Luglio 2018, il ministro del lavoro Luigi Di Maio, in riferimento ai dati Istat appena pubblicati, che certificavano il nuovo
record di occupati a tempo determinato, 3 milioni e 74mila, diceva: «Non è il record di occupazione, ma quello del precariato» , ribadendo di voler smantellare il Jobs act. «Iniziamo
a farlo con il decreto dignità». Il decreto è stato poi varato ed è entrato in vigore il 14 luglio scorso, andando a pieno regime dal 1° novembre: con una stretta
su durate massime e possibilità di proroghe dei contratti a tempo determinato e con la reintroduzione delle causali.
Gennaio 2019, sempre il ministro pentastellato, a commento dei dati Istat sul mercato del lavoro: «Dati incoraggianti che ci dicono che siamo ai minimi nella disoccupazione dai tempi pre-crisi». Dal governo viene sottolineato che, rispetto a un anno, fa ci sono oltre 200mila posti di lavoro in più. A ben guardare però, mentre crescono i contratti e tempo determinato (oggi sono 3 milioni e 130mila) e i lavoratori indipendenti (incentivati forse anche dalla nuova flat tax a favore delle partite Iva), sono in calo gli occupati a tempo indeterminato. Ma non era proprio questo che il decreto dignità voleva evitare?
L’aumento di 202mila occupati a dicembre 2018 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente è frutto di una crescita dei lavoratori a termine di 257mila unità e di quelli autonomi (+34mila), mentre i lavoratori a tempo indeterminato suono scesi - anno su anno - di 88mila.
L’Istat evidenzia che nei 12 mesi la crescita occupazionale si concentra ancora fortemente tra i lavoratori a termine (+8,9%), mentre calano quelli permanenti (0,6%).
I contratti a termine crescono, ma di meno
Una crescita, quella dei contratti a tempo determinato, che ha comunque rallentato la corsa nell’ultima parte del 2018, come evidenziato dalla congiuntura flash di Confindustria: +0,1% rispetto a +2,6% medio nei primi tre trimestri. Nell’ultimo quarto del 2018, sottolineano da viale dell’Astronomia, il numero degli occupati in Italia è rimasto sui livelli del terzo (+12 mila unità), quando si era ridotto (-60 mila).
Il rallentamento dei contratti a termine «riflette soprattutto il fisiologico aumento delle trasformazioni (da determinato a indeterminato, dato il boom del primo nel 2017 e inizio 2018) - sottolinea il Centro studi di Confindustria - e la maggiore reattività del lavoro temporaneo al ciclo, che è in indebolimento».
«È presto per valutare l’impatto del decreto dignità sul mercato del lavoro - avverte Francesco Daveri, ordinario di politica economica all’Università di Parma e docente alla Sda Bocconi -. Il dato mensile dell’Istat va preso con la giusta misura perché potrebbe essere il risultato di una correzione statistica imperfetta. Con il dato annuale, invece, si hanno indicazioni più robuste, ma chiaramente si riferisce a un arco temporale che in parte non è interessato dal decreto dignità. Quello che emerge con evidenza è che la nostra economia è indebolita e questo rallenta le assunzioni a tempo indeterminato, mentre crescono quelle a termine e il lavoro autonomo».
I dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps riflettono comunque un trend di rallentamento dei contratti a termine: da agosto in poi i nuovi contratti a tempo determinato siglati sono risultati in leggero calo rispetto all’anno precedente, anche se il totale gennaio-novembre 2018 (ultimo dato disponibile) ci dice che le assunzioni a termine sono state 3.128.541, rispetto a 3.000.441 dello stesso periodo del 2017.
«Dai dati Inps - commenta Marco Leonardi, docente di Economia alla Statale di Milano e consulente del Governo Renzi - si nota una inversione di tendenza in assunzioni lorde a partire da agosto 2018: meno assunzioni a termine e più a tempo indeterminato, come prevedibile effetto del decreto dignità, ma il saldo netto totale tra assunzioni lorde e nette della cessazioni è negativo da agosto in poi». Leonardi sottolinea poi: «Da quando si è insediato il Governo (maggio 2018) ci sono 122mila occupati a tempo indeterminato in meno (da 14,928 milioni di maggio ai 14,806 di dicembre) e 84mila lavoratori precari in più».
Lavoratori a termine: due su tre sono under 40
Restringendo poi l’obiettivo sulla generazione più giovane risulta che gli under 40 occupati con contratto a tempo determinato hanno sfondato la soglia dei due milioni nel terzo trimestre nel 2018: sono 2.041.000, il 27% in più rispetto allo stesso periodo del 2016, e rappresentano quasi i due terzi del totale. I giovani a tempo determinato fino a 24 anni di età sono cresciuti del 31%, rispetto a un crescita media di tutti gli occupati a termine del 25%.
«Gli effetti positivi dell’azione del Governo e del decreto dignità non si vedono sull'occupazione giovanile - sottolinea Alessandro Rosina, docente di demografia all’Università Cattolica di Milano -. Il tasso di occupazione nella fascia 15-24 continua ad essere il più basso in Europa e solo in timido rialzo. Gli occupati in età 25-34 sono addirittura in calo».
