Prima di tutto, onore ad Augusto Lodolini e al suo articolo di
venerdì scorso, capace di spezzare la convenzione del silenzio attorno
allo stato di salute di Deutsche Bank. Lo affianco, spero non se ne
dispiacerà, in questa battaglia (che tra l’altro porto avanti da un po’
di tempo) e vado un po’ oltre: Deutsche Bank rischia di essere la
prossima Lehman Brothers? Siamo di fronte a un altro déjà vu sui mercati
finanziari dopo quello di Pimco della scorsa settimana, quando ha
annunciato che, come nel 2011, ha scaricato la gran parte delle sue
detenzioni di Treasuries? Quello che si sta consumando nel silenzio, è
un déjà vu del 2008 che potenzialmente potrebbe devastare l’eurozona in
due giorni e i mercati finanziari in una settimana?
Partiamo da principio, ovvero dalla madre di tutti i crolli: Lehman Brothers. Il cui collasso nel settembre di sette anni fa stupì tutti per due particolari: la velocità con cui avvenne e il silenzio che lo coprì fino agli atti finali. In pochi, infatti, prima del patatrac erano a conoscenza della reale situazione del gigante di Wall Street. Certamente lo erano gli insiders, tanto che Goldman Sachs piazzò contro Lehman una scommessa che in gergo fu denominata “The big short” (da cui il titolo del libro bestseller di Michael Lewis) e David Einhorn, con il suo Greenlight Capital, diede vita a un attacco ribassista in stile Enron, ma per il resto, silenzio. E anche durante l’estate del 2007, quando il mercato subprime cominciò a incagliarsi e nel mese di agosto quello della commercial paper vide la liquidità evaporare rapidamente e il finanziamento per tutti i tipi di asset-backed securiries si prosciugò, nessuno pensava che Lehman potesse essere la vittima sacrificale. E questo durò fino alla fine 2007.
Probabilmente la prima indicazione pubblica di difficoltà arrivò il 9 giugno del 2008, quando Fitch taglio il rating di Lehman ad AA- con outlook negativo, di fatto preannunciando un altro possibile downgrade. Solo tre mesi dopo, Lehman annunciò perdite record e finì in bancarotta, con le immagini dei dipendenti che abbandonavano la sede con i cartoni in mano che fecero il giro del mondo. Ora veniamo al potenziale déjà vu, il quale se dovesse accadere - ma non succederà - come nel caso di Lehman paleserà la gravità della propria situazione soltanto all’ultimo, quando la velocità degli eventi sarà incontrollabile e in continua accelerazione.
I segnali, come abbiamo visto, nei casi di crisi serie non arrivano con largo anticipo. A meno che, non si voglia interpretare come tali una serie di fatti accaduti in un arco temporale che nel nostro caso limiteremo agli ultimi quindici mesi. Nell’aprile del 2014 Deutsche Bank fu obbligata a racimolare 1,5 miliardi addizioni di capitale Tier 1 in supporto alla propria struttura di capitale. Perché? Non si sa. Un mese dopo, a maggio, la ricerca di liquidità sembrò proseguire, visto che Deutsche Bank annunciò la vendita di titoli per un controvalore di 8 miliardi di euro al 30% di sconto sul valore facciale, con il mercato che già oggi valorizza il titolo DB al 50% del suo capitale: perché? Non si sa.
Veniamo poi a quest’anno, per l’esattezza al mese di marzo quando Deutsche Bank fallì gli stress test dell’industria bancaria e la sua struttura di capitale fu messa nel mirino dei regolatori. Ma sui media, poco e niente, soprattutto nessuna domanda storica. In aprile, poi, Deutsche Bank confermò il proprio via libera a un accordo con le autorità di Usa e Gran Bretagna legato allo scandalo della manipolazione del Libor, pagando al Dipartimento della Giustizia statunitense 2,1 miliardi di dollari (poco o niente, rispetto a quanto quella manipolazione aveva fatto guadagnare alla banca), dopo aver già speso nei tre anni precedenti 7,1 miliardi di euro per chiudere contenziosi legali vari.
