Venerdì 22 Febbraio il governatore della Banca Centrale Europea Mario
Draghi verrà insignito della Laurea ad Honorem in giurisprudenza per la
difesa dei Trattati Europei.
Crediamo ci sia poco di onorevole nella carriera di Draghi: dopo aver iniziato la sua carriera nel mondo accademico e aver avuto importanti ruoli istituzionali al ministero del Tesoro, nella migliore tradizione delle “porte girevoli” tra pubblico e privato Draghi passa direttamente ai vertici di Goldman Sachs (una delle più grandi banche d’affari del mondo) come responsabile per le strategie europee. La stessa Goldman Sachs che consigliava al governo greco manovre finanziarie azzardate che hanno contribuito alla fragilità dei conti pubblici dello stato ellenico. Diviene quindi Governatore di Bankitalia per poi approdare alla Banca Centrale Europea (BCE).
Draghi è il teorico della tecnocrazia contrapposta all’espressione della volontà popolare. In un’intervista poco prima delle elezioni italiane del 2013 ha dichiarato che il vincitore non sarebbe stato importante tanto le riforme andavano avanti con il “pilota automatico”. Solo poche settimane fa rivendicava il diritto della BCE di ignorare le critiche dei governi eletti. La retorica del pilota automatico e di tutte le policy della BCE vengono presentati come ineluttabili in quanto espressione di teoria economica scientifica e certa, ma sotto la finzione della oggettività si nasconde una precisa scelta politica.
L’esempio più lampante di questo è rappresentato dalle decisioni di Draghi nelle vicende dell’estate 2015 nel corso della crisi del debito greco. La BCE nel momento più caldo della contrattazione fra la Troika e il governo greco ha ridotto l’accesso per le banche greche alla liquidità della BCE. Dietro queste espressioni tecniche si cela la portata del colpo di grazia alla traballante economia greca che l’ha condotta sull’orlo del collasso. Nonostante questa situazione il popolo greco ha coraggiosamente rifiutato le misure previste nel memorandum con il voto al referendum, voto poi rovesciato dal governo Tsipras che si è piegato alle minacce della Troika.
Draghi è stato in questi anni uno degli alfieri dell’austerità che l’Unione Europea ha “consigliato” ai governi complici del continente. Vi era la sua firma, accanto a quella del suo predecessore Trichet, sulla lettera mandata al governo Berlusconi nell’estate del 2011 in cui si pretendevano le cosiddette riforme strutturali, testualmente: tagli alla spesa pubblica (comprendente un meccanismo automatico di riduzione del deficit), privatizzazioni di larga scala, liberalizzazione dei servizi pubblici, superamento della contrattazione collettiva, flessibilizzazione (=precarizzazione) del mercato del lavoro, riduzione degli stipendi nel pubblico impiego e blocco del turnover, tagli alle pensioni.
La lettera arrivata addirittura a proporre una riforma costituzionale per rendere più stringenti le regole di bilancio, cosa effettivamente accaduta con la modifica all’articolo 81 della costituzione nell’aprile 2012. In generale la maggior parte di queste riforme anti-popolari e reazionarie sono state implementate dal governo Monti e dai governi PD che l’hanno seguito, e la parabola della contrattazione con Bruxelles di questo inverno ha dimostrato, non sorprendentemente, che anche il governo attuale intende proseguire supino nel loro attuamento.
Queste manovre sono state imposte non soltanto all’Italia, ma a tutta l’Eurozona, in particolare ai paesi del mediterraneo (i cosiddetti PIGS) con l’attiva complicità della BCE a guida Draghi. Questa infatti ha abdicato al suo ruolo di prestatore di ultima istanza e garanzia finale della stabilità dei debiti pubblici, tenendo i paesi sul filo del rasoio dell’attacco dei mercati. Draghi ha recentemente dichiarato che un paese perde “naturalmente” sovranità quando il debito pubblico è troppo alto, in quanto la sua sorte finisce nelle mani dei mercati. Ma questo è falso, in quanto una Banca Centrale (come la BCE) non ha alcun limite (tranne le regole che essa stessa si da) nell’acquisto di titoli di stato, il che abbassa il tasso di interesse (e quindi lo spread) e sottrae lo stato ai capricci dei mercati.
