Grillo non vuole
cambiare la politica, vuole cambiare la democrazia. Non vuole
sostituirsi al potere esistente, ma lo vuole stravolgere; vuole
rifondare le basi che regolano il rapporto tra il cittadino e lo Stato,
la sua partecipazione attiva alla cosa pubblica. Grillo, come ha detto lui stesso, se non lo avete capito vuole “cambiare il mondo”.
Ecco perché suscita tante preoccupazioni
soprattutto in chi crede nella centralità delle assemblee elettive,
nell’importanza fondamentale e unica del parlamento come luogo in cui il
popolo sovrano esercita i suoi poteri e si difende dai poteri privati
che cercano di condizionare la vita pubblica.
Grillo suscita
inquietudine perché è un antiparlamentarista convinto. Per lui il
parlamento è il luogo dove la politica diventa una cosa cattiva, dove la
volontà popolare si corrompe. Il parlamento va “aperto come una scatola
di tonno”. Per questo che lui e Casaleggio ne stanno
fuori: a tutela (secondo loro) della loro purezza, della loro buona fede
da sbandierare davanti agli elettori esasperati dalle nefandezze della
“casta”. Per questo i parlamentari grillini adesso rappresentano se
stessi come dei monaci, il cui unico obiettivo è quello di evitare la
corruzione mondana, le tentazioni della politica romana.
Non vogliono essere chiamati onorevoli,
immaginano di vivere nella capitale in case comuni, ostentano la loro
distanza dai luoghi del potere in cui sono stati chiamati (“non so dov’è
Palazzo Madama”, dice un neoeletto). A loro tocca di stare in
parlamento come se fosse una punizione. I loro capi infatti in
parlamento non ci stanno. Loro sì che sono onesti, credibili e
disinteressati, che non cedono alle lusinghe del potere ma lottano per
il bene comune.
La vera grande anomalia del Movimento Cinque Stelle consiste nel fatto che i suoi due fondatori, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio,
non stando parlamento, non possono essere controllati; eppure
controllano direttamente un foltissimo gruppo parlamentare ed esercitano
oggi un potere straordinario al di fuori di qualunque istituzione.
Grillo e Casaleggio oggi senza stare in parlamento ne decidono le sorti. Controllano senza poter essere controllati: la negazione della democrazia.
Ma i 163 parlamentari del M5S
obbediranno sempre e comunque alla direttive dei capi? O verrà un
momento in cui esploderà il dissenso e bisognerà in qualche modo
comporlo? E se sì, come verrà fatto?
Se la democrazia è il sistema che meglio
di qualunque altro garantisce le minoranze, come verranno garantite le
minoranze del M5S? In questi giorni i guru Grillo e Casaleggio,
davanti alle proteste dei loro elettori che nel blog chiedono di non
chiudere la porta in faccia al Pd, hanno detto che si tratta di
“infiltrati”. Come inizio non c’è male.
Non c’è democrazia senza un parlamento
in cui gli eletti, liberamente eletti, si esprimono liberamente e
liberamente votano. Non possono esserci poteri esterni al parlamento in
grado di condizionarlo pesantemente. Oggi invece Grillo e Casaleggio condizionano
in maniera intollerabile i gruppi parlamentari del Movimento Cinque
Stelle. Che sono impossibilitati anche a fissare le regole per il loro
stesso funzionamento. Chi le ha scritte le prime 18 regole di
comportamento? Chi ha deciso quanto guadagneranno i parlamentari del
Movimento? Forse gli eletti? Evidentemente no.
Il Movimento Cinque Stelle ora è il
primo partito in Italia; ma finché non darà concreta dimostrazione di
saper gestire il dissenso interno e di poter controllare i suoi due
capi, il consenso di cui gode è destinato a generare inquietudine e non
potrà essere ritenuto un elemento di crescita democratica.
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