Il fatto è abbastanza noto: oltre 74
anni fa, il 9 luglio 1943, gli Alleati sbarcarono in Sicilia, dopo
essere giunti, qualche giorno prima, a Salerno.
L’arrivo nell’isola più grande del
Mediterraneo, oltre a rovesciare, a favore delle forze che combattevano
l’Asse, le sorti del secondo conflitto mondiale, rappresenta un
avvenimento che ha sempre affascinato gli storici, gli studiosi, gli
appassionati delle vicende contemporanee. Grazie ai quali, oltre ai
numerosissimi documenti ufficiali italiani, americani e britannici,
sappiamo che dietro quella operazione militare ci sono tanti attori.
La mafia locale. La mafia americana.
Lucky Luciano. Vito Genovese. Calogero Vizzini. Giuseppe Genco Russo.
Vincenzo Di Carlo. E tanti altri nomi di potenti mammasantissima. E il
Movimento indipendentista siciliano (Mis), perché la Sicilia, in quegli
anni e in quelli immediatamente successivi al dopoguerra, è un
laboratorio storico-politico. La scelta dell’isola, infatti, non è
casuale: sia per evidenti ragioni geografiche (per evitare
l’accerchiamento da parte del nemico), sia perché si poteva costituire
una testa di ponte in Sicilia proprio sfruttando la mafia.
Per capire, però, cosa c’è dietro quello sbarco, è necessario mettere i tasselli al loro posto. E andare indietro di circa 20 anni, tirando in ballo un altro personaggio: Cesare Mori.
Per capire, però, cosa c’è dietro quello sbarco, è necessario mettere i tasselli al loro posto. E andare indietro di circa 20 anni, tirando in ballo un altro personaggio: Cesare Mori.
Già, perché nel 1924, l’allora prefetto di Trapani
stava cercando di sradicare la mafia dalla Sicilia, attuando una
durissima repressione e ricorrendo, spesso, a metodi brutali: furono
incardinati 10mila processi, con innumerevoli condanne, mentre molti
pericolosi boss furono mandati al confino o costretti a emigrare negli
States. E, come scrive Giuseppe Carlo Marino in “Storia della mafia”,
attraverso il “bastone e la carota”, ridusse ciò che restava della
mafia-delinquenza a una condizione “dormiente” e inattiva, ma fu
costretto a fermarsi di fronte al baronato, il ceto dei grandi
latifondisti che utilizzava la manovalanza mafiosa per il controllo
delle proprietà agricole.
Ecco allora che proprio loro, i baroni, nel 1940, istituirono l’Ente di colonizzazione del latifondo siciliano
il quale, nel 1942, diventò un vero e proprio Comitato d’azione
separatista, capeggiato da un triumvirato composto dal conte massone
Lucio Tasca, dal liberale massone Andrea Finocchiaro-Aprile e dal
“mafioso tout court” don Calogero Vizzini, tornato a Villalba dopo sei
anni di confino. Il nome? Movimento per l’indipendenza della Sicilia, Mis.
Nel frattempo, come scrive Massimo Lucioli in “Mafia & Allies”,
negli Stati Uniti era già in corso un legame tra US Navy e la mafia
italoamericana in quanto, fin dallo scoppio della guerra, nel 1939, gli
Usa, per quanto ancora formalmente neutrali, cominciarono a rifornire
gratuitamente tutti i nemici dell’Asse. Il porto di New York assumeva,
quindi, importanza strategica, e perciò si temevano sabotaggi da parte
di spie tedesche e italiane.
E proprio per questo motivo, allora, che
uno dei massimi responsabili dell’intelligence Usa (non esisteva ancora
la Cia) decise di prendere i primi contatti con il gangster Lucky Luciano,
il quale, nonostante stesse scontando in carcere una condanna a 50 anni
per sfruttamento della prostituzione, continuava a controllare le
attività illecite del porto della Grande Mela. E lui si rivelò subito
prezioso. Da un lato iniziò a fornire una valanga di informazioni ai
Servizi segreti statunitensi (l’OSS, l’intelligence di guerra),
dall’altro lato segnalò i mafiosi residenti in Sicilia che avrebbero
certamente cooperato al momento dello sbarco (operazione Husky).
Il principale referente sull’isola fu don Calogero Vizzini, che aderì al progetto, unendo insieme le forze dei latifondisti affiliati al Mis – e dei mafiosi
– a quelle dei servizi segreti americani. E la testa di ponte tra
Vizzini e Luciano era un certo Vito Genovese, dall’America ritornato in
Italia prima dello scoppio del conflitto.
Il “progetto Sicilia” vero e proprio fu
messo a punto nel luglio 1942, e prevedeva la penetrazione nell’isola di
agenti informatori italo-americani per prender contatto con settori
disponibili della popolazione e fomentare atti rivoltosi in vista dello
sbarco. Fu attuato esattamente un anno dopo e, una volta sbarcati,
gli Alleati affidarono molte cariche nel governo provvisorio della
Sicilia. E non a gente per caso: Calogero Vizzini fu nominato sindaco di
Villalba, Giuseppe Genco Russo divenne primo cittadino di Musumeli,
Vincenzo Di Carlo fu scelto come responsabile dell’Ufficio per la
requisizione del grano. Ciò diede nuova e sicura autorità ai mafiosi, oltre a concrete possibilità di arricchimento e di accrescimento del loro potere.
E il Mis? Non scompare, anzi si rafforza.
Dal 1943 al 1947, infatti, accadde che ebbe un sviluppo molto ampio,
sia per il seguito popolare, sia perché “i responsabili del governo
militare di occupazione affidarono il 90 per cento delle amministrazioni
a politici separatisti”, come ha denunciato la prima relazione della
Commissione parlamentare antimafia del 1972.
La crescita del movimento non si limitò, tuttavia, al piano legale ed elettorale, perché costituì persino un suo esercito, l’Esercito volontario di indipendenza siciliana (Evis), nel quale militarono banditi e mafiosi di grosso calibro. Capo indiscusso fu Salvatore Giuliano, il boss di Montelepre, e fu proprio questi a provocare la fine dell’esperienza separatista, con la strage di Portella della Ginestra, il 1 maggio 1947.
Nessun commento:
Posta un commento