Imposte sui redditi diminuite, via l’aliquota Iva sui beni di lusso.
Dal fisco alla sanità, dall’università ai trasporti: le riforme che
avvantaggiano chi ha di più
L’Italia è diventato il paese ideale per una ristretta cerchia di persone capaci di concentrare il potere economico e quello politico nelle proprie mani. Come ricorda l’Ocse, la mobilità fra le classi sociali è ingessata da anni e sono sempre maggiori le diseguaglianze.
Negli anni l’imposta sui redditi ha ridotto la sua capacità di prelievo sui redditi milionari: l’aliquota massima, dal 72% del 1980 è scesa fino a raggiungere il 43% nel 2006, avvantaggiando i detentori di redditi molto elevati. Dal 2010 gli introiti per affitti, in precedenza tassati secondo l’aliquota marginale, dispongono di un regime di favore, con un’aliquota massima del 21% e un grandissimo beneficio per i grandi proprietari fondiari.
L’Iva, grazie anche all’armonizzazione europea, non prevede più un’aliquota al 38% sui beni di lusso: oggi quest’ultima è la stessa per una pelliccia o una fuoriserie e per una matita. Le imposte sul capital gain, pari al 12,5% fino a due anni fa, sono ancora al di sotto della media europea, a tutto vantaggio dei grandi patrimoni mobiliari. Le riforme delle imposte di successione hanno suggellato la difesa della ricchezza fra le generazioni appartenenti alle cerchie dei facoltosi, grazie a franchigie molto più alte che in passato.
Tutto questo mentre il resto del paese deve fronteggiare una ridotta accessibilità ai servizi pubblici, sempre più legata a requisiti di reddito assai stringenti. Il termine “universalità” è stato rimpiazzato dalla “condizionalità” anche per consentire modalità di erogazione a beneficio dei più benestanti. Il mercato di luce, acqua e gas ha visto scomparire nel tempo le fasce protette a favore di un’offerta volta ad avvantaggiare chi consuma di più.
I trasporti pubblici non sono da meno, con l’introduzione dell’Alta velocità a discapito delle reti locali: servizi premium al posto di quelli di base. Nella sanità pubblica, un tempo gratuita per tutti, con l’introduzione dei primi ticket nel 1989 si è avviato un percorso che è sfociato in tariffe spesso più alte di quelle della sanità privata.
Anche l’università pubblica ha subìto rincari continui (+75% solo nel periodo 2009-2014) e le sue rette sono adesso tra le più alte in Europa. Tutto il contrario dello stato tedesco, che le ha abolite. Il volto compassionevole dei ricchi si concretizza nei diritti di tutti trasformati in carità spicciola, come con la social card o le elargizioni elettorali degli 80 euro.
Le classi più ricche hanno approfittato e tratto vantaggio dalla crisi: a differenza dei meno abbienti, per loro investimenti e possibilità per proteggere redditi e patrimoni si trovano sempre. Quello che manca è il soggetto politico capace di affermare – soprattutto oggi – il principio secondo cui a chi ha di più si dovrebbe chiedere di più, e a chi ha di meno si dovrebbe offrire di più.
L’Italia è diventato il paese ideale per una ristretta cerchia di persone capaci di concentrare il potere economico e quello politico nelle proprie mani. Come ricorda l’Ocse, la mobilità fra le classi sociali è ingessata da anni e sono sempre maggiori le diseguaglianze.
Negli anni l’imposta sui redditi ha ridotto la sua capacità di prelievo sui redditi milionari: l’aliquota massima, dal 72% del 1980 è scesa fino a raggiungere il 43% nel 2006, avvantaggiando i detentori di redditi molto elevati. Dal 2010 gli introiti per affitti, in precedenza tassati secondo l’aliquota marginale, dispongono di un regime di favore, con un’aliquota massima del 21% e un grandissimo beneficio per i grandi proprietari fondiari.
L’Iva, grazie anche all’armonizzazione europea, non prevede più un’aliquota al 38% sui beni di lusso: oggi quest’ultima è la stessa per una pelliccia o una fuoriserie e per una matita. Le imposte sul capital gain, pari al 12,5% fino a due anni fa, sono ancora al di sotto della media europea, a tutto vantaggio dei grandi patrimoni mobiliari. Le riforme delle imposte di successione hanno suggellato la difesa della ricchezza fra le generazioni appartenenti alle cerchie dei facoltosi, grazie a franchigie molto più alte che in passato.
Tutto questo mentre il resto del paese deve fronteggiare una ridotta accessibilità ai servizi pubblici, sempre più legata a requisiti di reddito assai stringenti. Il termine “universalità” è stato rimpiazzato dalla “condizionalità” anche per consentire modalità di erogazione a beneficio dei più benestanti. Il mercato di luce, acqua e gas ha visto scomparire nel tempo le fasce protette a favore di un’offerta volta ad avvantaggiare chi consuma di più.
I trasporti pubblici non sono da meno, con l’introduzione dell’Alta velocità a discapito delle reti locali: servizi premium al posto di quelli di base. Nella sanità pubblica, un tempo gratuita per tutti, con l’introduzione dei primi ticket nel 1989 si è avviato un percorso che è sfociato in tariffe spesso più alte di quelle della sanità privata.
Anche l’università pubblica ha subìto rincari continui (+75% solo nel periodo 2009-2014) e le sue rette sono adesso tra le più alte in Europa. Tutto il contrario dello stato tedesco, che le ha abolite. Il volto compassionevole dei ricchi si concretizza nei diritti di tutti trasformati in carità spicciola, come con la social card o le elargizioni elettorali degli 80 euro.
Le classi più ricche hanno approfittato e tratto vantaggio dalla crisi: a differenza dei meno abbienti, per loro investimenti e possibilità per proteggere redditi e patrimoni si trovano sempre. Quello che manca è il soggetto politico capace di affermare – soprattutto oggi – il principio secondo cui a chi ha di più si dovrebbe chiedere di più, e a chi ha di meno si dovrebbe offrire di più.
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