martedì 31 maggio 2011

GAME OVER

Era il Presidente-Imprenditore, venuto dal mondo del lavoro. Finisce come un vecchio politicante abbarbicato a una maggioranza che si regge sul trasformismo parlamentare. Aveva chiesto, ancora una volta, forse l’ultima, un voto contro i magistrati e i comunisti, interessando alla faccenda perfino l’allibito Obama. E a Milano e a Napoli perdono, straperdono due imprenditori, Letizia Moratti e Gianni Lettieri, contro un post-comunista e contro un ex pubblico ministero. Fine più beffarda non si è mai vista. Trionfa Giuliano Pisapia a Milano, dieci punti di distacco alla manager Moratti, l’avvocato mite con il sorriso mite, non un trascinatore di folle, che aveva già vinto le primarie contro il candidato del Pd (c’è ancora qualcuno che si opporrà ai gazebo?) e che ha indicato alla città una speranza, dopo decenni di candidature di imprenditori, prefetti, aristocratici di dubbia fama (ricordate Diego Maria Masi de Vargas y Machuca…?). Vola addirittura Luigi De Magistris a Napoli, una vittoria che sconquassa il sistema di potentati, di destra e di sinistra, che ha lasciato andare in questi anni la città del Golfo in malora, nella putredine dei rifiuti e della politica che si ingrossava come un ratto nella monnezza. Una valanga fuori dai partiti, il successo di una persona, come nella storia della Repubblica è successo solo un paio di volte, a Palermo con Leoluca Orlando (che però era un figlio della Dc) e sempre a Napoli con Achille Lauro (che però aveva i soldi).
Il centrosinistra espugna perfino la roccaforte azzurra di Cagliari, con il giovane vendoliano Massimo Zedda. Vince, udite udite, ad Arcore e forse anche a Gallarate. La sconfitta del centrodestra era attesa, annunciata, ma non in queste proporzioni. Con queste cifre, e con una geografia elettorale interamente sconvolta, è un terremoto. Il ballottaggio di fine primavera 2011 è un’onda d’urto che spazza via tonnellate di articoli, analisi pigre, commenti mesozoici, tipo la divisione tra radicali e riformisti e altre amenità politologiche. Alleanze, giochi e giochetti, manovrine di Palazzo non ci sono più, come sempre accade quando larghe fasce di elettorato mollano i porti sicuri della tradizionale appartenenza e si rimettono in movimento.
Dopo questo voto non esisterà più il centrodestra così come lo abbiamo conosciuto finora. Quello fondato sul patto tra Silvio e Umberto. Sulle cene di Arcore e sui vertici di via Bellerio. Il centrodestra che si è presentato con il volto di Daniela Santanchè, Michela Brambilla, Maristella Gelmini, Sandro Bondi, Ignazio La Russa, le mutande di Ferrara e le igieniste, i ciellini con la camicia a fiori e i puttanieri in tunica bianca. Ma non ci sarà più neppure il centrosinistra di questi anni, quello che si dibatte convulsamente tra la tentazione di affidarsi a Casini e quella di corteggiare Tremonti, quello che ha il complesso della sconfitta, che il paese-è-di-destra, che ha paura di vincere da solo e chiede l’eterno aiutino alla controparte. Oppure salta direttamente dalla parte opposta: come ha fatto l’ex dalemiano Velardi, spin doctor di Lettieri dopo essere stato assessore di Bassolino. Bel risultato, doctor Velardi.
Il vento del cambiamento spazzerà via anche il governo del Cavaliere? E’ ancora troppo presto per dirlo. Anzi, fin da ora si può scommettere che la maggioranza Pdl-Lega-Responsabili, almeno in prima battuta, proverà a inchiodarsi alle poltrone. Anche se i numeri della disfatta sono troppo clamorosi per giustificare un voltare la testa dall’altra parte. E di certo sarà difficile per il solerte onorevole Maurizio Paniz tornare nell’aula di Montecitorio per chiedere un voto a favore di Berlusconi che aveva creduto alla nipotina di Mubarak. Ma è già in questo il rovesciamento della logica berlusconiana: l’uomo di Arcore che non ha più la maggioranza del Paese si rifugia nella ridotta di Montecitorio. Da extraparlamentare diventerà super-parlamentare. E accuserà (lui!) di demagogia e di populismo chi chiederà elezioni anticipate.
E’ solo la prova che da stasera Berlusconi può ancora battersi per la sopravvivenza di se stesso, un tirare a campare disperato come quello di Craxi e Andreotti nel 1992, quando la somma di inchieste giudiziarie e crisi economica buttò giù il sistema del pentapartito, le sconfitte elettorali arrivarono al termine. L’alternativa ancora non c’è, è tutta da costruire. E Berlusconi è ancora a Palazzo Chigi. Ma il berlusconismo non c’è più.
Game Over.

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