Nelle prossime settimane alla Presidenza della Camera dei Deputati,
verranno consegnate le firme a sostegno delle due proposte di legge che
chiedono la possibilità di sottoporre a referendum l’adesione dell’Italia ai Trattati europei e l’abrogazione dell’art.81
introdotto arbitrariamente in Costituzione dal governo Monti (con
l’appoggio di tutti i partiti presenti allora in parlamento) nel 2012.
La due proposte di legge su cui la Piattaforma Eurostop e l’Unione Sindacale di Base hanno raccolte le firme nei mesi scorsi, verranno accompagnate da una presentazione politica che ne mette in evidenza il valore politico. I promotori chiedono adesso che se ne discuta in Parlamento ma soprattutto che la popolazione venga messa in grado di poterne discutere e decidere.
Nell’Unione Europea non siamo di fronte a un “deficit di democrazia”, come da decenni si sostiene, siamo in presenza di una costruzione oligarchica e tecnocratica, che ha esautorato le prerogative dei parlamenti, svilito la rappresentanza politica, reso impotente il voto dei cittadini.
A differenza dell’Italia, in molti paesi membri dell’UE i cittadini possono votare sui Trattati UE, e quando l’hanno fatto si sono pronunciati contro le proposte avanzate dai capi di Stato e di governo riuniti nel Consiglio Europeo: basta ricordare il voto con cui i cittadini francesi e olandesi, nel 2005, affossarono il Trattato istitutivo della Costituzione, per questo sostituito successivamente dal Trattato di Lisbona.
Con questa proposta di legge costituzionale si propone di far svolgere un referendum di indirizzo sui Trattati dell’UE, del Fiscal Compact e del MES, in modo da superare le strettoie dell’art. 75 Cost., che esclude la possibilità di sottoporre a referendum abrogativo i trattati internazionali.
La proposta di indire un referendum di indirizzo per far pronunciare i cittadini italiani sui Trattati UE, sul Fiscal Compact e sul MES riprende il precedente del 1989, quando, in occasioni delle elezioni del Parlamento Europeo, venne sottoposto un quesito sull’opportunità di affidare al Parlamento Europeo il compito di elaborare un progetto di Costituzione europea.
Relativamente all’art.81 arbitrariamente introdotto nel 2012 in Costituzione, occorre sottolineare che la legge costituzionale 1/ 2012 ha introdotto nella Carta costituzionale il principio del pareggio di bilancio (“equilibrio tra le entrate e le spese”). Si tratta di una modifica costituzionale infausta, frutto del peggior revisionismo costituzionale. I vincoli costituzionalmente imposti all’azione di pubblici poteri e i limiti alle finanze pubbliche non hanno tenuto in nessun debito conto la necessità di assicurare i diritti fondamentali delle persone. Sono questi valori costituzionalmente incomprimibili, declinati nel testo della nostra costituzioni come diritti “inviolabili”, che la Repubblica deve in ogni caso riconoscere e garantire (ex articolo 2 della nostra Costituzione).
D’altronde, neppure vincoli europei possono legittimare la scelta compiuta nel 2012 dal revisore costituzionale italiano. Vero è, infatti, che in sede europea si sono prodotti una serie di documenti (Trattati, regolamenti, raccomandazioni, lettere) tutti indirizzati a perseguire la politica del “rigore” che si è dimostrata fallimentare. Molte sono state inoltre le sollecitazioni rivolte ai singoli Stati affinché adottino normative restrittive delle spese e limitative dei diritti (di quelli sociali in specie). Alcuni vincoli sono stati introdotti direttamente nella normativa europea o in quella collaterale (Patto Euro plus e Six Pack entrambi del 2011, Fiscal compact – “Trattato di stabilità – del 2012, Two Pack del 2013), però nessuno di questi atti ha “imposto” una modifica costituzionale ai Paesi soggetti alla normativa europea.
