L’economia circolare in Italia è oggi un anello con due grandi
strozzature: la domanda di prodotti riciclati cresce più lentamente
dell’offerta, e al contempo manca anche uno sbocco adeguato per la
gestione degli scarti che – come ogni industria manifatturiera – anche
le aziende che operano nel mondo del riciclo a loro volta producono.
Sono questi i due grandi problemi messi ieri in evidenza da Assorecuperi
e Fise Unire – entrambi associazioni delle imprese di settore –, che
hanno posto l’accento su difficoltà tanto ingenti quanto invisibili,
sommersi da un dibattito che sovente si culla sullo slogan rifiuti zero senza conoscere la realtà industriale cui fa riferimento.
«Qualsiasi attività di trattamento dei rifiuti – spiega dunque dice Andrea Fluttero, presidente di Fise Unire – produce più o meno scarti: ad esempio, per carta, plastica, vetro, legno e organico nel 2014 sono stati complessivamente quantificati scarti dalle attività di riciclo per 2,5 milioni di tonnellate (dati ultimo rapporto “Italia riciclo 2016”), che necessitano di una collocazione, rappresentata generalmente dal recupero energetico, ove tecnicamente possibile, o dalla discarica. Purtroppo sta diventando sempre più difficile la gestione degli scarti da processi di riciclo dei rifiuti provenienti da attività produttive e da alcuni flussi della raccolta differenziata degli urbani, in particolare quelli degli imballaggi in plastica post-consumo. Ciò crea una “strozzatura” per le attività di riciclo e, a ritroso nella filiera, al normale funzionamento delle raccolte; tale ostacolo da congiunturale sta diventando strutturale e rischia di inceppare in modo irreversibile il meccanismo virtuoso dell’economia circolare, a livello sia locale che di sistema».
Per dare un senso ai numeri, i 2,5 milioni di tonnellate di scarti prodotti dal riciclo dei rifiuti in Italia sono superiori a tutti i rifiuti urbani raccolti in un intero anno all’interno di una Regione come la Toscana (dove la produzione di rifiuti urbani è stata pari a 2,31 milioni di tonnellate nel 2016).
E questo contando i “soli” scarti da riciclo. Guardando ai soli rifiuti urbani, ammesso che si riuscisse a portare la raccolta differenziata al 100% (in Italia siamo al 47,5%), prima ancora di arrivare agli scarti da riciclo dovremmo occuparci di poter gestire la frazione estranea e i rifiuti da selezione (tutti classificabili come rifiuti speciali). Senza dimenticare che, allargando adesso la prospettiva, se anche venisse raggiunto il 100% di raccolta differenziata, questa rappresenterebbe circa il 70% dell’intera produzione degli urbani e appena il 14% dell’intera produzione dei rifiuti (urbani+speciali). Un quadro – come si può notare – assai complesso, dove peraltro il legislatore mostra spesso di saper mettere le mani solo maldestramente. Quanto sta accadendo oggi in Lombardia (e non solo) ne è l’ultimo esempio.
«Le aziende lombarde che ritirano e trattano i rifiuti non sanno più dove smaltire il residuale, gli inceneritori e le discariche regionali sono saturi e i prezzi per i conferimenti stanno lievitando. Questo – spiega il presidente di Assorecuperi Tiziano Brembilla – nonostante in Lombardia ci siano ben 13 inceneritori di rifiuti con una notevole capacità di ricezione che potrebbe soddisfare tutto il fabbisogno regionale e permettere lo smaltimento anche di notevoli quantità di rifiuti extraregionali” “La crisi scaturisce dall’entrata in vigore del Decreto Sblocca Italia, ed in particolare dell’art. 35, con il quale il Governo ha permesso da un lato di aumentare i quantitativi di rifiuti trattati dagli inceneritori, bypassando le varie restrizioni imposte dalle autorizzazioni rilasciate dalla regione, dall’altro ha imposto agli stessi di dare priorità ai rifiuti urbani extraregionali rispetto agli speciali locali. Questo obbligo ha creato l’odierna situazione di crisi: gli inceneritori sono saturati dai rifiuti extraregionali mentre il residuale derivante dall’urbano lombardo e i rifiuti speciali delle aziende locali non possono più essere smaltiti». Altro che “Sblocca Italia”, dunque: anche quando gli impianti per la gestione dei rifiuti sono presenti sul territorio, ci pensa la normativa a bloccarli.
