Lunedì 19 marzo 4 milioni di padri
separati trascorreranno un’altra festa del papà, in cui non ci sarà
spazio per cioccolatini e bigliettini: per loro - ma solo per chi
riuscirà a ottenerlo - il regalo più grande sarà quello di trascorrere
la giornata insieme al proprio figlio. Sono i papà che ogni giorno, per
anni, lottano in Aula e fuori dai tribunali contro le ex mogli e
compagne - ma anche contro un sistema burocratico lento e contorto - per
non essere tagliati fuori dalla vita dei propri figli.
In strada a Taranto “nel nome dei figli” e dei papà
Ed è per loro, ma non solo, che lunedì
l’associazione “Nel nome dei figli” scenderà per la prima volta in
strada a Taranto per un sit-in davanti al Tribunale civile. “Vogliamo
far capire a chi siede ai piani più alti che attualmente la legge non è
uguale per tutti e che in queste battaglie le prime vittime sono i
bambini che non hanno voce. Eppure se ci mettessimo dalla loro parte
sarebbe tutto più facile”, spiega all’Agi Andrea Balsamo, uno degli
organizzatori dell’evento insieme a Vito Ditaranto, entrambi presidenti
dell’associazione. “Bisognerebbe riformare il diritto di famiglia,
creare un tribunale specifico il cui scopo sarebbe quello di conciliare
per il bene dei bambini. O semplicemente far rispettare le leggi”,
continua Balsamo che denuncia una generale discriminazione in tribunale
nei confronti dei papà.
“La figura genitoriale del padre vale il
20% contro l’80% di quella della madre”. Tuttavia, “la nostra
associazione vuole dare voce non solo ai 4 milioni di papà, ma anche ai 4
milioni di mamme e ai 32 milioni di persone tra genitori, nonni, zii,
fratelli, che ruotano intorno a queste situazioni complesse e che
soffrono. Un messaggio che a giudicare dal numero di donne che hanno
aderito alla manifestazione di lunedì è stato ben recepito”. Le lotte
tra poveri - aggiunge Balsamo - non mi sono piaciute. Ogni padre (o
madre) farebbe qualsiasi cosa pur di trascorrere del tempo con i propri
figli. E pagherebbe qualsiasi prezzo. Questo è un dei motivi per cui le
battaglie durano anni, avanzano a colpi di denunce e di sgarri, perdendo
di vista l’obiettivo principale: il bene del bambino”. Intorno alle
cause per l’affido, spiega l’organizzatore, “c’è un giro di affari che
vale 5 miliardi, tra legali, periti, marche da bollo e tutto il resto.
Gli stessi avvocati - non tutti, ovviamente, ma una buona parte - si
mostrano del tutto interessati a fomentare il disaccordo tra i due
genitori”. Cosa dovrebbe cambiare?
“Le leggi esistono, che vengano rispettate”
L’ultima riforma del diritto di famiglia risale agli anni ’80. Quanto alla “Legge 54 sull'affidamento condiviso”
del 2006 “avrebbe potuto risolvere il problema, ma così non è stato”.
Di fatto “il bambino continua a vivere con la mamma e il papà a vederlo
solo poche ore. Questo non vuol dire ‘affido condiviso’. È vero che la
legge obbliga entrambi i genitori a trovare un accordo sulle decisioni
che riguardano il piccolo, ma per il resto tutto funziona come prima.
Nella maggior parte dei casi, il bimbo vive con la mamma che risulta
essere quasi sempre il ‘genitore collocatario’”. Nel resto dell’Europa -
continua Balsamo - il bambino vive metà del tempo con uno e metà con
l’altro (per chi lo desidera, ovviamente). “L’Italia continua a
rappresentare un’eccezione e a pagare una multa di decine di milioni di
euro ogni anno comminata dalla Corte di Giustizia europea per il
mancato rispetto della legge 54”. Il problema, precisa poi
l’organizzatore, “non è la mancanza di legge: ce ne sono anche troppe,
il problema è che non vengono fatte rispettare”.
Storia di Marco e Davide
Tra i ‘papà guerrieri’ c’è anche Marco
(nome di fantasia, come gli altri della vicenda). Per lui l’incubo
inizia nel 2010, pochi mesi dopo la nascita di suo figlio Davide. Marco è
nato e vive al Nord, nel 2001 sul posto di lavoro conosce Valeria, una
collega separata e con una bambina; i due si innamorano e lui, per il
bene di quella famiglia che vuole costruire, convince la compagna a
trasferirsi al Sud dove vive il papà della piccola. Valeria e sua figlia
fanno le valigie e iniziano una nuova vita, Marco le raggiunge nei fine
settimana appena può. Nel 2009 nasce Davide, il figlio della coppia.
L’anno successivo Marco riesce a ottenere il trasferimento, ma dopo
pochi mesi l’idillio svanisce. La convivenza dura pochissimo e nel giro
di qualche settimana Marco si ritrova fuori casa. Peggio: nei primi sei
mesi di vita del bambino riesce a vedere suo figlio solo per due ore a
settimana.
Così l’uomo decide di rivolgersi a un
avvocato che proverà più volte a raggiungere un accordo con Valeria
senza passare per i tribunali. “Si trattava di accordarci sui giorni in
cui potevo vedere mio figlio e sulla somma del mantenimento. Ma lei non
ha voluto saperne. Aveva già deciso di dichiararmi guerra”, racconta
all’Agi Marco, che vuole restare anonimo. Nei successivi tre anni
Valeria cambierà 15 avvocati e arriverà ad accusare Marco di essere un
alcolista. “Per fortuna sono un donatore di sangue e questo mi ha
aiutato a smantellare velocemente l’accusa”. Storie come queste “sono
all’ordine del giorno”, commenta l’uomo.
Nel 2011 arriva l’ordinanza che riconosce a
Marco il diritto di vedere suo figlio tre volte a settima pur non
potendo ancora dormire con lui. “A quel punto Valeria inizia a
terrorizzare il bambino innescando la classica “sindrome da alienazione genitoriale”
che si manifesta con i tentativi da parte di uno dei due genitori di
allontanare l’altro attraverso frasi tipiche rivolte al minore come
“papa è cattivo”, “mi ha fatto male”, “se vai con papà io piango”. La
mia non è un’interpretazione: lo hanno stabilito i giudici che hanno
disposto una Ctu da cui Valeria è uscita devastata. Ed era evidente
anche osservando il bambino che era restio quando andavo a prenderlo a
casa loro, mentre all’asilo mi correva incontro”. Poco dopo la
situazione degenera. Nell’estate del 2012 Marco passa a prendere suo
figlio per una vacanza a due, Valeria si innervosisce, tra i due scoppia
una discussione e lei inizia a picchiarlo. “Mi hanno dato 22 giorni di
prognosi. Ma la cosa che più mi dispiace è che è successo davanti al
bambino”.
A quel punto Marco denuncia l’ex compagna.
Il tribunale sospende la podestà genitoriale della donna per 4 mesi, e
da allora Marco vede Davide con regolarità. “Questo dimostra che se la
giustizia interviene nel modo giusto, le cose cambiano”, commenta
l’uomo.“A breve sono in attesa di giudizio per l’aggressione, ma parto
dal presupposto che lei verrà assolta. L’avessi fatto io sarei stato in
carcere da allora”. Per combattere la battaglia più importante della sua
vita, Marco ha speso finora 50mila euro. “Non ne faccio una questione
di soldi, ma non è normale, indica che qualcosa non va in questo
sistema. Senza contare che non tutti possono permetterselo”.
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