Lo scenario, insomma, continua ad essere incerto e contraddittorio. «Mentre le nuove generazioni continuano a presentare livelli di occupazioni lontani dalla media europea e senza un processo solido di convergenza in atto - conclude Rosina - ci troviamo davanti lo spettro di una nuova recessione».
Gennaio 2019, sempre il ministro pentastellato, a commento dei dati Istat sul mercato del lavoro: «Dati incoraggianti che ci dicono che siamo ai minimi nella disoccupazione dai tempi pre-crisi». Dal governo viene sottolineato che, rispetto a un anno, fa ci sono oltre 200mila posti di lavoro in più. A ben guardare però, mentre crescono i contratti e tempo determinato (oggi sono 3 milioni e 130mila) e i lavoratori indipendenti (incentivati forse anche dalla nuova flat tax a favore delle partite Iva), sono in calo gli occupati a tempo indeterminato. Ma non era proprio questo che il decreto dignità voleva evitare?
L’aumento di 202mila occupati a dicembre 2018 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente è frutto di una crescita dei lavoratori a termine di 257mila unità e di quelli autonomi (+34mila), mentre i lavoratori a tempo indeterminato suono scesi - anno su anno - di 88mila.
L’Istat evidenzia che nei 12 mesi la crescita occupazionale si concentra ancora fortemente tra i lavoratori a termine (+8,9%), mentre calano quelli permanenti (0,6%).
I contratti a termine crescono, ma di meno
Una crescita, quella dei contratti a tempo determinato, che ha comunque rallentato la corsa nell’ultima parte del 2018, come evidenziato dalla congiuntura flash di Confindustria: +0,1% rispetto a +2,6% medio nei primi tre trimestri. Nell’ultimo quarto del 2018, sottolineano da viale dell’Astronomia, il numero degli occupati in Italia è rimasto sui livelli del terzo (+12 mila unità), quando si era ridotto (-60 mila).
Il rallentamento dei contratti a termine «riflette soprattutto il fisiologico aumento delle trasformazioni (da determinato a indeterminato, dato il boom del primo nel 2017 e inizio 2018) - sottolinea il Centro studi di Confindustria - e la maggiore reattività del lavoro temporaneo al ciclo, che è in indebolimento».
«È presto per valutare l’impatto del decreto dignità sul mercato del lavoro - avverte Francesco Daveri, ordinario di politica economica all’Università di Parma e docente alla Sda Bocconi -. Il dato mensile dell’Istat va preso con la giusta misura perché potrebbe essere il risultato di una correzione statistica imperfetta. Con il dato annuale, invece, si hanno indicazioni più robuste, ma chiaramente si riferisce a un arco temporale che in parte non è interessato dal decreto dignità. Quello che emerge con evidenza è che la nostra economia è indebolita e questo rallenta le assunzioni a tempo indeterminato, mentre crescono quelle a termine e il lavoro autonomo».
I dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps riflettono comunque un trend di rallentamento dei contratti a termine: da agosto in poi i nuovi contratti a tempo determinato siglati sono risultati in leggero calo rispetto all’anno precedente, anche se il totale gennaio-novembre 2018 (ultimo dato disponibile) ci dice che le assunzioni a termine sono state 3.128.541, rispetto a 3.000.441 dello stesso periodo del 2017.
«Dai dati Inps - commenta Marco Leonardi, docente di Economia alla Statale di Milano e consulente del Governo Renzi - si nota una inversione di tendenza in assunzioni lorde a partire da agosto 2018: meno assunzioni a termine e più a tempo indeterminato, come prevedibile effetto del decreto dignità, ma il saldo netto totale tra assunzioni lorde e nette della cessazioni è negativo da agosto in poi». Leonardi sottolinea poi: «Da quando si è insediato il Governo (maggio 2018) ci sono 122mila occupati a tempo indeterminato in meno (da 14,928 milioni di maggio ai 14,806 di dicembre) e 84mila lavoratori precari in più».
Lavoratori a termine: due su tre sono under 40
Restringendo poi l’obiettivo sulla generazione più giovane risulta che gli under 40 occupati con contratto a tempo determinato hanno sfondato la soglia dei due milioni nel terzo trimestre nel 2018: sono 2.041.000, il 27% in più rispetto allo stesso periodo del 2016, e rappresentano quasi i due terzi del totale. I giovani a tempo determinato fino a 24 anni di età sono cresciuti del 31%, rispetto a un crescita media di tutti gli occupati a termine del 25%.
«Gli effetti positivi dell’azione del Governo e del decreto dignità non si vedono sull'occupazione giovanile - sottolinea Alessandro Rosina, docente di demografia all’Università Cattolica di Milano -. Il tasso di occupazione nella fascia 15-24 continua ad essere il più basso in Europa e solo in timido rialzo. Gli occupati in età 25-34 sono addirittura in calo».
Lo scenario, insomma, continua ad essere incerto e contraddittorio. «Mentre le nuove generazioni continuano a presentare livelli di occupazioni lontani dalla media europea e senza un processo solido di convergenza in atto - conclude Rosina - ci troviamo davanti lo spettro di una nuova recessione».
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