«Qualsiasi attività di trattamento dei rifiuti – spiega dunque dice Andrea Fluttero, presidente di Fise Unire – produce più o meno scarti: ad esempio, per carta, plastica, vetro, legno e organico nel 2014 sono stati complessivamente quantificati scarti dalle attività di riciclo per 2,5 milioni di tonnellate (dati ultimo rapporto “Italia riciclo 2016”), che necessitano di una collocazione, rappresentata generalmente dal recupero energetico, ove tecnicamente possibile, o dalla discarica. Purtroppo sta diventando sempre più difficile la gestione degli scarti da processi di riciclo dei rifiuti provenienti da attività produttive e da alcuni flussi della raccolta differenziata degli urbani, in particolare quelli degli imballaggi in plastica post-consumo. Ciò crea una “strozzatura” per le attività di riciclo e, a ritroso nella filiera, al normale funzionamento delle raccolte; tale ostacolo da congiunturale sta diventando strutturale e rischia di inceppare in modo irreversibile il meccanismo virtuoso dell’economia circolare, a livello sia locale che di sistema».
Per dare un senso ai numeri, i 2,5 milioni di tonnellate di scarti prodotti dal riciclo dei rifiuti in Italia sono superiori a tutti i rifiuti urbani raccolti in un intero anno all’interno di una Regione come la Toscana (dove la produzione di rifiuti urbani è stata pari a 2,31 milioni di tonnellate nel 2016).
E questo contando i “soli” scarti da riciclo. Guardando ai soli rifiuti urbani, ammesso che si riuscisse a portare la raccolta differenziata al 100% (in Italia siamo al 47,5%), prima ancora di arrivare agli scarti da riciclo dovremmo occuparci di poter gestire la frazione estranea e i rifiuti da selezione (tutti classificabili come rifiuti speciali). Senza dimenticare che, allargando adesso la prospettiva, se anche venisse raggiunto il 100% di raccolta differenziata, questa rappresenterebbe circa il 70% dell’intera produzione degli urbani e appena il 14% dell’intera produzione dei rifiuti (urbani+speciali). Un quadro – come si può notare – assai complesso, dove peraltro il legislatore mostra spesso di saper mettere le mani solo maldestramente. Quanto sta accadendo oggi in Lombardia (e non solo) ne è l’ultimo esempio.
«Le aziende lombarde che ritirano e trattano i rifiuti non sanno più dove smaltire il residuale, gli inceneritori e le discariche regionali sono saturi e i prezzi per i conferimenti stanno lievitando. Questo – spiega il presidente di Assorecuperi Tiziano Brembilla – nonostante in Lombardia ci siano ben 13 inceneritori di rifiuti con una notevole capacità di ricezione che potrebbe soddisfare tutto il fabbisogno regionale e permettere lo smaltimento anche di notevoli quantità di rifiuti extraregionali” “La crisi scaturisce dall’entrata in vigore del Decreto Sblocca Italia, ed in particolare dell’art. 35, con il quale il Governo ha permesso da un lato di aumentare i quantitativi di rifiuti trattati dagli inceneritori, bypassando le varie restrizioni imposte dalle autorizzazioni rilasciate dalla regione, dall’altro ha imposto agli stessi di dare priorità ai rifiuti urbani extraregionali rispetto agli speciali locali. Questo obbligo ha creato l’odierna situazione di crisi: gli inceneritori sono saturati dai rifiuti extraregionali mentre il residuale derivante dall’urbano lombardo e i rifiuti speciali delle aziende locali non possono più essere smaltiti». Altro che “Sblocca Italia”, dunque: anche quando gli impianti per la gestione dei rifiuti sono presenti sul territorio, ci pensa la normativa a bloccarli.
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