Quale immagine rimarrà dell’Unione europea, in seguito alla crisi
greca? Infatti, qualunque sarà l’esito di questa crisi, che si risolva
in un default greco e una possibile uscita dalla zona euro, con il
riconoscimento che la posizione della Grecia è ben fondata e con una
gestione politica del debito, oppure in una capitolazione del governo
greco, le conseguenze di questa crisi sull’Unione europea e sulla sua
immagine saranno molto profonde. La crisi farà piena luce sull’opacità
del processo decisionale sia della UE che dell’Eurogruppo che della
Banca centrale europea. Metterà in evidenza il carattere antidemocratico
di molte di queste decisioni e la profonda avversione alla sovranità
dei popoli. L’Unione europea, senza rendersene conto, portando avanti
l’equivalente di una dottrina della “sovranità limitata”, ha assunto il
ruolo della defunta Unione Sovietica. Quale che sia l’esito di questa
crisi, quindi, il suo impatto sull’immagine della UE sarà disastroso.
Il mancato dialogo e le sue ragioni.
Le condizioni di gestione della crisi sono state disastrose, ma è un disastro di cui la Commissione europea ha la piena responsabilità. Dopo l’avvento al potere del nuovo governo greco (governo di coalizione tra SYRIZA i separatisti di ANEL), era chiaro che il quadro dei negoziati non avrebbe potuto essere quello del “memorandum”. Questo fatto è stato negato dai negoziatori dell’Eurogruppo, che hanno sempre cercato di riportare il governo greco in un contesto che quest’ultimo aveva respinto. La Commissione europea, e le varie “istituzioni” europee, hanno finto di credere che il negoziato vertesse sulla quantità degli aiuti, mentre il governo greco proponeva di superare questa logica degli aiuti e affrontare politicamente il problema del debito, come era stato fatto nel 1953 con il debito della Germania. Questo rifiuto da parte della Commissione di intendere quanto veniva detto dal governo greco ha portato alla trasformazione di questi negoziati in quel che il ministro delle Finanze greco, il sig Yanis Varoufakis, una “guerra”. Come c’era da attendersi, ciò ha determinato un irrigidimento della posizione greca. Oggi c’è un’alleanza de facto della sinistra di SYRIZA con i sovranisti di ANEL, alleanza che condiziona in gran parte l’atteggiamento del primo ministro Alexis Tsipras.
Se oggi siamo sull’orlo di un precipizio, è in gran parte perché l’Unione europea ha perseguito in questi negoziati degli obiettivi anch‘essi politici: piegare la Grecia al fine di garantire che una messa in discussione del quadro dell’austerità voluta dalla Germania e dai paesi che hanno accettato il ruolo di vassalli di quest‘ultima, e qui dobbiamo parlare di Spagna, Francia e Italia, non possa avvenire con mezzi democratici. A poco a poco, nella primavera del 2015, è così diventato chiaro che ciò che l’Unione europea stava perseguendo non era un accordo con la Grecia, ma la resa totale del governo greco. Qualunque sia l’esito finale di questi “negoziati”, i popoli europei comprenderanno quindi che da parte di Bruxelles c‘è stata solo mala fede, e che il signor Juncker pensava solo a una pace cartaginese.
Da questo punto di vista, e questo ha un enorme importanza, l’Unione europea ha perso la battaglia dell’immagine. Si è mostrata per quel che è: una struttura oppressiva e repressiva, profondamente antidemocratica. La reputazione della UE è ormai compromessa a causa del suo comportamento in relazione alla Grecia.
L’Unione europea per quello che è.
L’Unione europea è stata presentata come una costruzione nuova, né un “super-Stato”, né una semplice associazione. Affermando perentoriamente, per bocca del signor Barroso, che l’Unione europea è un progetto “sui generis” (1), i leader europei si sono esonerati da ogni controllo democratico e così hanno seppellito il principio della sovranità nazionale, ma senza sostituirlo con un altro principio. E’ il Re in tutta la sua nudità. Ciò è stato ribadito, più brutalmente, da Jean-Claude Juncker, il successore dell’ineffabile Barroso a capo della Commissione europea: “Non ci può essere scelta democratica contro i trattati europei”. Questa dichiarazione rivelatrice risale alle elezioni greche del 25 gennaio 2015, che avevano visto la vittoria di Syriza. In poche parole, è stato detto tutto.