In maggio, poi, uno dei dirigenti principali di Deutsche Bank, il Ceo Anshu Jain, ottenne una serie di deleghe strategiche da parte del board dell’istituto: una mossa legata alla crisi in atto, visto che solitamente scelte simili nelle grandi aziende si prendono come decisioni emergenziali? Il 5 giugno la Grecia non ripagò il proprio debito verso il Fmi: implicazioni per Deutsche Bank? Per quanto ne si sa no, visto che quanto andava fatto verso il debito di Atene fu fatto nella prima fase della crisi, quando Angela Merkel guadagnò tempo per salvare le sue banche e da allora l’esposizione degli istituti teutonici ai cosiddetti Piigs è diminuita moltissimo, in alcuni casi azzerata. Stando a dati della Banca per i regolamenti internazionali, alla fine del primo trimestre del 2011 le banche tedesche erano esposte alla Grecia per 234,8 miliardi, con Deutsche Bank a quota 2,5 miliardi, ma, stando alla Reuters, oggi la sua esposizione sarebbe di circa 300 milioni, briciole insomma. Perché allora tra il 6 e il 7 giugno scorsi - ovvero sabato e domenica (le decisioni prese nel weekend puzzano sempre di crisi o emergenza) e subito dopo il mancato pagamento della Grecia al Fmi - due Ceo della banca, lo stesso Anshu Jain e Jurgen Fitschen, annunciarono a sorpresa il loro addio all’azienda? Il primo lascerà Deutsche Bank a fine giugno e solo un mese dopo aver ottenuto nuove deleghe e l’espansione dei propri poteri, il secondo invece abbandonerà il prossimo maggio.
Veniamo poi al 9 giugno, quando Standard&Poor’s ha tagliato il rating di Deutsche Bank a BBB+, solo tre gradini sopra il “junk” e un livello più basso del downgrade patito da Lehman solo tre mesi prima di fallire. E sempre il 9 giugno scorso, le autorità giudiziarie hanno avviato una perquisizione nella sede centrale di Francoforte dell’istituto. Gli inquirenti stanno cercando le prove di una presunta truffa fiscale miliardaria operata da alcuni clienti dell’istituto, che non coinvolgerebbe al momento dipendenti della banca, ha precisato la stessa Deutsche Bank. Al centro delle indagini, stando ad alcune indiscrezioni della Bild, ci sarebbero operazioni di compravendita di azioni col fine di frodare il fisco: le indagini sarebbero partite dal caso di un avvocato fiscalista di Hessen e perquisizioni sarebbero state effettuate anche nelle filiali dell’istituto di credito tedesco a Parigi e Londra.
In seguito alla notizia, il titolo di Deutsche Bank quotato alla borsa di Francoforte ha ceduto oltre il 2%, portando il prezzo di ogni singola azione sotto quota 28 euro. Solo una serie di segnali, nulla più, ma messi in fila e contestualizzati appaiono un po’ inquietanti. Tanto più che Deutsche Bank, negli anni, per mantenere i margini non ha solo erogato credito e gestito il risparmio, ma ha operato su asset classes più rischiose, esattamente come le altre grandi banche. Peccato che lo abbia fatto in maniera spropositata, visto che come mostra il grafico a fondo pagina Deutsche Bank siede su scommesse legate ai derivati per un controvalore di 55 triliardi di euro (75 triliardi di dollari), venti volte il Pil della Germania e cinque triliardi di dollari più dell’esposizione di JP Morgan!
Con un’esposizione simile, anche mosse relativamente limitate e contenute di mercato possono tramutarsi in perdite enormi: e di fronte a noi abbiamo non solo la Grecia, ma il Qe della Bce che perde colpi e soprattutto la Fed con la minaccia di rialzo dei tassi, la quale già oggi ha innescato il suo tantrum sui mercati emergenti, da cui gli investitori in dollari stanno scappando a gambe levate come non si vedeva dal 2008-2009.
