L’Italia ha “una pressione fiscale difficilmente tollerabile.
L’affannata ricerca di risultati si è tradotta, tra il 2008 e il 2014,
nell’adozione di oltre 700 misure di intervento in materia fiscale, di
aggravio o di sgravio del prelievo.”. È la denuncia della Corte dei
Conti in occasione del giudizio sul rendiconto generale dello Stato
2014. La pressione fiscale è stata nel 2014 pari al 43,5% del Pil, 1,7
punti in più sulla media Ue.
Anche a causa delle troppe tasse, l’economia italiana, ma anche quella europea, sono in una fase di “ristagno, stagnazione”. L’Italia si colloca ormai ai vertici mondiali per carico fiscale, sia sulle famiglie sia sulle imprese. Se nei prossimi anni l’Italia non cambia passo, il futuro non promette bene.
“Al termine del 2014, la pressione fiscale è stata pari al 43,5%, di poco più elevata di quella del 2013 (43,4%) soprattutto per il maggior gettito delle imposte indirette. L’aumento è dovuto, pressoché esclusivamente, alla componente di competenza delle amministrazioni locali. Al riguardo, va evidenziato che la pressione fiscale continua a rimanere elevata nel confronto internazionale, con un divario, che permane nel 2014, di 1,7 punti percentuali di prodotto rispetto alla media degli altri Paesi dell’area euro.
Difficilmente il sistema economico potrebbe sopportare ulteriori aumenti della pressione fiscale. Prioritaria appare, semmai, la necessità di un intervento di segno opposto, volto a restituire capacità di spesa a famiglie e imprese. Una direzione effettivamente intrapresa nel corso del 2014, con i provvedimenti volti a ridurre il cuneo fiscale sul costo del lavoro. Rientra fra questi, nelle intenzioni del Governo, il bonus erogato alle famiglie, che le regole contabili hanno però portato a iscrivere come maggiore spesa per prestazioni sociali. Certamente a riduzione del cuneo vanno le misure di esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile IRAP e di decontribuzione per i nuovi assunti, che costituiscono punti qualificanti della legge di stabilità 2015. La contemporanea azione sui redditi delle famiglie e sui costi delle imprese punta a rilanciare la domanda aggregata, sostenendo i consumi delle prime e la competitività delle seconde: impulsi che potranno trovare alimento addizionale in un contesto di recupero già avviato della congiuntura, favorendo quell’ambiente macroeconomico espansivo che è indispensabile per un effettivo allentamento della pressione fiscale. Ma se la prospettiva di una pressione fiscale che resti sull’attuale elevato livello appare difficilmente tollerabile, anche sul fronte della spesa i margini d’azione sono meno ampi di quanto la percezione comune ritiene. Le stesse analisi condotte per la Relazione oggi resa pubblica confermano la difficoltà di realizzare pienamente il programma di spending review, a motivo degli ampi risparmi già conseguiti per le componenti più flessibili (redditi da lavoro e consumi intermedi) e per il permanere di un elevato grado di rigidità nella dinamica delle prestazioni sociali.
Gli obiettivi di razionalizzazione degli enti pubblici statali e di riduzione dei loro costi di funzionamento sono targets ormai ricorrenti da quasi un quindicennio, anche se assumono un rilievo più pronunciato in una fase di riequilibrio strutturale dei conti pubblici. Un’indagine, effettuata dalla Corte, ha evidenziato la sussistenza di 320 soggetti pubblici, comunque denominati, istituiti, controllati e finanziati dai ministeri e 165 fra loro hanno comportato, un onere finanziario, per lo Stato, ammontante a circa 25 miliardi per il 2013 e a 20 miliardi per il 2014. La Corte ha, altresì, evidenziato come la spesa per il personale di tali enti sia sensibilmente superiore rispetto a quella dei ministeri.
In definitiva, un deciso intervento su tutta la spesa pubblica improduttiva potrà consentire quella riduzione e il riequilibrio della pressione fiscale, a livello statale e locale, di cui, da più parti, si reclama la necessità”.
Anche a causa delle troppe tasse, l’economia italiana, ma anche quella europea, sono in una fase di “ristagno, stagnazione”. L’Italia si colloca ormai ai vertici mondiali per carico fiscale, sia sulle famiglie sia sulle imprese. Se nei prossimi anni l’Italia non cambia passo, il futuro non promette bene.
“Al termine del 2014, la pressione fiscale è stata pari al 43,5%, di poco più elevata di quella del 2013 (43,4%) soprattutto per il maggior gettito delle imposte indirette. L’aumento è dovuto, pressoché esclusivamente, alla componente di competenza delle amministrazioni locali. Al riguardo, va evidenziato che la pressione fiscale continua a rimanere elevata nel confronto internazionale, con un divario, che permane nel 2014, di 1,7 punti percentuali di prodotto rispetto alla media degli altri Paesi dell’area euro.
Difficilmente il sistema economico potrebbe sopportare ulteriori aumenti della pressione fiscale. Prioritaria appare, semmai, la necessità di un intervento di segno opposto, volto a restituire capacità di spesa a famiglie e imprese. Una direzione effettivamente intrapresa nel corso del 2014, con i provvedimenti volti a ridurre il cuneo fiscale sul costo del lavoro. Rientra fra questi, nelle intenzioni del Governo, il bonus erogato alle famiglie, che le regole contabili hanno però portato a iscrivere come maggiore spesa per prestazioni sociali. Certamente a riduzione del cuneo vanno le misure di esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile IRAP e di decontribuzione per i nuovi assunti, che costituiscono punti qualificanti della legge di stabilità 2015. La contemporanea azione sui redditi delle famiglie e sui costi delle imprese punta a rilanciare la domanda aggregata, sostenendo i consumi delle prime e la competitività delle seconde: impulsi che potranno trovare alimento addizionale in un contesto di recupero già avviato della congiuntura, favorendo quell’ambiente macroeconomico espansivo che è indispensabile per un effettivo allentamento della pressione fiscale. Ma se la prospettiva di una pressione fiscale che resti sull’attuale elevato livello appare difficilmente tollerabile, anche sul fronte della spesa i margini d’azione sono meno ampi di quanto la percezione comune ritiene. Le stesse analisi condotte per la Relazione oggi resa pubblica confermano la difficoltà di realizzare pienamente il programma di spending review, a motivo degli ampi risparmi già conseguiti per le componenti più flessibili (redditi da lavoro e consumi intermedi) e per il permanere di un elevato grado di rigidità nella dinamica delle prestazioni sociali.
Gli obiettivi di razionalizzazione degli enti pubblici statali e di riduzione dei loro costi di funzionamento sono targets ormai ricorrenti da quasi un quindicennio, anche se assumono un rilievo più pronunciato in una fase di riequilibrio strutturale dei conti pubblici. Un’indagine, effettuata dalla Corte, ha evidenziato la sussistenza di 320 soggetti pubblici, comunque denominati, istituiti, controllati e finanziati dai ministeri e 165 fra loro hanno comportato, un onere finanziario, per lo Stato, ammontante a circa 25 miliardi per il 2013 e a 20 miliardi per il 2014. La Corte ha, altresì, evidenziato come la spesa per il personale di tali enti sia sensibilmente superiore rispetto a quella dei ministeri.
In definitiva, un deciso intervento su tutta la spesa pubblica improduttiva potrà consentire quella riduzione e il riequilibrio della pressione fiscale, a livello statale e locale, di cui, da più parti, si reclama la necessità”.