Il diritto costituzionale, cioè le norme con le quali ci diamo delle regole per organizzare la nostra vita di comunità, di solito si concentra sulla questione della sovranità. Ora, è proprio questa questione che gli oligarchi di Bruxelles e Francoforte vorrebbero far scomparire. Abbiamo visto lo schema messo a punto, consciamente o inconsciamente, a Bruxelles, e che rivela come, sia il discorso di Barroso che la dichiarazione di Juncker non abbiano altro scopo che quello di escludere la sovranità e lasciare i leader della UE senza controllo democratico sulle loro azioni. Ma la dichiarazione di Juncker si spinge ancora oltre. Toglie a un paese il diritto di contestare le decisioni adottate nei trattati. Oggi siamo nel contesto di una nuova “sovranità limitata”.
Queste parole riprendono l’approccio dell’Unione Sovietica nei confronti dei paesi dell’Europa orientale nel 1968, in occasione dell’intervento del Patto di Varsavia a Praga. Mostrano di considerare i paesi membri dell’Unione europea come colonie, o più precisamente come dei “protettorati” nell’ambito del Commonwealth, la cui sovranità era soggetta a quella della metropoli (la Gran Bretagna). Tranne che in questo caso non c’è metropoli. L’Unione europea sarebbe un sistema coloniale, senza metropoli. E, forse, è solo un colonialismo per procura. Dietro la figura di un‘Europa presunta unita, ma che ora è in realtà divisa nei fatti dalle istituzioni europee, si profila la figura degli Stati Uniti, paese a cui Bruxelles continua a cedere, come si è visto nella questione del trattato transatlantico o TAFTA (ora ribattezzato TTIP, ndt), o nella crisi ucraina.
Riconquistare la sovranità, ricostruire lo Stato, rifondare la democrazia.
Questa rivelazione della vera natura dell’Unione europea ha portato alcuni autori a paragonarla ad un “fascismo morbido“. Laurent de Sutter, professore di diritto e direttore alla Presses Universitaires de France, dà anche questa spiegazione: “Questo delirio diffuso che mostrano le autorità europee, deve essere messo in discussione. Perché si svolge così spudoratamente davanti ai nostri occhi? Perché si continua a fingere di trovare delle ragioni, quando queste ragioni non hanno più alcun significato – sono solo parole vuote, slogan falsi dalla logica incoerente? La risposta è semplice: si tratta di fascismo. Si tratta di darsi una copertura ideologica puramente convenzionale, un discorso a cui si fa finta di aderire, per poi, in verità, fare un’altra cosa“.
E’ quindi necessario trarne tutte le conseguenze, anche se la formula del “fascismo morbido” potrebbe risultare scioccante. Oggi è ormai chiaro che la lotta per recuperare la sovranità è un requisito essenziale. Potremo discutere di questioni importanti solo una volta che la sovranità verrà ristabilita e lo Stato ricostruito. È per questo che dobbiamo accogliere la decisione, anche se appare molto tardiva, di Jean-Pierre Chevènement di lasciare il Mouvement Républicain et Citoyen, MRC (da lui fondato), per collocarsi all’interno di uno spazio di dibattito che trascenda “... le sensibilità storiche, perché altrimenti la Francia non si rimetterà in moto“.
E’ ormai chiaro che le differenze non si faranno più su un asse “destra-sinistra”, almeno fino a quando la questione della sovranità non sarà risolta. “Non vi è di irrimediabile che la perdita dello stato”, aveva detto Enrico IV. (2) Quando fece questa dichiarazione davanti ai giudici di Rouen, in quanto il Parlamento all’epoca era un‘assemblea di giudici, egli voleva far comprendere che un interesse più elevato si imponeva al di sopra degli interessi particolari e che il perseguimento da parte dei singoli individui dei propri legittimi scopi non dovrebbe avvenire a spese dell’obiettivo comune della vita sociale. Ristabilendo il senso della nazione, egli pose fine alla guerra civile. Oggi noi siamo a questo punto. Possiamo rammaricarcene, ma dobbiamo prenderne atto, e trarne le necessarie conseguenze.