Ora, però, mettiamo un po’ d’ordine. Quei 54,7 trilioni di euro rappresentano l’esposizione lorda, quindi il dato va ridimensionato visto che il mercato dei derivati - a differenza di quello azionario - è di fatto a somma zero, dato che per ciascuna posizione long esiste un posizione short uguale e contraria con il medesimo sottostante e la medesima scadenza. Quella massa spropositata lorda, ci dice quindi che Deutsche Bank è una banca specializzata sui mercati dei derivati, ovvero opera come market-maker su molti mercati dei derivati ed è leader nell’essere “primary dealer”, ovvero fornisce interconnessione diretta e deposito per moltissimi broker. Insomma, non esattamente il modo di fare banca sobrio e dai conti in ordine che la Bundesbank e Wolfgang Schaeuble ci propinano a ogni discorso ma poco male, la coerenza è dote rara anche in Germania.
Per capire il vero rischio di mercato è necessario andare a vedere l’esposizione netta, ovvero azzerando le posizioni uguali e contrarie, per ciascuna classe di derivati, su ciascuna scadenza e fare le somme. In base ai dati dell’ultimo bilancio, emerge che Deutsche Bank è esposta al mercato per 504,6 miliardi di euro in posizioni long e per 487 miliardi di euro in posizioni short, per un totale di 991,6 miliardi di euro. Al netto di questo dato, sicuramente a Deutsche Bank va tutto bene, ma rimane comunque un senso di agitazione addosso pensando al controvalore delle scommesse in atto sui derivati, visto che se anche il dato dei 55 triliardi di euro appare “fasullo” come market-risk a garanzia di quello reale di 991,6 miliardi ci sono circa 522 miliardi di depositi, in continuo calo e con turbolenze che possono innescare margin calls in ogni attimo.
La domanda finale è: come mai questa accelerazione della crisi greca e l’irrigidimento del Fmi dopo che la pantomima sul debito è andata avanti per anni? Il mancato pagamento del 5 giugno ha segnato il passo della trattativa? Perché allora accettare che tutti i pagamenti di giugno fossero accorpati nella data del 30 prossimo? Non è che Bce, Fmi e Ue hanno qualcosa di più urgente e importante da affrontare? Non è che un po’ di turbolenza sui mercati offerta da showdown greco e timore della Fed servirà a coprire perdite e deleverage forzato da parte della più grande banche tedesca, senza far insospettire i mercati globali sul suo stato di salute?
Certamente no. Ma il senso di timore resta. Visto che, oltretutto, giova ricordare alla signora Merkel e all’inflessibile Schaeuble che il sistema bancario tedesco è già stato salvato una volta con soldi europei, al pari di quello spagnolo, mentre quello italiano - in crisi, provinciale, schiacciato dalle sofferenze e dall’esposizione ai titoli di Stato quanto si vuole - no. Abbiamo già pagato, il problema è che se succede qualcosa di serio a Deutsche Bank non si tratterà più di indire una riunione in sede Ue e versare nuovi fondi d’emergenza: sarà la catastrofe sui mercati finanziari e dei derivati. E, di fatto, la fine dell’eurozona e un colpo mortale alla Bce, attraverso Target2. Speriamo davvero che tutti questi indizi messi in fila, non facciano una prova reale.
P.S.: Oggi potrebbe essere un giorno fondamentale per la Grecia, quasi una prova generale di cosa potrebbe essere il "Grexit" se le pessime notizie giunte venerdì da parte del Fmi verranno prezzate dai mercati, soprattutto per quanto riguarda le obbligazioni delle banche elleniche. Ieri, però, si è aperto uno spiraglio. Christine Lagarde, numero uno proprio del Fmi, ha dichiarato che i prestiti verso l'Ucraina proseguiranno anche dopo un possibile default del Paese. Direte voi, cosa c'entra Kiev con Atene? Come ha ottenuto questa benevolenza da parte di Washington (al netto dei buoni uffici di George Soros) l'Ucraina? Vedendosi confiscare mesi fa come garanzia le riserve auree. E come mostra questo grafico ) Atene ha 112,5 tonnellate d'oro di riserve nazionali: che dite, resteranno elleniche ancora per molto? Alla fine, penso che Alexis Tsipras opterà per il male minore, vendendo al popolo la formula della cessione unicamente a garanzia e potendo così portare avanti ancora per un po' le sue politiche ideologiche e fallimentari, evitando il voto anticipato. E il "Grexit" potrebbe sparire dai radar delle sale trading. Ancora per un po', almeno.
