Sono passati 6 anni dalla caduta del
regime in Libia. Il paese è da allora precipitato in una della crisi più
gravi del mondo arabo oggi. È un paese praticamente senza Stato, con
tutto ciò che questo comporta. La causa principale è da ricercare
nell’intervento militare della Nato nel 2011, che ha avuto come gravi
conseguenze il dilagare del terrorismo e la crisi dei migranti.
Negli ultimi mesi intorno alla Libia si è scatenata una guerra diplomatica tra Francia e Italia. La prima agisce con la scusa della “lotta al terrorismo”, la seconda con quella del problema del flusso migratorio, via Mediterraneo, verso l’Italia. Due fenomeni seri, che tuttavia nascondono le vere motivazioni: una competizione neocoloniale per ingraziarsi i “governati” senza governo in Libia e accaparrarsi una parte consistente della ricca torta libica. Il paese in effetti, oltre a fungere da cerniera tra Medio Oriente, Africa ed Europa, ha un sottosuolo ricco di petrolio e non solo.
Questa rivalità ricorda il passato coloniale dei due paesi. Nell’estate del 1881 la Francia inviò un contingente militare in Tunisia, trasformandola in una sua colonia. All’epoca la presenza italiana in Tunisia era capillare, tale da essere considerata dall’allora governo Cairoli una parte integrante dell’Italia e indurlo a protestare vivamente: la Tunisia è «una nazione italiana occupata dai francesi». La diatriba coloniale tra Francia e Italia portò più tardi il governo Giolitti a decidere di invadere militarmente la Libia nel 1911, sottraendola ai turchi. Il seguito fu una storia coloniale drammatica, purtroppo poco conosciuta ai più a causa di censure sistematiche. Del resto, anche quella dei francesi in altri paesi del Maghreb non fu diversa: più di un milione di morti in Algeria.
E, come teorizzò il pensatore arabo Ibn Khaldun, «la storia si ripete». Il 25 luglio scorso, il presidente francese Macron aveva ricevuto agli Champs-Elysées due dei principali protagonisti e rivali politici della ingarbugliata scena libica: Al Sarraj (primo ministro di un sedicente governo “legittimato” dall’Onu, ma che non dispone di nessuna autorità a livello nazionale) e il generale Haftar, uomo forte della Cirenaica – vissuto per 20 anni a Langley, in Virginia, sotto la protezione della Cia – ora sostenuto anche da Egitto, Algeria e da alcune monarchie arabe del Golfo. E anche la Russia strizza l’occhio al generale, che è stato ricevuto già diverse volta a Mosca.
L’Italia reagisce: all’inizio di agosto il Parlamento ha approvato a maggioranza – 328 contro 113 alla Camera e 91 contro 47 al Senato – una legge che prevede il dispiegamento di forze militari navali italiane nelle acque territoriali libiche. La motivazione ufficiale di tale provvedimento è quella di bloccare l’emorragia del flusso dei migranti/profughi verso le coste italiane. Una questione scottante che gli altri paesi dell’Ue non vogliono prendere in considerazione. Il 26 luglio Al Sarraj è stato ricevuto dal premier Gentiloni per discutere della crisi dei migranti. Ed è probabile che questo incontro abbia spianato la strada alla presenza militare nelle acque libiche.
Il “premier” libico non gode del sostegno del popolo, mentre Haftar è sostenuto da gran parte della Cirenaica e non solo, ha cacciato le milizie jihadiste da Bengasi e controlla i principali pozzi di petrolio. Quest’ultimo considera il dispiegamento dei militari nelle coste libiche una violazione della sovranità nazionale. Oggi in molti considerano che il governo italiano abbia puntato sul cavallo sbagliato e che la Francia invece abbia scelto bene. Ma i governanti italiani se ne sono accorti forse troppo tardi: l’incontro avvenuto a Roma il 27 settembre tra esponenti del governo – ma non con il premier – e il generale Haftar, che in sostanza verteva sulla questione della protezione degli impianti Eni in Libia e sull’immigrazione, potrà difficilmente colmare il gap tra l’Italia e la Francia.
Sullo sfondo, vi è un’ombra non di poca importanza: il ruolo degli Stati Uniti, che ebbero la regia della guerra Nato contro la Libia nel 2011. La Francia fu uno dei principali esecutori dei bombardamenti e l’Italia mise a disposizione le sue basi militari, ma gli Usa furono la “centralina” dell’operazione. Ed è inimmaginabile che Washington possa lasciare ad altri un paese di tale importanza geopolitica e geo-economica. Il regime libico era nel mirino del Pentagono da decenni. E, cosa di non poco conto, Haftar dispone di un passaporto statunitense.
