In
attesa di veder districata la matassa tra “governo a tempo”, “governo
di scopo”, “governo istituzionale”, “governo tecnico”, “governo delle
astensioni” sembra proprio il caso di fissare alcuni punti fermi, in
questa crisi infinita del sistema politico italiano che è prima di tutto
crisi di consenso, di autorevolezza e di cultura politica:
1) La strada del “governo di scopo” per le riforme istituzionali è sbarrata dall’esito del referendum del 4 dicembre 2016. Nessun monocameralismo, nessun presidenzialismo, nessuna semplificazione forzata del procedimento legislativo spostandone il riferimento dal Parlamento all’esecutivo. Fu quello il responso delle urne e quel responso deve essere rispettato in ogni caso;
2) Una ulteriore eventuale proposta di modifica della legge elettorale, tendente a favorire la “governabilità” (premio di maggioranza, doppio turno e quant’altro) deve tener conto di ben due sentenze della Corte Costituzionale, con le quali sono state bocciate la legge elettorale del 2005 con la quale si era votato nel 2006, 2008, 2013 (premio di maggioranza, liste bloccate) e la legge elettorale – mai provata sul campo e approvata a colpi di fiducia – denominata Italikum (liste bloccate, ballottaggio senza soglia, con premio di maggioranza ). Le indicazioni della Corte Costituzione in materia non possono essere nuovamente eluse come siè anche cercato di fare con la formula elettorale (la peggiore fra tutte) con la quale si è votato il 4 marzo 2018;
3) Va ancora annotato un appunto sulla “centralità del Parlamento” rivendicata, in inizio di legislatura, dal M5S che, su quella base, ha ottenuto la presidenza della Camera. Premesso che il presupposto necessario per realizzare la cosiddetta “centralità del Parlamento” è oggettivamente costituito dall’adozione di una formula elettorale proporzionale (dalla quale può scaturire una composizione delle Camere la più aperta e plurale possibile rispetto alle “sensibilità” politiche presenti con una certa consistenza nel Paese) va ricordato come non si tratti di una formula astratta al fine di determinare una sorta di “assemblearismo permanente”. La “centralità del Parlamento” si può realizzare, infatti, attraverso un articolato lavoro di correlazione tra l’operato del Governo in fase esecutiva e quello realizzato sul piano legislativo nell’Aula e nelle Commissioni ( ricordiamo che in Italia ,caso unico, disponiamo delle Commissioni redigenti e deliberanti) . L’articolazione tra esecutivo e legislativo è ben indicata nella suddivisione dei poteri prevista dalla Costituzione Repubblicana, negli ultimi tempi assolutamente violata dal profluvio di decreti governativi verso i quali al Parlamento non rimaneva altro che assolvere a compiti di ratifica. Certo che tra eventuale “governo tecnico” o “istituzionale” (formule che contraddicono proprio la necessaria correlazione tra esecutivo e legislativo) e la rivendicazione della “centralità del Parlamento” acqua in mezzo ce ne corre.
Il tutto a presente e futura memoria.
1) La strada del “governo di scopo” per le riforme istituzionali è sbarrata dall’esito del referendum del 4 dicembre 2016. Nessun monocameralismo, nessun presidenzialismo, nessuna semplificazione forzata del procedimento legislativo spostandone il riferimento dal Parlamento all’esecutivo. Fu quello il responso delle urne e quel responso deve essere rispettato in ogni caso;
2) Una ulteriore eventuale proposta di modifica della legge elettorale, tendente a favorire la “governabilità” (premio di maggioranza, doppio turno e quant’altro) deve tener conto di ben due sentenze della Corte Costituzionale, con le quali sono state bocciate la legge elettorale del 2005 con la quale si era votato nel 2006, 2008, 2013 (premio di maggioranza, liste bloccate) e la legge elettorale – mai provata sul campo e approvata a colpi di fiducia – denominata Italikum (liste bloccate, ballottaggio senza soglia, con premio di maggioranza ). Le indicazioni della Corte Costituzione in materia non possono essere nuovamente eluse come siè anche cercato di fare con la formula elettorale (la peggiore fra tutte) con la quale si è votato il 4 marzo 2018;
3) Va ancora annotato un appunto sulla “centralità del Parlamento” rivendicata, in inizio di legislatura, dal M5S che, su quella base, ha ottenuto la presidenza della Camera. Premesso che il presupposto necessario per realizzare la cosiddetta “centralità del Parlamento” è oggettivamente costituito dall’adozione di una formula elettorale proporzionale (dalla quale può scaturire una composizione delle Camere la più aperta e plurale possibile rispetto alle “sensibilità” politiche presenti con una certa consistenza nel Paese) va ricordato come non si tratti di una formula astratta al fine di determinare una sorta di “assemblearismo permanente”. La “centralità del Parlamento” si può realizzare, infatti, attraverso un articolato lavoro di correlazione tra l’operato del Governo in fase esecutiva e quello realizzato sul piano legislativo nell’Aula e nelle Commissioni ( ricordiamo che in Italia ,caso unico, disponiamo delle Commissioni redigenti e deliberanti) . L’articolazione tra esecutivo e legislativo è ben indicata nella suddivisione dei poteri prevista dalla Costituzione Repubblicana, negli ultimi tempi assolutamente violata dal profluvio di decreti governativi verso i quali al Parlamento non rimaneva altro che assolvere a compiti di ratifica. Certo che tra eventuale “governo tecnico” o “istituzionale” (formule che contraddicono proprio la necessaria correlazione tra esecutivo e legislativo) e la rivendicazione della “centralità del Parlamento” acqua in mezzo ce ne corre.
Il tutto a presente e futura memoria.
Nessun commento:
Posta un commento