martedì 1 ottobre 2013

LA VERA CRISI DELLA PERDITA DI COMPETENZE

E’ impressionante il numero di persone verso cui nutro una stima incredibile che se ne sono già andate o si stanno organizzando per andarsene dall’Italia.
Amici universitari e d’infanzia hanno fatto già i bagagli da tempo e sono contentissimi della loro scelta: per loro l’Italia è oramai soltanto un posto di vacanza.
A questi si aggiungono altre persone conosciute nella vita professionale e privata.
Della perdita di competenze ed intelligenza ci si preoccupa poco.
La vera crisi comunque è quella legata alla perdita di comVisualizza blogpetenze, al tessuto produttivo vero e creativo che viene ostacolato, bloccato, immobilizzato da una burocrazia sempre più viscosa, organizzata in modo da far sprecare inutilmente un sacco di energie ed avere illusoriamente tutto sotto controllo.
Governanti od aspiranti tali stanno gestendo la crisi soltanto dal punto di vista finanziario, poiché per loro è quello il problema numero uno.
Come viene gestita? Sostanzialmente è una gestione taroccata, condotta sul lato della percezione del problema:
- negare sempre la situazione attuale ed annunciare che il peggio sta per finire
- sovvenzionare aziende o modelli di business (ovviamente legati al proprio entourage di amici e clientele) che dovrebbero già essere estinti
- rischiare la distruzione della moneta pur di non aumentare i tassi di interesse (il cui aumento spazzerebbe via aziende e addirittura Stati interi, ingozzati di debiti)
Nel frattempo aziende e imprenditori fanno le valigie e portano altrove la propria conoscenza organizzativa e creativa (la quale necessita comunque di tempo per riadattarsi al nuovo territorio).
I politicanti ed i burocrati hanno la convinzione che risolto il lato finanziario (sono convinti della riuscita dei taroccamenti), basti una leggina per fare ritornare le aziende e renderle produttive dal giorno dopo.
Non avendo per la maggior parte mai avuto altre esperienze fuori dal mondo della pubblica amministrazione, ignorano del tutto il processo cognitivo legato all’organizzazione di un’impresa come ad esempio la scelta delle persone idonee e competenti da assumere (che necessitano di tempo per apprendere e diventare produttive).
Un’azienda che se ne va, non torna domani mattina e qualora in futuro tornasse non troverebbe le stesse condizioni di conoscenza che ha lasciato (le persone che vi lavoravano si devono riadattare, cambiare per un analogo posto o acquisire altre competenze). La perdita di conoscenza non viene recuperata in tempi brevi. E sicuramente non viene ripristinata senza parecchio sacrificio/investimento di tempo e senza una buona dose di tenacia/dedizione.
E qua veniamo al secondo punto che io reputo molto importante: l’etica del lavoro delle persone.
Decenni di espansione continua dello Stato hanno creato e stanno creando un esercito di persone con un’etica del lavoro molto più blanda e fiacca rispetto al passato.
L’etica del lavoro non è minimamente paragonabile a quella di qualche decennio fa. Cosa è cambiato?
Lo Stato e tutti i sociopatici che conquistano le istituzioni hanno nel profondo del loro cuore un desiderio di controllo che li consuma. Odiano il fatto che le persone siano dotate di libero arbitrio e possano scegliere col proprio cervello cosa fare nella propria vita.
Per cui si sono organizzati per colpire il cervello delle persone e riempirglielo di idiozie.
Tramite la scuola pubblica hanno attuato una strategia dell’ignoranza, uno svuotamento della cultura e delle conoscenze di base, ottenuto tramite proliferazione di titoli di studio farlocco fatti di abbondante nozionismo e di poca conoscenza pratica. Aggiungiamo a questo una continua predicazione di buonismo di Stato, di solidarismo coi soldi altrui.
Et voilà hai ottenuto un prototipo di persona molto legata alle istituzioni ed amante della pianificazione dall’alto.
Se a questo sommiamo il fatto che il modello di successo continuamente propinato da televisione e giornali è un mix di gioventù, ricchezza, tempo libero e voglia di divertimento e di viaggi, ma chi glielo fa fare ad un giovane di sacrificarsi per formarsi una professionalità che gradualmente col tempo lo renderà competente e ricercato? Meglio tirare a campare cercando di infiltrarsi nello stato e sperare di ottenere a sbafo un po’ di grasso che cola (per la verità sempre meno) o ambire ad una fortuita svolta nella propria vita (lotto, superenalotto, macchinette, scommesse online, ci sarà pure un perché lo Stato continua a fare pubblicità a queste forme di auto-tassazione?)
Tirando le conclusioni:
- la crisi finanziaria è soltanto un aspetto (e a mio avviso neppure il più importante) di un problema di più vaste dimensioni
- la maggior parte delle persone neppure percepisce il problema, quello che l’hanno percepito, stanno facendo i bagagli (non che all’estero sia tutto rose e fiori, ma una cosa è certa, gli Stati tendono a considerare i propri cittadini come una loro proprietà. Spesso invece all’estero si è considerati come una risorsa e non una proprietà, come portatori di idee nuove).
- l’etica del lavoro viene e verrà sempre più distrutta: allo Stato non interessa avere persone autonome e pensanti, ma dei droidi da comandare. Le persone libere ed intelligenti mettono a repentaglio la struttura di potere esistente (“Senti cerebroleso, mi sembra che sei un po’ un deficiente nel continuare a rifare gli stessi errori, facciamo che provo io a governare e a cambiare? Anzi, meglio ancora, facciamo che smetti di fare leggi idiote che mi rompono continuamente i coglioni e mi fanno perdere un sacco di tempo della mia preziosa vita?”)
- la distruzione dell’etica del lavoro porta alla diminuzione della creazione della ricchezza. Anche per gli Stati saranno guai seri. 
- il processo è lento e la massa critica coinvolta (decenni di formazione culturale) è tale per cui i tempi di reazione per ottenere un cambio di direzione saranno semmai molto lunghi, scordatevi la leggina fatta dell’Illuminato di turno che sistema subito i problemi.

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