giovedì 8 marzo 2018

Delocalizzazione delle imprese italiane: triste fenomeno in crescita

Il fenomeno della delocalizzazione delle imprese italiane, diventa sempre più frequente; infatti il numero delle partecipazioni all’estero delle aziende è aumentato dal 2009 al 2015 del 12,7%. Con tale termine si intende l’amara e molto criticabile scelta di grandi e piccoli gruppi industriali che decidono di trasferire la loro produzione dal territorio nazionale in altri Paesi, ove il costo del lavoro è più basso anche del 75% rispetto alla paga di un lavoratore italiano.
Strutture quali: fabbriche, impianti produttivi, call center e molto altro vengono trasferiti principalmente verso l’Est Europa, nella fascia del Maghreb, in Sud America e Cina, dove il mercato del lavoro non presenta alcun tipo di regolamentazione imprenditoriale e poco a livello sindacale, diminuendo notevolmente le opportunità per i cittadini italiani ed Europei.
Questo rappresenta un ulteriore disagio e paradosso per i lavoratori italiani, che per decenni hanno lottato per la dignità ed il riconoscimento dei loro diritti lavorativi e che attualmente, oltre a vederli cancellati, dovrebbero comprare beni e servizi da quei paesi che non li considerano neppure lontanamente.
Tra gli stabilimenti che da alcuni anni hanno trasferito all’estero le attività, è necessario ricordare Fiat, Geox, Bialetti, Omsa, Benetton, Calzedonia, Stefanel. Citiamo inoltre il settore delle telecomunicazioni, dove spiccano Telecom Italia, Wind, Vodafone, Sky Italia.
Il caso più lampante e triste di un’azienda che in questi giorni (1) freme per andarsene e dichiarare lo stato di crisi, riguarda l’Embraco, produttrice di compressori per frigoriferi, con sede a Chieri (Torino), di proprietà del colosso Whirpool, che mirerebbe a cancellare con un colpo di spugna i suoi 500 dipendenti. Eppure, l’azienda non ha debiti con le banche, dal 2012 al 2016 ha raddoppiato gli utili e il costo degli operai (per un colosso simile) è di 26 milioni di euro, che rappresentano solo il 7% del fatturato totale.
La Slovacchia è vista come una sorta di “miraggio” per diminuire ulteriormente anche questi. Cosa si può fare concretamente per arginare questo fenomeno che mette in serio pericolo la stabilità e la dignità del lavoratore italiano?
Richiedere innanzitutto prevalentemente alle imprese che intendono trasferire all’estero il lavoro, la restituzione dei contributi e delle agevolazioni, da esse ottenuti, dallo Stato e dagli enti locali. E soprattutto agire sulle coscienze imprenditoriali al fine di riconoscere il valore del lavoro umano, contrapposto al profitto finalizzato a se stesso.

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