in conformità alla legge
cubana.
Tali azioni sono limitate agli Stati canaglia. Più precisamente, a
quegli Stati canaglia abbastanza potenti da agire impuniti: in questi
ultimi anni, per svolgere aggressioni a volontà, terrorizzare le grandi
regioni del mondo, con gli attacchi dei droni, e molto altro.
E a sfidare il mondo in altri modi, ad esempio persistendo nel suo
embargo contro Cuba, nonostante l’opposizione di lunga durata di tutto
il mondo, oltre a Israele, che ha votato con il suo protettore, quando
le Nazioni Unite hanno condannato ancora una volta l’embargo nel mese di
ottobre.
Qualunque cosa il mondo possa pensare, le azioni degli Usa sono
legittime perché diciamo così. Il principio fu enunciato dall’eminente
statista Dean Acheson nel 1962, quando diede istruzioni alla Società
americana di diritto internazionale, in base alle quali nessun problema
giuridico si pone quando gli Stati Uniti rispondono a una sfida per il
loro «potere, posizione e prestigio».
Cuba ha commesso quel delitto, quando ha sconfitto un’invasione
proveniente dagli Stati Uniti, e poi ha avuto l’ardire di sopravvivere a
un assalto progettato per portare «i terroristi della terra» a Cuba,
nelle parole dello storico Arthur Schlesinger, consigliere di Kennedy.
Quando gli Stati Uniti hanno ottenuto l’indipendenza, hanno cercato
di unirsi alla comunità internazionale del tempo. È per questo che la
Dichiarazione d’Indipendenza si apre esprimendo la preoccupazione per il
«rispetto delle opinioni dell’umanità».
Un elemento cruciale fu l’evoluzione da una confederazione
disordinata verso un’unica «nazione degna di stipulare trattati».
Con il raggiungimento di
questo status, la nuova nazione otteneva anche il diritto di agire a suo
piacimento a livello nazionale.
Il diventare una «nazione degna di stipulare trattati» conferì
molteplici vantaggi: il riconoscimento da parte degli altri Stati e la
libertà di agire senza interferenze a casa propria.
Il potere egemonico fornisce l’opportunità di diventare uno Stato
canaglia, sfidando liberamente il diritto internazionale e le sue norme,
mentre affronta una crescente resistenza all’estero e contribuisce al
proprio declino attraverso ferite auto inflitte.
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