Partiamo da principio, ovvero dalla madre di tutti i crolli: Lehman Brothers. Il cui collasso nel settembre di sette anni fa stupì tutti per due particolari: la velocità con cui avvenne e il silenzio che lo coprì fino agli atti finali. In pochi, infatti, prima del patatrac erano a conoscenza della reale situazione del gigante di Wall Street. Certamente lo erano gli insiders, tanto che Goldman Sachs piazzò contro Lehman una scommessa che in gergo fu denominata “The big short” (da cui il titolo del libro bestseller di Michael Lewis) e David Einhorn, con il suo Greenlight Capital, diede vita a un attacco ribassista in stile Enron, ma per il resto, silenzio. E anche durante l’estate del 2007, quando il mercato subprime cominciò a incagliarsi e nel mese di agosto quello della commercial paper vide la liquidità evaporare rapidamente e il finanziamento per tutti i tipi di asset-backed securiries si prosciugò, nessuno pensava che Lehman potesse essere la vittima sacrificale. E questo durò fino alla fine 2007.
Probabilmente la prima indicazione pubblica di difficoltà arrivò il 9 giugno del 2008, quando Fitch taglio il rating di Lehman ad AA- con outlook negativo, di fatto preannunciando un altro possibile downgrade. Solo tre mesi dopo, Lehman annunciò perdite record e finì in bancarotta, con le immagini dei dipendenti che abbandonavano la sede con i cartoni in mano che fecero il giro del mondo. Ora veniamo al potenziale déjà vu, il quale se dovesse accadere - ma non succederà - come nel caso di Lehman paleserà la gravità della propria situazione soltanto all’ultimo, quando la velocità degli eventi sarà incontrollabile e in continua accelerazione.
I segnali, come abbiamo visto, nei casi di crisi serie non arrivano con largo anticipo. A meno che, non si voglia interpretare come tali una serie di fatti accaduti in un arco temporale che nel nostro caso limiteremo agli ultimi quindici mesi. Nell’aprile del 2014 Deutsche Bank fu obbligata a racimolare 1,5 miliardi addizioni di capitale Tier 1 in supporto alla propria struttura di capitale. Perché? Non si sa. Un mese dopo, a maggio, la ricerca di liquidità sembrò proseguire, visto che Deutsche Bank annunciò la vendita di titoli per un controvalore di 8 miliardi di euro al 30% di sconto sul valore facciale, con il mercato che già oggi valorizza il titolo DB al 50% del suo capitale: perché? Non si sa.
Veniamo poi a quest’anno, per l’esattezza al mese di marzo quando Deutsche Bank fallì gli stress test dell’industria bancaria e la sua struttura di capitale fu messa nel mirino dei regolatori. Ma sui media, poco e niente, soprattutto nessuna domanda storica. In aprile, poi, Deutsche Bank confermò il proprio via libera a un accordo con le autorità di Usa e Gran Bretagna legato allo scandalo della manipolazione del Libor, pagando al Dipartimento della Giustizia statunitense 2,1 miliardi di dollari (poco o niente, rispetto a quanto quella manipolazione aveva fatto guadagnare alla banca), dopo aver già speso nei tre anni precedenti 7,1 miliardi di euro per chiudere contenziosi legali vari.
