La
breve esperienza del governo “gialloverde” sembra già all’epilogo. Non
c’è giornae che in questi gkorni non abbia registrato il crescendo di
momenti di scontro tra Lega e Cinque Stelle, con il contorno indicativo
di parole al limite dell’insulto, ben dentro il normale turpiloquio da
osteria.
Al contrario dei media mainstream, però, a noi sembra che dietro l’allargamento delle rime di frattura tra i due azionisti di governo pesino più le questioni globali (economiche ed internazionali) che non i mal di pancia pre-elettorali. Certo la necessità di distinguersi in vista delle elezioni europee – in cui corrono facendo riferimento a “famiglie” politiche piuttosto diverse, con i 5S che ancora “cercano casa” – stimola la conflittualità, e di sicuro il se votare o no l’autorizzazione a procedere per Salvini costituirà da solo un buon motivo per rompere, quando se ne saranno determinate le condizioni necessarie.
Altrettanto di sicuro pesano i mugugni delle rispettive basi elettorali deluse chi dall’esiguità delle risorse a favore del “reddito di cittadinanza” (constringerà tanti a vere e proprie forche caudine per sentirsi poi rifiutare il modesto contributo), chi dalle trappole esplosive poste intorno a “quota 100”, che certificano come la “legge Fornero” rimanda tranquillamente in vigore, alla faccia degli annuncia sulla sua “rottamazione”.
Ed è assolutamente vero che a dividerli con forza ci sono anche le lobby pro-Tav, che accomunano Lega, Pd e berlusconidi, ma non hanno particolari o consolidati agganci con i vertici Cinque Stelle, arroccati a difesa dell’ultima promessa elettorale di una qualche visibilità sociale.
Ma ancora di più pesano le pressioni internazionali, che vanno disgregando quel tanto di tessitura costruita con i trattati istitutivi dell’Unione Europea.
Lo vediamo in questi giorno con il ridicolo “ultimatum europeo” a Maduro: “nuove elezioni” da indire addirittura in otto giorni (scaduti ieri sera) oppure “riconoscimento” del quisling Gaidò, scelto dagli Stati Uniti per farsi riconsegnare il petrolio venezuelano. Tutti i paesi dell’Unione hanno accettato il diktat statunitense, meno uno: l’Italia (la Germania ha schivato l’isolamento accodandosi all’ultimo minuto). Due paesi diversi in tutto (condizione economica, peso europeo, tipo di governo, ecc), ma anche le principali potenze manifattutiere del Vecchio Continente (Francia macroniana a parte).
E si capisce lontano un chilometro che la Lega, su questo punto, avrebbe voluto far valere fino in fondo il proprio zelo filo-atlantico, ma ha dovuto incassare in silenzio una presa di posizione – se non “neutrale” – sicuramente molto critica verso l’escalation in corso.
Tutti i nodi in elenco non sono questioni davvero “mediabili”, ma la questione venezuelana si pone come un aut-aut che non lascia spazio agli equilibrismi lessicali con cui la Casaleggio Associati gestisce di questi tempi la “comunicazione” grillina.
Non sappiamo per quanto tempo i grillini potranno reggere da soli in una posizione così scomoda, ma per loro – e soprattutto i loro elettori – si tratta di una prova che può erodere consensi già in forte calo. Parliamo di quei “voti di sinistra” che sono finiti da quelle parti per l’assoluta impossibilità di continuare a votare Pd e che non sono per ora andati verso Potere al Popolo in virtù del residuo di “voto utile” che ancora alberga in tante menti (solo con il 4 marzo, in effetti, si è tornati ad un sistema prevalentemente proporzionale).
Stando ai sondaggi, par di capire che la componente destrorsa dell’elettoralto grillino si sia già complessivamente ricollocata sotto il mantello “cattivista” di Salvini. Dunque, smottare anche “sinistra” (su Tav e Venezuela) può diventare il crollo di una diga…
L’orizzonte temporale vero di questo esecutivo è dunque la fine di maggio. Una volta chiuse le urne continentali, contati i voti, ci sarà giusto il tempo di fare una veloca riflessione sui risultati e subito dopo lo splashdown.