Dunque oggi è chiaro che dovrebbe delinearsi un fronte unito di sovranisti. Contrariamente a quello che si pensa, non si tratta di una formula semplice. Come ogni fronte unito, non vuole essere una formula magica che produca una unanimità artificiale, ma uno strumento tattico in vista di un obiettivo politico preciso. Sarà opportuno, alla fine, che si distinguano bene le critiche che potranno essere fatte all’interno di questo fronte, da quelle che dovremmo riservare ai nostri nemici.
Il mancato dialogo e le sue ragioni.
Le condizioni di gestione della crisi sono state disastrose, ma è un disastro di cui la Commissione europea ha la piena responsabilità. Dopo l’avvento al potere del nuovo governo greco (governo di coalizione tra SYRIZA i separatisti di ANEL), era chiaro che il quadro dei negoziati non avrebbe potuto essere quello del “memorandum”. Questo fatto è stato negato dai negoziatori dell’Eurogruppo, che hanno sempre cercato di riportare il governo greco in un contesto che quest’ultimo aveva respinto. La Commissione europea, e le varie “istituzioni” europee, hanno finto di credere che il negoziato vertesse sulla quantità degli aiuti, mentre il governo greco proponeva di superare questa logica degli aiuti e affrontare politicamente il problema del debito, come era stato fatto nel 1953 con il debito della Germania. Questo rifiuto da parte della Commissione di intendere quanto veniva detto dal governo greco ha portato alla trasformazione di questi negoziati in quel che il ministro delle Finanze greco, il sig Yanis Varoufakis, una “guerra”. Come c’era da attendersi, ciò ha determinato un irrigidimento della posizione greca. Oggi c’è un’alleanza de facto della sinistra di SYRIZA con i sovranisti di ANEL, alleanza che condiziona in gran parte l’atteggiamento del primo ministro Alexis Tsipras.
Se oggi siamo sull’orlo di un precipizio, è in gran parte perché l’Unione europea ha perseguito in questi negoziati degli obiettivi anch‘essi politici: piegare la Grecia al fine di garantire che una messa in discussione del quadro dell’austerità voluta dalla Germania e dai paesi che hanno accettato il ruolo di vassalli di quest‘ultima, e qui dobbiamo parlare di Spagna, Francia e Italia, non possa avvenire con mezzi democratici. A poco a poco, nella primavera del 2015, è così diventato chiaro che ciò che l’Unione europea stava perseguendo non era un accordo con la Grecia, ma la resa totale del governo greco. Qualunque sia l’esito finale di questi “negoziati”, i popoli europei comprenderanno quindi che da parte di Bruxelles c‘è stata solo mala fede, e che il signor Juncker pensava solo a una pace cartaginese.
Da questo punto di vista, e questo ha un enorme importanza, l’Unione europea ha perso la battaglia dell’immagine. Si è mostrata per quel che è: una struttura oppressiva e repressiva, profondamente antidemocratica. La reputazione della UE è ormai compromessa a causa del suo comportamento in relazione alla Grecia.
L’Unione europea per quello che è.
L’Unione europea è stata presentata come una costruzione nuova, né un “super-Stato”, né una semplice associazione. Affermando perentoriamente, per bocca del signor Barroso, che l’Unione europea è un progetto “sui generis” (1), i leader europei si sono esonerati da ogni controllo democratico e così hanno seppellito il principio della sovranità nazionale, ma senza sostituirlo con un altro principio. E’ il Re in tutta la sua nudità. Ciò è stato ribadito, più brutalmente, da Jean-Claude Juncker, il successore dell’ineffabile Barroso a capo della Commissione europea: “Non ci può essere scelta democratica contro i trattati europei”. Questa dichiarazione rivelatrice risale alle elezioni greche del 25 gennaio 2015, che avevano visto la vittoria di Syriza. In poche parole, è stato detto tutto.