Oggi non è ancora chiara l’intenzione della Casa Bianca rispetto alla questione libica. Ma è verosimile che la Francia, l’Italia e anche il resto dell’Ue dovranno accontentarsi di quello che “passa il convento” e contemporaneamente gestire la patata bollente dell’immigrazione e del terrorismo, in gran parte frutto delle loro manovre geopolitiche.
Negli ultimi mesi intorno alla Libia si è scatenata una guerra diplomatica tra Francia e Italia. La prima agisce con la scusa della “lotta al terrorismo”, la seconda con quella del problema del flusso migratorio, via Mediterraneo, verso l’Italia. Due fenomeni seri, che tuttavia nascondono le vere motivazioni: una competizione neocoloniale per ingraziarsi i “governati” senza governo in Libia e accaparrarsi una parte consistente della ricca torta libica. Il paese in effetti, oltre a fungere da cerniera tra Medio Oriente, Africa ed Europa, ha un sottosuolo ricco di petrolio e non solo.
Questa rivalità ricorda il passato coloniale dei due paesi. Nell’estate del 1881 la Francia inviò un contingente militare in Tunisia, trasformandola in una sua colonia. All’epoca la presenza italiana in Tunisia era capillare, tale da essere considerata dall’allora governo Cairoli una parte integrante dell’Italia e indurlo a protestare vivamente: la Tunisia è «una nazione italiana occupata dai francesi». La diatriba coloniale tra Francia e Italia portò più tardi il governo Giolitti a decidere di invadere militarmente la Libia nel 1911, sottraendola ai turchi. Il seguito fu una storia coloniale drammatica, purtroppo poco conosciuta ai più a causa di censure sistematiche. Del resto, anche quella dei francesi in altri paesi del Maghreb non fu diversa: più di un milione di morti in Algeria.
E, come teorizzò il pensatore arabo Ibn Khaldun, «la storia si ripete». Il 25 luglio scorso, il presidente francese Macron aveva ricevuto agli Champs-Elysées due dei principali protagonisti e rivali politici della ingarbugliata scena libica: Al Sarraj (primo ministro di un sedicente governo “legittimato” dall’Onu, ma che non dispone di nessuna autorità a livello nazionale) e il generale Haftar, uomo forte della Cirenaica – vissuto per 20 anni a Langley, in Virginia, sotto la protezione della Cia – ora sostenuto anche da Egitto, Algeria e da alcune monarchie arabe del Golfo. E anche la Russia strizza l’occhio al generale, che è stato ricevuto già diverse volta a Mosca.
L’Italia reagisce: all’inizio di agosto il Parlamento ha approvato a maggioranza – 328 contro 113 alla Camera e 91 contro 47 al Senato – una legge che prevede il dispiegamento di forze militari navali italiane nelle acque territoriali libiche. La motivazione ufficiale di tale provvedimento è quella di bloccare l’emorragia del flusso dei migranti/profughi verso le coste italiane. Una questione scottante che gli altri paesi dell’Ue non vogliono prendere in considerazione. Il 26 luglio Al Sarraj è stato ricevuto dal premier Gentiloni per discutere della crisi dei migranti. Ed è probabile che questo incontro abbia spianato la strada alla presenza militare nelle acque libiche.
Il “premier” libico non gode del sostegno del popolo, mentre Haftar è sostenuto da gran parte della Cirenaica e non solo, ha cacciato le milizie jihadiste da Bengasi e controlla i principali pozzi di petrolio. Quest’ultimo considera il dispiegamento dei militari nelle coste libiche una violazione della sovranità nazionale. Oggi in molti considerano che il governo italiano abbia puntato sul cavallo sbagliato e che la Francia invece abbia scelto bene. Ma i governanti italiani se ne sono accorti forse troppo tardi: l’incontro avvenuto a Roma il 27 settembre tra esponenti del governo – ma non con il premier – e il generale Haftar, che in sostanza verteva sulla questione della protezione degli impianti Eni in Libia e sull’immigrazione, potrà difficilmente colmare il gap tra l’Italia e la Francia.
Sullo sfondo, vi è un’ombra non di poca importanza: il ruolo degli Stati Uniti, che ebbero la regia della guerra Nato contro la Libia nel 2011. La Francia fu uno dei principali esecutori dei bombardamenti e l’Italia mise a disposizione le sue basi militari, ma gli Usa furono la “centralina” dell’operazione. Ed è inimmaginabile che Washington possa lasciare ad altri un paese di tale importanza geopolitica e geo-economica. Il regime libico era nel mirino del Pentagono da decenni. E, cosa di non poco conto, Haftar dispone di un passaporto statunitense.
Oggi non è ancora chiara l’intenzione della Casa Bianca rispetto alla questione libica. Ma è verosimile che la Francia, l’Italia e anche il resto dell’Ue dovranno accontentarsi di quello che “passa il convento” e contemporaneamente gestire la patata bollente dell’immigrazione e del terrorismo, in gran parte frutto delle loro manovre geopolitiche.
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