Non importa su quale tema: i tavoli di scontro aperto sono ormai decine…
Al contrario dei media mainstream, però, a noi sembra che dietro l’allargamento delle rime di frattura tra i due azionisti di governo pesino più le questioni globali (economiche ed internazionali) che non i mal di pancia pre-elettorali. Certo la necessità di distinguersi in vista delle elezioni europee – in cui corrono facendo riferimento a “famiglie” politiche piuttosto diverse, con i 5S che ancora “cercano casa” – stimola la conflittualità, e di sicuro il se votare o no l’autorizzazione a procedere per Salvini costituirà da solo un buon motivo per rompere, quando se ne saranno determinate le condizioni necessarie.
Altrettanto di sicuro pesano i mugugni delle rispettive basi elettorali deluse chi dall’esiguità delle risorse a favore del “reddito di cittadinanza” (constringerà tanti a vere e proprie forche caudine per sentirsi poi rifiutare il modesto contributo), chi dalle trappole esplosive poste intorno a “quota 100”, che certificano come la “legge Fornero” rimanda tranquillamente in vigore, alla faccia degli annuncia sulla sua “rottamazione”.
Ed è assolutamente vero che a dividerli con forza ci sono anche le lobby pro-Tav, che accomunano Lega, Pd e berlusconidi, ma non hanno particolari o consolidati agganci con i vertici Cinque Stelle, arroccati a difesa dell’ultima promessa elettorale di una qualche visibilità sociale.
Ma ancora di più pesano le pressioni internazionali, che vanno disgregando quel tanto di tessitura costruita con i trattati istitutivi dell’Unione Europea.
Lo vediamo in questi giorno con il ridicolo “ultimatum europeo” a Maduro: “nuove elezioni” da indire addirittura in otto giorni (scaduti ieri sera) oppure “riconoscimento” del quisling Gaidò, scelto dagli Stati Uniti per farsi riconsegnare il petrolio venezuelano. Tutti i paesi dell’Unione hanno accettato il diktat statunitense, meno uno: l’Italia (la Germania ha schivato l’isolamento accodandosi all’ultimo minuto). Due paesi diversi in tutto (condizione economica, peso europeo, tipo di governo, ecc), ma anche le principali potenze manifattutiere del Vecchio Continente (Francia macroniana a parte).
E si capisce lontano un chilometro che la Lega, su questo punto, avrebbe voluto far valere fino in fondo il proprio zelo filo-atlantico, ma ha dovuto incassare in silenzio una presa di posizione – se non “neutrale” – sicuramente molto critica verso l’escalation in corso.
Tutti i nodi in elenco non sono questioni davvero “mediabili”, ma la questione venezuelana si pone come un aut-aut che non lascia spazio agli equilibrismi lessicali con cui la Casaleggio Associati gestisce di questi tempi la “comunicazione” grillina.
Non sappiamo per quanto tempo i grillini potranno reggere da soli in una posizione così scomoda, ma per loro – e soprattutto i loro elettori – si tratta di una prova che può erodere consensi già in forte calo. Parliamo di quei “voti di sinistra” che sono finiti da quelle parti per l’assoluta impossibilità di continuare a votare Pd e che non sono per ora andati verso Potere al Popolo in virtù del residuo di “voto utile” che ancora alberga in tante menti (solo con il 4 marzo, in effetti, si è tornati ad un sistema prevalentemente proporzionale).
Stando ai sondaggi, par di capire che la componente destrorsa dell’elettoralto grillino si sia già complessivamente ricollocata sotto il mantello “cattivista” di Salvini. Dunque, smottare anche “sinistra” (su Tav e Venezuela) può diventare il crollo di una diga…
L’orizzonte temporale vero di questo esecutivo è dunque la fine di maggio. Una volta chiuse le urne continentali, contati i voti, ci sarà giusto il tempo di fare una veloca riflessione sui risultati e subito dopo lo splashdown.
Non importa su quale tema: i tavoli di scontro aperto sono ormai decine…
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