Una settimana dopo gli eventi che il 13 novembre scorso hanno scosso
la capitale francese e il mondo intero, la popolazione parigina cerca
timidamente di ritornare alla normalità. Ma a ricordare l’eccezionalità
della situazione che vive la Francia in questo momento, un’enorme
operazione militare scatta mercoledì 16 novembre nelle prime ore del
giorno, nel pieno centro di Saint Denis. Questa cittadina della prima
periferia industriale alle porte di Parigi spesso accostata al termine
dispregiativo di “banlieue”, ospita tra le altre cose lo Stade de
France, obiettivo di alcuni degli attacchi suicidi della scorsa
settimana.
Un’azione di polizia, definita di “rara violenza” da Le Figaro, è intervenuta per disintegrare una cellula jihadista che sarebbe al centro dell’organizzazione degli attentati di Parigi reclamati dall’ISIS. Come confermato dal procuratore di Parigi François Molins questo “assalto di estrema difficoltà”, coordinato dalla sotto direzione antiterrorismo della polizia giudiziaria, è cominciato alle ore 4.20 e continuato per più di sette ore durante le quali oltre cinquemila colpi sono stati sparati dalle forze dell’ordine. Quest’azione di “guerra urbana”, che ha portato all’uccisione di tre terroristi, tra i quali l’ideatore degli attentati del 13 novembre Abdelhamid Abaadou, ha scatenato il panico tra gli abitanti di Saint Denis, svegliati in piena notte da esplosioni, raffiche di armi da fuoco, e dalle sirene dei mezzi di polizia. L’idea che comincia a circolare nelle lunghe ore della notte di mercoledì è quella di un nuovo attacco terroristico, notizia immediatamente smentita dalle fonti ufficiali che annunciano inoltre sette domande di custodia cautelare e numerosi indagati.
Il livello di tensione e di sconforto resta molto alto tra la popolazione di Saint Denis. La presenza di una cellula terrorista pronta a pianificare un nuovo attacco ha sconvolto gli abitanti di questa città vivace e cosmopolita, dove differenti comunità convivono da sempre. La condanna unanime a questo nuovo tipo di radicalizzazione lascia trasparire una punta di timore. Alcune delle testimonianze raccolte comparano la paura generata da questi eventi con la stagione del terrorismo islamista in Algeria negli anni ’90, vissuta da molti degli abitanti di Saint Denis poi venuti a rifugiarsi in quello che oggi è diventato il loro “nuovo” paese. Una situazione che colpisce in maniera trasversale e indiscriminata tutta la società, francesi e stranieri, cristiani, ebrei o musulmani: tutti sono potenziali vittime di questa nuova minaccia terrorista contro la quale la Francia è in guerra.
Il termine guerra è sempre più adatto a descrivere la situazione politica che caratterizza la Francia in questa settimana post attentati. La decretazione dello stato d’emergenza durante il Consiglio dei Ministri immediatamente successivo agli eventi del 13 novembre ha esteso ampiamente i poteri dell’apparato di sicurezza su tutto il territorio nazionale. Dall’entrata in vigore dello stato d’emergenza, dichiara il ministro dell’interno Bernard Cazeneuve, le forze di sicurezza hanno potuto procedere a oltre 793 perquisizioni domiciliari che hanno portato al sequestro di 174 armi di cui 18 armi da guerra. Oltre 90 sospetti sono stati messi in custodia cautelare nel corso di un’enorme inchiesta che conferma la tendenza della modalità d’azione vista a nell’incursione di Saint Denis. La “guerra al terrorismo” dichiarata da Hollande si apre quindi su più fronti, mettendo il presidente al centro del dibattito sia in Francia che all’estero. Sul fronte interno, la chiusura delle frontiere e l’estensione per via legislativa dello stato d’emergenza sono misure che mettono in evidenza la volontà del governo di dialogare con le opposizioni parlamentari nella gestione della crisi. Il richiamo di Hollande all’unità nazionale, espresso a suon di marsigliese al parlamento riunito in seduta comune nella sala del Congresso a Versailles, dimostra la volontà del presidente di ricostruire intorno a sé un’ampia base a sostegno del suo mandato.
Il presidente ha in questo senso incaricato il primo ministro Manuel Valls di proporre un progetto di riforma costituzionale dello stato d’emergenza da approvare con il ricorso alla maggioranza qualificata di tre quinti, ciò che impone la ricerca del più ampio sostegno nell’emiciclo. Una sorta di “compromesso storico”, quello cercato da Hollande, che non corrisponde ai progetti politici di Sarkozy e Marine Le Pen, aspiranti presidenti della République alle prossime elezioni del 2017.
Nel corso della settimana, il clima d’intesa raggiunto tra le maggiori forze politiche sul prolungamento dello stato d’urgenza, permette una rapida navette tra Assemblea Nazionale e Senato, con l’approvazione di un testo di legge, che prevede tra l’altro delle misure temporanee sul controllo delle frontiere e sul porto d’armi degli agenti di pubblica sicurezza quando non in servizio. Ma la scadenza delle elezioni regionali, previste in Francia i primi giorni di dicembre interviene pesantemente in un dibattito che mantiene forti toni da campagna elettorale. Il leitmotiv dell’opposizione, riproposto della destra neogollista di Sarkozy, è quello del fallimento della politica della presidenza di Hollande in materia di sicurezza del paese e di lotta anche internazionale al terrorismo di matrice ISIS.