L’esempio principe in questo caso è il decisamente non socialista Giappone, con un debito pubblico pari a quasi il 200% del Pil (rispetto al 131% dell’Italia), oppure, in termini assoluti, a circa 10.000 miliardi (rispetto ai 2.500 miliardi dell’Italia), che però paga tassi di interesse bassissimi e non è mai considerato a rischio fallimento, proprio per l’impegno della sua Banca Centrale a coprire il debito.
La ragione per cui la BCE non si comporta allo stesso modo è puramente politica: mantenere un arma di ricatto nei confronti dei paesi europei ed implementare la ristrutturazione macro-regionale neoliberista che vuole essere l’Unione Europea.
Non il baluardo di pace e prosperità che ci trasmette la propaganda europeista, ma un macroblocco in grado di essere competitivo sul mercato internazionale (essere competitivi=vendere merci a prezzo minore= abbassare i salari), fondato su una netta distinzione fra un Centro a guida tedesca, fondato su un modello neo-mercantilista e che produce merci ad alto valore aggiunto, che detiene il potere politico reale, ed una Periferia (paesi mediterranei ma anche est-europa) a cui viene affidato il ruolo di colonia interna di fatto: questa polarizzazione si può vedere nelle migrazioni di massa verso il centro europa (ogni anno più di 150.000 italiani emigrano, in buona parte verso nord, sul piano di concentrazione di capitale (con interi blocchi produttivi dei paesi periferici in crisi acquistati in blocco dal capitale centrale) e sul piano commerciale (dove i paesi del Sud e dell’Est fungono da porto di sbocco per le merci prodotte, almeno per l’ultima parte, al Nord).
È in funzione di questo progetto che i trattati europei (che comprendono vincoli economici apparentemente arbitrari, come il limite del 3% del rapporto deficit/pil) sono stati stipulati, ed è per la difesa di questi trattati che Mario Draghi riceverà la sua laurea honoris causa.
Una laurea, si può dire, meritata se motivata in questo modo, ma che di “onorevole” non ha proprio niente.
Crediamo ci sia poco di onorevole nella carriera di Draghi: dopo aver iniziato la sua carriera nel mondo accademico e aver avuto importanti ruoli istituzionali al ministero del Tesoro, nella migliore tradizione delle “porte girevoli” tra pubblico e privato Draghi passa direttamente ai vertici di Goldman Sachs (una delle più grandi banche d’affari del mondo) come responsabile per le strategie europee. La stessa Goldman Sachs che consigliava al governo greco manovre finanziarie azzardate che hanno contribuito alla fragilità dei conti pubblici dello stato ellenico. Diviene quindi Governatore di Bankitalia per poi approdare alla Banca Centrale Europea (BCE).
Draghi è il teorico della tecnocrazia contrapposta all’espressione della volontà popolare. In un’intervista poco prima delle elezioni italiane del 2013 ha dichiarato che il vincitore non sarebbe stato importante tanto le riforme andavano avanti con il “pilota automatico”. Solo poche settimane fa rivendicava il diritto della BCE di ignorare le critiche dei governi eletti. La retorica del pilota automatico e di tutte le policy della BCE vengono presentati come ineluttabili in quanto espressione di teoria economica scientifica e certa, ma sotto la finzione della oggettività si nasconde una precisa scelta politica.
L’esempio più lampante di questo è rappresentato dalle decisioni di Draghi nelle vicende dell’estate 2015 nel corso della crisi del debito greco. La BCE nel momento più caldo della contrattazione fra la Troika e il governo greco ha ridotto l’accesso per le banche greche alla liquidità della BCE. Dietro queste espressioni tecniche si cela la portata del colpo di grazia alla traballante economia greca che l’ha condotta sull’orlo del collasso. Nonostante questa situazione il popolo greco ha coraggiosamente rifiutato le misure previste nel memorandum con il voto al referendum, voto poi rovesciato dal governo Tsipras che si è piegato alle minacce della Troika.
