venerdì 19 giugno 2015

Pd, la playstation si è impallata

«Non si è rotto niente, tanto meno l’inesistente patto della play­sta­tion: com’è noto quando abbiamo gio­cato alla play­sta­tion fra me e Renzi si è con­su­mato il momento di mas­simo con­flitto». Prova a but­tarla in bat­tuta il pre­si­dente del Pd Mat­teo Orfini quando gli si chiede del gelo sceso fra lui e Mat­teo Renzi sul caso Roma. Ma, messo da parte il malu­more, anche lui si sta pre­pa­rando a mol­lare il sin­daco Marino? Qui la rispo­sta si fa seria. «Valu­te­remo tutti insieme dopo la rela­zione del pre­fetto Franco Gabrielli. A quel punto si farà una veri­fica poli­tica. Se Marino è in grado di rilan­ciare il governo di Roma, andrà avanti. Ma su que­ste cose mi rifiuto di fare bat­tute. Non è solo un pro­blema di stile. Il governo della Capi­tale è una cosa seria». È un giu­di­zio secco sul segretario.
Il tema, però, ormai sul tavolo del Naza­reno. Il pre­fetto potrebbe deci­dere entro una set­ti­mana. Orfini è sicuro che non pro­porrà lo scio­gli­mento del Cam­pi­do­glio per mafia. Quindi è solo que­stione di tempo, ma per la per­ma­nenza di Marino alla guida della Capi­tale ormai è scat­tato un conto alla rove­scia. Sarà dif­fi­cile fer­marlo. Il pre­si­dente però nega. «Marino non resta o va via per­ché lo decide Orfini o Renzi, la sua fonte di legit­ti­ma­zione sono i cit­ta­dini che lo hanno votato ed eletto»; «Il Pd non ha mol­lato Marino, che ha vinto le pri­ma­rie, è stato eletto dai cit­ta­dini, e ha il dovere di gover­nare que­sta città»; «Renzi ha detto chia­ra­mente a Marino: dicci se te la senti. E io credo che sia un dovere rac­co­gliere que­sta sfida», argo­menta in mat­ti­nata nella con­fe­renza stampa della festa del Pd di Roma. Che ini­zia il 19 con la rela­zione sullo stato del par­tito romano di Fabri­zio Barca. Il 21 poi ospite d’onore sarà il sin­daco, e lì, all’applausometro, si sen­tirà il polso della base Pd.
Invece nel Tran­sa­tlan­tico della camera tira tutta un’altra aria fra i gio­vani tur­chi, i com­pa­gni del pre­si­dente. Con­se­gnare Roma a un com­mis­sa­rio «è una fol­lia» è la sen­tenza che cir­cola a mezza bocca. E sta­volta non si tratta solo di quelli che ormai Renzi chiama «i Fas­sina e i D’Attorre», eleg­gendo i due dis­sen­zienti a una cate­go­ria poli­tica e forse anche dello spi­rito. A non con­di­vi­dere la linea auto­sfa­sci­sta di Renzi sta­volta è un pezzo della mag­gio­ranza Pd e pre­ci­sa­mente la sini­stra ren­zi­sta che turan­dosi il naso ha soste­nuto il segre­ta­rio nelle indi­ge­ri­bili cro­ciate del jobs act, delle riforme, dell’Italicum. Che ha difeso regole delle pri­ma­rie indi­fen­di­bili e che ora improv­vi­sa­mente Renzi rot­tama senza nean­che peri­tarsi di dira­mare il con­tror­dine. A onor di cro­naca il primo a dare un segnale di indi­pen­denza, se non di insof­fe­renza, era stato il mini­stro Andrea Orlando. All’indomani della scon­fitta delle regio­nali liguri sul Cor­sera aveva par­lato di «supe­ra­mento del par­tito della nazione», «un’idea ambi­gua, addi­rit­tura peri­co­losa». Ora il ben­ser­vito a Marino, pro­nun­ciato da Renzi all’improvviso, nelle stesse ore in cui Orfini era impe­gnato a ras­si­cu­rare il sin­daco — molto agi­tato — ha peg­gio­rato la situa­zione. E forse potreb­bero cam­biare la geo­gra­fia interna del Pd.
Renzi ha in mente una road map: come Pene­lope, disfare la tela fati­co­sa­mente tes­suta dal com­mis­sa­rio Orfini in que­sti mesi, sfi­du­ciare Marino, con­se­gnare la città al pre­fetto nel momento dell’organizzazione del Giu­bi­leo, e arri­vare al voto in pri­ma­vera insieme alle altre grandi città (Milano, Torino, Genova, Napoli, Cagliari). Per que­sto meglio divor­ziare subito da Marino che dai giorni dei nuovi arre­sti non è riu­scito nean­che a riu­nire la sua mag­gio­ranza, incerto su come affron­tare il ter­re­moto del Pd romano. Per far sal­tare la giunta c’è chi con­fida nelle fibril­la­zioni di Sel: il par­tito di Ven­dola ieri ha tenuto un’assemblea aperta con i suoi con­si­glieri comu­nali e oggi riu­nirà i diri­genti romani. Il clima fra gli elet­tori di sini­stra del sin­daco è pes­simo.
Al momento del voto, poi, dio vedrà e prov­ve­derà: cioè Renzi. Potrebbe sce­gliere, sta­volta senza pri­ma­rie, fra lo stesso Gabrielli o il ren­ziano ati­pico (e radi­cale) Gia­chetti, per ora reni­tente alla leva. Insomma, que­sto sarebbe il piano per sal­vare Roma autoaf­fon­dan­dosi in Cam­pi­do­glio. Che però in molti defi­ni­scono «una fol­lia», «un rega­lone a Grillo».

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