Lo stesso Fiscal compact – al quale, in base alla retorica dominante, si imputa la scelta di modificare la Costituzione introducendo il principio di pareggio – ha obbligato sì a introdurre principi di equilibrio dei conti “tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente”, ma con una semplice indicazione di “preferenza” per il livello costituzionale (art. 3, comma 2 del Fiscal compact). La scelta dunque di “costituzionalizzare il principio del pareggio di bilancio”, come sopra già ricordato, ricade pienamente nella responsabilità politica del Parlamento italiano. Ciò comporta il gravissimo effetto di rendere immodificabili le politiche del rigore anche nell’ipotesi – auspicabile e da perseguire politicamente – di un ravvedimento a livello europeo
La due proposte di legge su cui la Piattaforma Eurostop e l’Unione Sindacale di Base hanno raccolte le firme nei mesi scorsi, verranno accompagnate da una presentazione politica che ne mette in evidenza il valore politico. I promotori chiedono adesso che se ne discuta in Parlamento ma soprattutto che la popolazione venga messa in grado di poterne discutere e decidere.
Nell’Unione Europea non siamo di fronte a un “deficit di democrazia”, come da decenni si sostiene, siamo in presenza di una costruzione oligarchica e tecnocratica, che ha esautorato le prerogative dei parlamenti, svilito la rappresentanza politica, reso impotente il voto dei cittadini.
A differenza dell’Italia, in molti paesi membri dell’UE i cittadini possono votare sui Trattati UE, e quando l’hanno fatto si sono pronunciati contro le proposte avanzate dai capi di Stato e di governo riuniti nel Consiglio Europeo: basta ricordare il voto con cui i cittadini francesi e olandesi, nel 2005, affossarono il Trattato istitutivo della Costituzione, per questo sostituito successivamente dal Trattato di Lisbona.
Con questa proposta di legge costituzionale si propone di far svolgere un referendum di indirizzo sui Trattati dell’UE, del Fiscal Compact e del MES, in modo da superare le strettoie dell’art. 75 Cost., che esclude la possibilità di sottoporre a referendum abrogativo i trattati internazionali.
La proposta di indire un referendum di indirizzo per far pronunciare i cittadini italiani sui Trattati UE, sul Fiscal Compact e sul MES riprende il precedente del 1989, quando, in occasioni delle elezioni del Parlamento Europeo, venne sottoposto un quesito sull’opportunità di affidare al Parlamento Europeo il compito di elaborare un progetto di Costituzione europea.
Relativamente all’art.81 arbitrariamente introdotto nel 2012 in Costituzione, occorre sottolineare che la legge costituzionale 1/ 2012 ha introdotto nella Carta costituzionale il principio del pareggio di bilancio (“equilibrio tra le entrate e le spese”). Si tratta di una modifica costituzionale infausta, frutto del peggior revisionismo costituzionale. I vincoli costituzionalmente imposti all’azione di pubblici poteri e i limiti alle finanze pubbliche non hanno tenuto in nessun debito conto la necessità di assicurare i diritti fondamentali delle persone. Sono questi valori costituzionalmente incomprimibili, declinati nel testo della nostra costituzioni come diritti “inviolabili”, che la Repubblica deve in ogni caso riconoscere e garantire (ex articolo 2 della nostra Costituzione).
D’altronde, neppure vincoli europei possono legittimare la scelta compiuta nel 2012 dal revisore costituzionale italiano. Vero è, infatti, che in sede europea si sono prodotti una serie di documenti (Trattati, regolamenti, raccomandazioni, lettere) tutti indirizzati a perseguire la politica del “rigore” che si è dimostrata fallimentare. Molte sono state inoltre le sollecitazioni rivolte ai singoli Stati affinché adottino normative restrittive delle spese e limitative dei diritti (di quelli sociali in specie). Alcuni vincoli sono stati introdotti direttamente nella normativa europea o in quella collaterale (Patto Euro plus e Six Pack entrambi del 2011, Fiscal compact – “Trattato di stabilità – del 2012, Two Pack del 2013), però nessuno di questi atti ha “imposto” una modifica costituzionale ai Paesi soggetti alla normativa europea.
Lo stesso Fiscal compact – al quale, in base alla retorica dominante, si imputa la scelta di modificare la Costituzione introducendo il principio di pareggio – ha obbligato sì a introdurre principi di equilibrio dei conti “tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente”, ma con una semplice indicazione di “preferenza” per il livello costituzionale (art. 3, comma 2 del Fiscal compact). La scelta dunque di “costituzionalizzare il principio del pareggio di bilancio”, come sopra già ricordato, ricade pienamente nella responsabilità politica del Parlamento italiano. Ciò comporta il gravissimo effetto di rendere immodificabili le politiche del rigore anche nell’ipotesi – auspicabile e da perseguire politicamente – di un ravvedimento a livello europeo
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