Draghi è stato in questi anni uno degli alfieri dell’austerità che l’Unione Europea ha “consigliato” ai governi complici del continente. Vi era la sua firma, accanto a quella del suo predecessore Trichet, sulla lettera mandata al governo Berlusconi nell’estate del 2011 in cui si pretendevano le cosiddette riforme strutturali, testualmente: tagli alla spesa pubblica (comprendente un meccanismo automatico di riduzione del deficit), privatizzazioni di larga scala, liberalizzazione dei servizi pubblici, superamento della contrattazione collettiva, flessibilizzazione (=precarizzazione) del mercato del lavoro, riduzione degli stipendi nel pubblico impiego e blocco del turnover, tagli alle pensioni.
La lettera arrivata addirittura a proporre una riforma costituzionale per rendere più stringenti le regole di bilancio, cosa effettivamente accaduta con la modifica all’articolo 81 della costituzione nell’aprile 2012. In generale la maggior parte di queste riforme anti-popolari e reazionarie sono state implementate dal governo Monti e dai governi PD che l’hanno seguito, e la parabola della contrattazione con Bruxelles di questo inverno ha dimostrato, non sorprendentemente, che anche il governo attuale intende proseguire supino nel loro attuamento.
Queste manovre sono state imposte non soltanto all’Italia, ma a tutta l’Eurozona, in particolare ai paesi del mediterraneo (i cosiddetti PIGS) con l’attiva complicità della BCE a guida Draghi. Questa infatti ha abdicato al suo ruolo di prestatore di ultima istanza e garanzia finale della stabilità dei debiti pubblici, tenendo i paesi sul filo del rasoio dell’attacco dei mercati. Draghi ha recentemente dichiarato che un paese perde “naturalmente” sovranità quando il debito pubblico è troppo alto, in quanto la sua sorte finisce nelle mani dei mercati. Ma questo è falso, in quanto una Banca Centrale (come la BCE) non ha alcun limite (tranne le regole che essa stessa si da) nell’acquisto di titoli di stato, il che abbassa il tasso di interesse (e quindi lo spread) e sottrae lo stato ai capricci dei mercati.
L’esempio principe in questo caso è il decisamente non socialista Giappone, con un debito pubblico pari a quasi il 200% del Pil (rispetto al 131% dell’Italia), oppure, in termini assoluti, a circa 10.000 miliardi (rispetto ai 2.500 miliardi dell’Italia), che però paga tassi di interesse bassissimi e non è mai considerato a rischio fallimento, proprio per l’impegno della sua Banca Centrale a coprire il debito.
La ragione per cui la BCE non si comporta allo stesso modo è puramente politica: mantenere un arma di ricatto nei confronti dei paesi europei ed implementare la ristrutturazione macro-regionale neoliberista che vuole essere l’Unione Europea.
Non il baluardo di pace e prosperità che ci trasmette la propaganda europeista, ma un macroblocco in grado di essere competitivo sul mercato internazionale (essere competitivi=vendere merci a prezzo minore= abbassare i salari), fondato su una netta distinzione fra un Centro a guida tedesca, fondato su un modello neo-mercantilista e che produce merci ad alto valore aggiunto, che detiene il potere politico reale, ed una Periferia (paesi mediterranei ma anche est-europa) a cui viene affidato il ruolo di colonia interna di fatto: questa polarizzazione si può vedere nelle migrazioni di massa verso il centro europa (ogni anno più di 150.000 italiani emigrano, in buona parte verso nord, sul piano di concentrazione di capitale (con interi blocchi produttivi dei paesi periferici in crisi acquistati in blocco dal capitale centrale) e sul piano commerciale (dove i paesi del Sud e dell’Est fungono da porto di sbocco per le merci prodotte, almeno per l’ultima parte, al Nord).
È in funzione di questo progetto che i trattati europei (che comprendono vincoli economici apparentemente arbitrari, come il limite del 3% del rapporto deficit/pil) sono stati stipulati, ed è per la difesa di questi trattati che Mario Draghi riceverà la sua laurea honoris causa.
Una laurea, si può dire, meritata se motivata in questo modo, ma che di “onorevole” non ha proprio niente.
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