Già ideologo della soluzione militare in Libia nel 2011, Nicolas Sarkozy sostiene da qualche tempo la necessità di riaprire il canale diplomatico con Mosca, al fine di costituire una coalizione internazionale per intervenire nel conflitto siriano. La decisione di Hollande di rafforzare il dispositivo militare francese in Siria e di rilanciare il dialogo internazionale sulla questione, può essere considerata come una reazione che si avvicina profondamente alle posizioni della destra di Sarkozy e dei suoi elettori. Il presidente ha rafforzato i
bombardamenti dell’aviazione francese su obiettivi strategici situati nella zona Raqqa, capitale dell’ISIS in territorio siriano. Inoltre, Il prossimo arrivo al largo delle coste siriane della portaerei Charles De Gaulle permetterà alla Francia di triplicare la capacità di fuoco nel quadrante sud est del mediterraneo, confermando la determinazione francese nella sua azione di “guerra”.
Ma nella guerra al terrorismo già dichiarata dal presidente Hollande in Sahel e in Siria, il fronte “interno” rappresenta una dimensione inedita. Una questione da porsi è quella del costo, non solo politico ma anche economico di questa guerra, considerando come anche la Francia sia alle prese con una difficile ripresa e conti che non tornano. Il Ministro delle Finanze Michel Sapin annuncia in previsione un incremento della spesa per la difesa e la sicurezza nazionale per un totale di 1,2 miliardi di euro considerando i costi determinati dall’aumento delle operazioni militari dell’esercito francese in Siria. Un’ora di volo di un caccia Rafale è stata stimata in circa 40 mila euro e un’azione tipo di bombardamento come quello svolto a Raqqa all’indomani degli attentati può costare al contribuente francese più di 2,4 milioni di euro. In questi termini, il Front National di Marine Le Pen che esulta alla decisione della chiusura delle frontiere francesi, si oppone all’intervento in Siria chiamandosi fuori da una guerra che “Sarkozy voleva e che Hollande farà” e
contraria agli interessi dei francesi.
Lo scenario politico che si è aperto all’indomani degli attentati di Parigi lascia parecchi dubbi sulla modalità di coordinamento dell’intervento internazionale in territorio siriano nel prossimo periodo. Nel versante della politica interna è certo che il tema politico della guerra al terrorismo rappresenterà un elemento importante della prossima campagna presidenziale. Il destino politico di Hollande è legato ormai alla sua capacità di gestire la situazione di crisi e di raggiungere il suo obiettivo dichiarato: distruggere l’ISIS.
Un’azione di polizia, definita di “rara violenza” da Le Figaro, è intervenuta per disintegrare una cellula jihadista che sarebbe al centro dell’organizzazione degli attentati di Parigi reclamati dall’ISIS. Come confermato dal procuratore di Parigi François Molins questo “assalto di estrema difficoltà”, coordinato dalla sotto direzione antiterrorismo della polizia giudiziaria, è cominciato alle ore 4.20 e continuato per più di sette ore durante le quali oltre cinquemila colpi sono stati sparati dalle forze dell’ordine. Quest’azione di “guerra urbana”, che ha portato all’uccisione di tre terroristi, tra i quali l’ideatore degli attentati del 13 novembre Abdelhamid Abaadou, ha scatenato il panico tra gli abitanti di Saint Denis, svegliati in piena notte da esplosioni, raffiche di armi da fuoco, e dalle sirene dei mezzi di polizia. L’idea che comincia a circolare nelle lunghe ore della notte di mercoledì è quella di un nuovo attacco terroristico, notizia immediatamente smentita dalle fonti ufficiali che annunciano inoltre sette domande di custodia cautelare e numerosi indagati.
Il livello di tensione e di sconforto resta molto alto tra la popolazione di Saint Denis. La presenza di una cellula terrorista pronta a pianificare un nuovo attacco ha sconvolto gli abitanti di questa città vivace e cosmopolita, dove differenti comunità convivono da sempre. La condanna unanime a questo nuovo tipo di radicalizzazione lascia trasparire una punta di timore. Alcune delle testimonianze raccolte comparano la paura generata da questi eventi con la stagione del terrorismo islamista in Algeria negli anni ’90, vissuta da molti degli abitanti di Saint Denis poi venuti a rifugiarsi in quello che oggi è diventato il loro “nuovo” paese. Una situazione che colpisce in maniera trasversale e indiscriminata tutta la società, francesi e stranieri, cristiani, ebrei o musulmani: tutti sono potenziali vittime di questa nuova minaccia terrorista contro la quale la Francia è in guerra.
