Tale accordo, mai ratificato dal
parlamento italiano e quindi mai entrato in vigore, è stato fortemente
tenuto in considerazione dalla controparte francese che dal gennaio 2016
lo ha reso operativo, sequestrando nelle zone marittime contese due
pescherecci italiani: il “Mina” in Liguria e il “Cecilia” in Sardegna (i
cui proprietari hanno dovuto pagare anche un cospicuo riscatto).
Le proteste dei pescatori e l’interesse di alcuni bravi politici come l’ex deputato Mauro Pili, del partito sardo UNIDOS,
hanno impedito la ratifica dell’Italia, oltre a far tornare i francesi
sui propri passi e a lasciare che i pescherecci italiani potessero
lavorare come sempre, fino a quel momento, avevano fatto.
Noi de l’Opinione Pubblica siamo stati
una delle poche testate giornalistiche che ha trattato ampiamente questa
vicenda, scoprendo a poco a poco di cosa si trattasse. Vi invitiamo quindi a rivedere tutti i nostri articoli sul tema, perché in queste righe non entreremo molto nel dettaglio.
L’Accordo di Caen e il “Ministero del Mare” del presidente francese Macron
Dopo due anni da quei fatti, come abbiamo detto, la questione del mare torna in auge perché il governo a guida Macron ha creato il “Ministero del Mare” e ha
avviato una procedura richiesta dai trattati europei per il governo
delle politiche della pesca e delle zone economiche speciali.
Ovviamente questo piano di sfruttamento marittimo attuato dalla Francia prevede che i confini marittimi interessati siano quelli dell’Accordo di Caen, discusso fin dal 2006 e firmato dagli allora Ministri degli Esteri Gentiloni e Fabius. Ancora una volta, un’azione del tutto unilaterale della Francia, fortemente interessata a far valere i propri diritti di sfruttamento sulla ZEE, la zona economica esclusiva.
Già da questi fatti si può capire che la storia dell’Accordo di Caen
è vera e che tale accordo ha prodotto poi i sequestri dei pescherecci
liguri e sardi e il divieto ai pescatori italiani di entrare nelle acque
da sempre utilizzate per la pesca di pesce pregiato e ora oggetto di
contesa tra Francia e Italia: il peschereccio ligure “Mina”, ad esempio, fu fermato nelle acque della cosiddetta “fossa del cimitero”, così chiamata perché una volta si identificava allineando la prua della barca alle croci del camposanto di Ospedaletti, e dove i liguri da sempre vanno a pescare i famosi gamberoni rossi di Sanremo.
Cosa c’è che non va nella denuncia popolare di questa vicenda?
Probabilmente, forse per la poca
chiarezza iniziale della vicenda, è passato il messaggio che il mare
italiano fosse stato “svenduto” dall’Italia alla Francia.
In realtà, come ha sempre spiegato il
Governo, tramite Gentiloni e i sottosegretari nelle interrogazioni
parlamentari, e la stessa Farnesina, l’Accordo di Caen si era reso
necessario per “per stabilire dei confini certi alla crescente
proiezione di entrambi i Paesi sulle porzioni di mare ad essi
prospicienti e alla luce della sopravvenute norme della Convenzione
delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS, 1982)”.
Un trattato datato 18 giugno 1892 (la “Convenzione tra Italia e Francia per la delimitazione delle zone di pesca nella baia di Mentone”) era
stato discusso ma anche quello non fu mai ratificato e la ripartizione
territoriale in esso stipulata fu più che altro utilizzata
convenzionalmente. Di fatto, le acque di confine tra Italia e Francia sono state sempre definite come “acque internazionali” e quindi libere e non appartenenti a nessuno Stato.
Nel 1994 l’Italia accolse l’UNCLOS, un Trattato internazionale del 1982 che andò a sostituire il concetto di “libertà dei mari” (secondo
cui i diritti nazionali sul mare di estendevano per tre miglia
nautiche) e introdusse il concetto di sfruttamento esclusivo di ogni
Stato delle risorse naturali e sull’ambiente marittimo.
L’Accordo di Caen,
quindi, non serve soltanto a stabilire linee di confine certe tra Italia
e Francia ma stabilisce anche i diritti di sfruttamento delle risorse
naturali sulla Zona Economica Esclusiva (ZEE) che si
estende per 200 miglia dalla linea di base. Di qui l’ipotesi del
deputato Pili che dietro l’Accordo potesse celarsi un interesse per i
giacimenti di petrolio e gas, interesse che era prevalso su quello dei
pescatori sardi e liguri.
Per quali motivi l’Accordo di Caen è legittimamente criticabile?
Tralasciando la questione dei giacimenti
di gas e petrolio, la quale non sarà sicuramente secondaria ma della
quale non abbiamo al momento certezza, l’Accordo di Caen
è criticabile proprio perché una definizione certa dei confini
marittimi potrebbe portare problemi all’attività ittica dei pescatori
italiani, come ne ha già portati due anni fa.
C’è anche da dire che le zone pescose
del nord Sardegna sono sempre state battute quasi esclusivamente dai
pescherecci italiani e il mare interessato fu sempre considerato
italiano. La Farnesina e il Governo si sono sempre difesi asserendo che l’Accordo di Caen manteneva immutate le zone di pesca congiunta prevista dalla Convenzione italo-francese del 1986 relativa alla delimitazione delle frontiere marittime nell’area delle Bocche di Bonifacio, uno dei pochi trattati in vigore stipulati dalle due controparti.
I pescatori sardi tuttavia rispondono
che queste aree di pesca congiunte, che loro chiamano “pollai”, non sono
sufficienti a tenere in vita la loro attività perché troppo piccole e
troppo poco ricche di pesce. Il pesce più redditizio è presente proprio nelle zone marittime che a causa dell’Accordo di Caen passerebbero alla Francia.
Un altro punto criticabile è senz’altro quello della segretezza. Le trattative che hanno portato alla firma di Caen
si sono svolte tutte in piena segretezza. L’opinione pubblica ne è
venuta a conoscenza solo nel 2016, quando sono stati fermati e
sequestrati i pescherecci di cui abbiamo parlato. Gli stessi pescatori e
tutte le categorie protettive non sono state chiamate in causa durante
la fase di trattativa e il Governo italiano si è basato
soltanto sulle zone di pesca congiunta individuate nelle Convenzioni
precedenti, ma che come abbiamo visto sono poco redditizie per
l’attività ittica. Proprio la segretezza ha fatto sì che i toni della
protesta fossero così accesi.
Proprio per questi motivi l’Accordo di Caen non è un accordo favorevole per l’Italia e non andrebbe ratificato.
Cosa fare quindi?
Qualche irredentista potrebbe dire che
la soluzione più semplice sarebbe annettere la Corsica all’Italia; si
eviterebbero così tutti i problemi. Più realisticamente, innanzitutto
vanno scongiurati i tentativi francesi di rendere effettivo l’Accordo di Caen, cosa che sarà nelle facoltà del prossimo esecutivo italiano.
A questo proposito, la Farnesina, per bocca del ministro plenipotenziario e direttore generale per l’Unione europea Giuseppe Maria Buccino Grimaldi, ha voluto rassicurare:
“I confini marittimi tra Italia e Francia sono immutati. L’ambasciata di Francia a Roma ha riconosciuto che nel corso di una consultazione pubblica sono circolate per errore delle cartine sbagliate. Il trattato di Caen non è stato ratificato dall’Italia.
La Francia ha riconosciuto l’errore e sta rimediando, non c’è nulla di cui preoccuparsi. I contatti tra le parti erano in corso da tempo perché eravamo consapevoli del problema”.
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