In maggio, poi, uno dei dirigenti principali di Deutsche Bank, il Ceo Anshu Jain, ottenne una serie di deleghe strategiche da parte del board dell’istituto: una mossa legata alla crisi in atto, visto che solitamente scelte simili nelle grandi aziende si prendono come decisioni emergenziali? Il 5 giugno la Grecia non ripagò il proprio debito verso il Fmi: implicazioni per Deutsche Bank? Per quanto ne si sa no, visto che quanto andava fatto verso il debito di Atene fu fatto nella prima fase della crisi, quando Angela Merkel guadagnò tempo per salvare le sue banche e da allora l’esposizione degli istituti teutonici ai cosiddetti Piigs è diminuita moltissimo, in alcuni casi azzerata. Stando a dati della Banca per i regolamenti internazionali, alla fine del primo trimestre del 2011 le banche tedesche erano esposte alla Grecia per 234,8 miliardi, con Deutsche Bank a quota 2,5 miliardi, ma, stando alla Reuters, oggi la sua esposizione sarebbe di circa 300 milioni, briciole insomma. Perché allora tra il 6 e il 7 giugno scorsi - ovvero sabato e domenica (le decisioni prese nel weekend puzzano sempre di crisi o emergenza) e subito dopo il mancato pagamento della Grecia al Fmi - due Ceo della banca, lo stesso Anshu Jain e Jurgen Fitschen, annunciarono a sorpresa il loro addio all’azienda? Il primo lascerà Deutsche Bank a fine giugno e solo un mese dopo aver ottenuto nuove deleghe e l’espansione dei propri poteri, il secondo invece abbandonerà il prossimo maggio.
Veniamo poi al 9 giugno, quando Standard&Poor’s ha tagliato il rating di Deutsche Bank a BBB+, solo tre gradini sopra il “junk” e un livello più basso del downgrade patito da Lehman solo tre mesi prima di fallire. E sempre il 9 giugno scorso, le autorità giudiziarie hanno avviato una perquisizione nella sede centrale di Francoforte dell’istituto. Gli inquirenti stanno cercando le prove di una presunta truffa fiscale miliardaria operata da alcuni clienti dell’istituto, che non coinvolgerebbe al momento dipendenti della banca, ha precisato la stessa Deutsche Bank. Al centro delle indagini, stando ad alcune indiscrezioni della Bild, ci sarebbero operazioni di compravendita di azioni col fine di frodare il fisco: le indagini sarebbero partite dal caso di un avvocato fiscalista di Hessen e perquisizioni sarebbero state effettuate anche nelle filiali dell’istituto di credito tedesco a Parigi e Londra.
In seguito alla notizia, il titolo di Deutsche Bank quotato alla borsa di Francoforte ha ceduto oltre il 2%, portando il prezzo di ogni singola azione sotto quota 28 euro. Solo una serie di segnali, nulla più, ma messi in fila e contestualizzati appaiono un po’ inquietanti. Tanto più che Deutsche Bank, negli anni, per mantenere i margini non ha solo erogato credito e gestito il risparmio, ma ha operato su asset classes più rischiose, esattamente come le altre grandi banche. Peccato che lo abbia fatto in maniera spropositata, visto che come mostra il grafico a fondo pagina Deutsche Bank siede su scommesse legate ai derivati per un controvalore di 55 triliardi di euro (75 triliardi di dollari), venti volte il Pil della Germania e cinque triliardi di dollari più dell’esposizione di JP Morgan!
Con un’esposizione simile, anche mosse relativamente limitate e contenute di mercato possono tramutarsi in perdite enormi: e di fronte a noi abbiamo non solo la Grecia, ma il Qe della Bce che perde colpi e soprattutto la Fed con la minaccia di rialzo dei tassi, la quale già oggi ha innescato il suo tantrum sui mercati emergenti, da cui gli investitori in dollari stanno scappando a gambe levate come non si vedeva dal 2008-2009.
Ora, però, mettiamo un po’ d’ordine. Quei 54,7 trilioni di euro rappresentano l’esposizione lorda, quindi il dato va ridimensionato visto che il mercato dei derivati - a differenza di quello azionario - è di fatto a somma zero, dato che per ciascuna posizione long esiste un posizione short uguale e contraria con il medesimo sottostante e la medesima scadenza. Quella massa spropositata lorda, ci dice quindi che Deutsche Bank è una banca specializzata sui mercati dei derivati, ovvero opera come market-maker su molti mercati dei derivati ed è leader nell’essere “primary dealer”, ovvero fornisce interconnessione diretta e deposito per moltissimi broker. Insomma, non esattamente il modo di fare banca sobrio e dai conti in ordine che la Bundesbank e Wolfgang Schaeuble ci propinano a ogni discorso ma poco male, la coerenza è dote rara anche in Germania.