Il termine guerra è sempre più adatto a descrivere la situazione politica che caratterizza la Francia in questa settimana post attentati. La decretazione dello stato d’emergenza durante il Consiglio dei Ministri immediatamente successivo agli eventi del 13 novembre ha esteso ampiamente i poteri dell’apparato di sicurezza su tutto il territorio nazionale. Dall’entrata in vigore dello stato d’emergenza, dichiara il ministro dell’interno Bernard Cazeneuve, le forze di sicurezza hanno potuto procedere a oltre 793 perquisizioni domiciliari che hanno portato al sequestro di 174 armi di cui 18 armi da guerra. Oltre 90 sospetti sono stati messi in custodia cautelare nel corso di un’enorme inchiesta che conferma la tendenza della modalità d’azione vista a nell’incursione di Saint Denis. La “guerra al terrorismo” dichiarata da Hollande si apre quindi su più fronti, mettendo il presidente al centro del dibattito sia in Francia che all’estero. Sul fronte interno, la chiusura delle frontiere e l’estensione per via legislativa dello stato d’emergenza sono misure che mettono in evidenza la volontà del governo di dialogare con le opposizioni parlamentari nella gestione della crisi. Il richiamo di Hollande all’unità nazionale, espresso a suon di marsigliese al parlamento riunito in seduta comune nella sala del Congresso a Versailles, dimostra la volontà del presidente di ricostruire intorno a sé un’ampia base a sostegno del suo mandato.
Il presidente ha in questo senso incaricato il primo ministro Manuel Valls di proporre un progetto di riforma costituzionale dello stato d’emergenza da approvare con il ricorso alla maggioranza qualificata di tre quinti, ciò che impone la ricerca del più ampio sostegno nell’emiciclo. Una sorta di “compromesso storico”, quello cercato da Hollande, che non corrisponde ai progetti politici di Sarkozy e Marine Le Pen, aspiranti presidenti della République alle prossime elezioni del 2017.
Nel corso della settimana, il clima d’intesa raggiunto tra le maggiori forze politiche sul prolungamento dello stato d’urgenza, permette una rapida navette tra Assemblea Nazionale e Senato, con l’approvazione di un testo di legge, che prevede tra l’altro delle misure temporanee sul controllo delle frontiere e sul porto d’armi degli agenti di pubblica sicurezza quando non in servizio. Ma la scadenza delle elezioni regionali, previste in Francia i primi giorni di dicembre interviene pesantemente in un dibattito che mantiene forti toni da campagna elettorale. Il leitmotiv dell’opposizione, riproposto della destra neogollista di Sarkozy, è quello del fallimento della politica della presidenza di Hollande in materia di sicurezza del paese e di lotta anche internazionale al terrorismo di matrice ISIS.
Già ideologo della soluzione militare in Libia nel 2011, Nicolas Sarkozy sostiene da qualche tempo la necessità di riaprire il canale diplomatico con Mosca, al fine di costituire una coalizione internazionale per intervenire nel conflitto siriano. La decisione di Hollande di rafforzare il dispositivo militare francese in Siria e di rilanciare il dialogo internazionale sulla questione, può essere considerata come una reazione che si avvicina profondamente alle posizioni della destra di Sarkozy e dei suoi elettori. Il presidente ha rafforzato i
bombardamenti dell’aviazione francese su obiettivi strategici situati nella zona Raqqa, capitale dell’ISIS in territorio siriano. Inoltre, Il prossimo arrivo al largo delle coste siriane della portaerei Charles De Gaulle permetterà alla Francia di triplicare la capacità di fuoco nel quadrante sud est del mediterraneo, confermando la determinazione francese nella sua azione di “guerra”.
Ma nella guerra al terrorismo già dichiarata dal presidente Hollande in Sahel e in Siria, il fronte “interno” rappresenta una dimensione inedita. Una questione da porsi è quella del costo, non solo politico ma anche economico di questa guerra, considerando come anche la Francia sia alle prese con una difficile ripresa e conti che non tornano. Il Ministro delle Finanze Michel Sapin annuncia in previsione un incremento della spesa per la difesa e la sicurezza nazionale per un totale di 1,2 miliardi di euro considerando i costi determinati dall’aumento delle operazioni militari dell’esercito francese in Siria. Un’ora di volo di un caccia Rafale è stata stimata in circa 40 mila euro e un’azione tipo di bombardamento come quello svolto a Raqqa all’indomani degli attentati può costare al contribuente francese più di 2,4 milioni di euro. In questi termini, il Front National di Marine Le Pen che esulta alla decisione della chiusura delle frontiere francesi, si oppone all’intervento in Siria chiamandosi fuori da una guerra che “Sarkozy voleva e che Hollande farà” e
contraria agli interessi dei francesi.
Lo scenario politico che si è aperto all’indomani degli attentati di Parigi lascia parecchi dubbi sulla modalità di coordinamento dell’intervento internazionale in territorio siriano nel prossimo periodo. Nel versante della politica interna è certo che il tema politico della guerra al terrorismo rappresenterà un elemento importante della prossima campagna presidenziale. Il destino politico di Hollande è legato ormai alla sua capacità di gestire la situazione di crisi e di raggiungere il suo obiettivo dichiarato: distruggere l’ISIS.
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