Molti commenti, in questi giorni, si concentrano sull’atteggiamento
ricattatorio del presidente del consiglio Matteo Renzi: o il disegno di
legge la Buona scuola diventa legge oppure non ci sarà l’assunzione dei
centomila precari. Sinceramente non capisco dove sia la novità: è da
settembre che il piccolo duce fiorentino ricatta il mondo della scuola e
cerca di dividere i docenti precari tra i sommersi e i salvati, tra chi verrà assunto nella nuova scuola azienda e chi verrà espulso o relegato a una condizione di paria.
La disonestà, il malaffare e l’azzardo sono il marchio di fabbrica del renzismo. Le assunzioni sono sempre state il ricatto politico-morale da utilizzare con l’opinione pubblica e da brandire come un martello contro gli insegnanti al motto di “divede et impera”. Le assunzioni servono per coprire i posti vacanti e sono un diritto acquisito dai lavoratori, come sancito dall’Unione europea, ma il piazzista di Palazzo Chigi cerca di venderle come un atto di generosità e di bontà dell’esecutivo.
Il movimento contro la cattiva scuola è stato bravo, in questi mesi (leggi anche La forza del movimento della scuola, ndr), a rimanere sostanzialmente unito e a non cedere ai pacchiani giochi di prestigio di Renzi I il ricattatore. Ora però siamo al momento cruciale della battaglia: nonostante gli scioperi, le manifestazioni, gli atti di disobbedienza, l’opposizione della società civile e le critiche unanime tutti i professionisti del settore, il governo sembra intenzionato a mettere la fiducia sul disegno di legge, mostrando ancora una volta il suo disprezzo per il Parlamento, tipico di tutte le culture politiche autoritarie. Per questo dobbiamo, ora più che mai, stringere i tenti e continuare la mobilitazione: la scuola statale con tutti i suoi limiti è rimasto l’ultimo grande spazio pubblico democratico del nostro Paese, un luogo orizzontale laico di emancipazione, che va irrobustito in ottica di libertà e uguaglianza e non piegato alle logiche padronali e di mercato. Confindustria e Renzi vogliono una la scuola che formi lavoratori al servizio delle imprese (Lea Melandri, tra gli altri, parla di logica aziendale, ndr). Noi, invece, vogliamo una scuola indipendente che formi cittadini autonomi e liberi.
La disonestà, il malaffare e l’azzardo sono il marchio di fabbrica del renzismo. Le assunzioni sono sempre state il ricatto politico-morale da utilizzare con l’opinione pubblica e da brandire come un martello contro gli insegnanti al motto di “divede et impera”. Le assunzioni servono per coprire i posti vacanti e sono un diritto acquisito dai lavoratori, come sancito dall’Unione europea, ma il piazzista di Palazzo Chigi cerca di venderle come un atto di generosità e di bontà dell’esecutivo.
Il movimento contro la cattiva scuola è stato bravo, in questi mesi (leggi anche La forza del movimento della scuola, ndr), a rimanere sostanzialmente unito e a non cedere ai pacchiani giochi di prestigio di Renzi I il ricattatore. Ora però siamo al momento cruciale della battaglia: nonostante gli scioperi, le manifestazioni, gli atti di disobbedienza, l’opposizione della società civile e le critiche unanime tutti i professionisti del settore, il governo sembra intenzionato a mettere la fiducia sul disegno di legge, mostrando ancora una volta il suo disprezzo per il Parlamento, tipico di tutte le culture politiche autoritarie. Per questo dobbiamo, ora più che mai, stringere i tenti e continuare la mobilitazione: la scuola statale con tutti i suoi limiti è rimasto l’ultimo grande spazio pubblico democratico del nostro Paese, un luogo orizzontale laico di emancipazione, che va irrobustito in ottica di libertà e uguaglianza e non piegato alle logiche padronali e di mercato. Confindustria e Renzi vogliono una la scuola che formi lavoratori al servizio delle imprese (Lea Melandri, tra gli altri, parla di logica aziendale, ndr). Noi, invece, vogliamo una scuola indipendente che formi cittadini autonomi e liberi.
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