Per capire il vero rischio di mercato è necessario andare a vedere l’esposizione netta, ovvero azzerando le posizioni uguali e contrarie, per ciascuna classe di derivati, su ciascuna scadenza e fare le somme. In base ai dati dell’ultimo bilancio, emerge che Deutsche Bank è esposta al mercato per 504,6 miliardi di euro in posizioni long e per 487 miliardi di euro in posizioni short, per un totale di 991,6 miliardi di euro. Al netto di questo dato, sicuramente a Deutsche Bank va tutto bene, ma rimane comunque un senso di agitazione addosso pensando al controvalore delle scommesse in atto sui derivati, visto che se anche il dato dei 55 triliardi di euro appare “fasullo” come market-risk a garanzia di quello reale di 991,6 miliardi ci sono circa 522 miliardi di depositi, in continuo calo e con turbolenze che possono innescare margin calls in ogni attimo.
La domanda finale è: come mai questa accelerazione della crisi greca e l’irrigidimento del Fmi dopo che la pantomima sul debito è andata avanti per anni? Il mancato pagamento del 5 giugno ha segnato il passo della trattativa? Perché allora accettare che tutti i pagamenti di giugno fossero accorpati nella data del 30 prossimo? Non è che Bce, Fmi e Ue hanno qualcosa di più urgente e importante da affrontare? Non è che un po’ di turbolenza sui mercati offerta da showdown greco e timore della Fed servirà a coprire perdite e deleverage forzato da parte della più grande banche tedesca, senza far insospettire i mercati globali sul suo stato di salute?
Certamente no. Ma il senso di timore resta. Visto che, oltretutto, giova ricordare alla signora Merkel e all’inflessibile Schaeuble che il sistema bancario tedesco è già stato salvato una volta con soldi europei, al pari di quello spagnolo, mentre quello italiano - in crisi, provinciale, schiacciato dalle sofferenze e dall’esposizione ai titoli di Stato quanto si vuole - no. Abbiamo già pagato, il problema è che se succede qualcosa di serio a Deutsche Bank non si tratterà più di indire una riunione in sede Ue e versare nuovi fondi d’emergenza: sarà la catastrofe sui mercati finanziari e dei derivati. E, di fatto, la fine dell’eurozona e un colpo mortale alla Bce, attraverso Target2. Speriamo davvero che tutti questi indizi messi in fila, non facciano una prova reale.
P.S.: Oggi potrebbe essere un giorno fondamentale per la Grecia, quasi una prova generale di cosa potrebbe essere il "Grexit" se le pessime notizie giunte venerdì da parte del Fmi verranno prezzate dai mercati, soprattutto per quanto riguarda le obbligazioni delle banche elleniche. Ieri, però, si è aperto uno spiraglio. Christine Lagarde, numero uno proprio del Fmi, ha dichiarato che i prestiti verso l'Ucraina proseguiranno anche dopo un possibile default del Paese. Direte voi, cosa c'entra Kiev con Atene? Come ha ottenuto questa benevolenza da parte di Washington (al netto dei buoni uffici di George Soros) l'Ucraina? Vedendosi confiscare mesi fa come garanzia le riserve auree. E come mostra questo grafico ) Atene ha 112,5 tonnellate d'oro di riserve nazionali: che dite, resteranno elleniche ancora per molto? Alla fine, penso che Alexis Tsipras opterà per il male minore, vendendo al popolo la formula della cessione unicamente a garanzia e potendo così portare avanti ancora per un po' le sue politiche ideologiche e fallimentari, evitando il voto anticipato. E il "Grexit" potrebbe sparire dai radar delle sale trading. Ancora per un po', almeno.
Nessun commento:
Posta un commento