In fondo, ce lo dovevamo aspettare. Il biologico tira, gli italiani stanno imparando a usare meno plastica,
la sostenibilità è entrata nelle nostre teste e nelle nostre case: e
allora, zac, i cervelloni del governo, con la consulenza dei noti
burocrati mandarini ministeriali, si sono inventati la tassa sul bio. Ovvero: la tassa sui sacchetti biodegradabili che saranno definitivamente obbligatori, in versione leggera e ultraleggera, dal 1° gennaio 2018.
Dieci centesimi a sacchetto. Uno spreco sfacciato, e una mini-stangata
ai soliti consumatori con le mani in alto in segno di resa. Un conto
niente male, se pensate che tra l’altro noi consumiamo qualcosa come 198 sacchetti per la spesa a testa all’anno. Spesso di pura plastica, vietata per gli shopper già dal 2011.
TASSA SACCHETTI FRUTTA E VERDURA La follia di questa tassa, che entra di diritto nel nostro Guinness delle tasse assurde, ha il significato di una doppia beffa, tanto perché quando si tratta di tosare gli italiani non bisogna farsi mancare nulla. La legge prevede che dal 2018 la materia prima di questi shopper, in genere utilizzati per frutta, verdura e generi alimentari, dovrà essere per almeno il 40 per cento, classificata come «rinnovabile». Quindi, un provvedimento giusto lungo la strada dei nuovi stili di vita, della riduzione della plastica e dei suoi consumi. Sbagliatissimo nel momento in cui il cambiamento si abbina a una mini-tassa. Un dazio che certamente scoraggerà i consumatori più sensibili ai temi ambientali. E consentirà il consolidamento di un doppio circuito di distribuzione degli shopper. Da un lato i supermercati e i grandi negozi che proveranno a fare cassa con i nuovi sacchetti, mentre i dettaglianti, i mercatini e gli altri piccoli punti vendita, magari continueranno a usare i vecchi sacchetti di plastica, per non aumentare il conto della spesa dei loro clienti.
Seconda stangata: con la tassa che ne appesantisce il costo, anche gli esercenti saranno in qualche modo incentivati ad aumentare la quota di sacchetti falsi, già oggi molto alta: in alcune regioni siamo attorno al 60 per cento.
TASSA SACCHETTI FRUTTA E VERDURA La follia di questa tassa, che entra di diritto nel nostro Guinness delle tasse assurde, ha il significato di una doppia beffa, tanto perché quando si tratta di tosare gli italiani non bisogna farsi mancare nulla. La legge prevede che dal 2018 la materia prima di questi shopper, in genere utilizzati per frutta, verdura e generi alimentari, dovrà essere per almeno il 40 per cento, classificata come «rinnovabile». Quindi, un provvedimento giusto lungo la strada dei nuovi stili di vita, della riduzione della plastica e dei suoi consumi. Sbagliatissimo nel momento in cui il cambiamento si abbina a una mini-tassa. Un dazio che certamente scoraggerà i consumatori più sensibili ai temi ambientali. E consentirà il consolidamento di un doppio circuito di distribuzione degli shopper. Da un lato i supermercati e i grandi negozi che proveranno a fare cassa con i nuovi sacchetti, mentre i dettaglianti, i mercatini e gli altri piccoli punti vendita, magari continueranno a usare i vecchi sacchetti di plastica, per non aumentare il conto della spesa dei loro clienti.
Seconda stangata: con la tassa che ne appesantisce il costo, anche gli esercenti saranno in qualche modo incentivati ad aumentare la quota di sacchetti falsi, già oggi molto alta: in alcune regioni siamo attorno al 60 per cento.
Nessun commento:
Posta un commento