Il diritto costituzionale, cioè le norme con le quali ci diamo delle regole per organizzare la nostra vita di comunità, di solito si concentra sulla questione della sovranità. Ora, è proprio questa questione che gli oligarchi di Bruxelles e Francoforte vorrebbero far scomparire. Abbiamo visto lo schema messo a punto, consciamente o inconsciamente, a Bruxelles, e che rivela come, sia il discorso di Barroso che la dichiarazione di Juncker non abbiano altro scopo che quello di escludere la sovranità e lasciare i leader della UE senza controllo democratico sulle loro azioni. Ma la dichiarazione di Juncker si spinge ancora oltre. Toglie a un paese il diritto di contestare le decisioni adottate nei trattati. Oggi siamo nel contesto di una nuova “sovranità limitata”.
Queste parole riprendono l’approccio dell’Unione Sovietica nei confronti dei paesi dell’Europa orientale nel 1968, in occasione dell’intervento del Patto di Varsavia a Praga. Mostrano di considerare i paesi membri dell’Unione europea come colonie, o più precisamente come dei “protettorati” nell’ambito del Commonwealth, la cui sovranità era soggetta a quella della metropoli (la Gran Bretagna). Tranne che in questo caso non c’è metropoli. L’Unione europea sarebbe un sistema coloniale, senza metropoli. E, forse, è solo un colonialismo per procura. Dietro la figura di un‘Europa presunta unita, ma che ora è in realtà divisa nei fatti dalle istituzioni europee, si profila la figura degli Stati Uniti, paese a cui Bruxelles continua a cedere, come si è visto nella questione del trattato transatlantico o TAFTA (ora ribattezzato TTIP, ndt), o nella crisi ucraina.
Riconquistare la sovranità, ricostruire lo Stato, rifondare la democrazia.
Questa rivelazione della vera natura dell’Unione europea ha portato alcuni autori a paragonarla ad un “fascismo morbido“. Laurent de Sutter, professore di diritto e direttore alla Presses Universitaires de France, dà anche questa spiegazione: “Questo delirio diffuso che mostrano le autorità europee, deve essere messo in discussione. Perché si svolge così spudoratamente davanti ai nostri occhi? Perché si continua a fingere di trovare delle ragioni, quando queste ragioni non hanno più alcun significato – sono solo parole vuote, slogan falsi dalla logica incoerente? La risposta è semplice: si tratta di fascismo. Si tratta di darsi una copertura ideologica puramente convenzionale, un discorso a cui si fa finta di aderire, per poi, in verità, fare un’altra cosa“.
E’ quindi necessario trarne tutte le conseguenze, anche se la formula del “fascismo morbido” potrebbe risultare scioccante. Oggi è ormai chiaro che la lotta per recuperare la sovranità è un requisito essenziale. Potremo discutere di questioni importanti solo una volta che la sovranità verrà ristabilita e lo Stato ricostruito. È per questo che dobbiamo accogliere la decisione, anche se appare molto tardiva, di Jean-Pierre Chevènement di lasciare il Mouvement Républicain et Citoyen, MRC (da lui fondato), per collocarsi all’interno di uno spazio di dibattito che trascenda “... le sensibilità storiche, perché altrimenti la Francia non si rimetterà in moto“.
E’ ormai chiaro che le differenze non si faranno più su un asse “destra-sinistra”, almeno fino a quando la questione della sovranità non sarà risolta. “Non vi è di irrimediabile che la perdita dello stato”, aveva detto Enrico IV. (2) Quando fece questa dichiarazione davanti ai giudici di Rouen, in quanto il Parlamento all’epoca era un‘assemblea di giudici, egli voleva far comprendere che un interesse più elevato si imponeva al di sopra degli interessi particolari e che il perseguimento da parte dei singoli individui dei propri legittimi scopi non dovrebbe avvenire a spese dell’obiettivo comune della vita sociale. Ristabilendo il senso della nazione, egli pose fine alla guerra civile. Oggi noi siamo a questo punto. Possiamo rammaricarcene, ma dobbiamo prenderne atto, e trarne le necessarie conseguenze.
Dunque oggi è chiaro che dovrebbe delinearsi un fronte unito di sovranisti. Contrariamente a quello che si pensa, non si tratta di una formula semplice. Come ogni fronte unito, non vuole essere una formula magica che produca una unanimità artificiale, ma uno strumento tattico in vista di un obiettivo politico preciso. Sarà opportuno, alla fine, che si distinguano bene le critiche che potranno essere fatte all’interno di questo fronte, da quelle che dovremmo riservare ai nostri nemici.
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