martedì 22 maggio 2018

Capitalismo senza Famiglia

E’ un dato di fatto che, con la caduta dei Fascismi e più in generale con il crollo dell’idea dell’uomo nuovo da costruire mattone dopo mattone nei laboratori ideologici di regime, sia esso l’uomo del Fascismo o l’Homo Sovieticus, si è andata progressivamente affermando, di pari passo con l’avvento del capitalismo consumistico (siamo negli anni ’50), quella che oggi possiamo candidamente definire ideologia liberal, riferendoci ad una sua deformazione, ma che altro non si presentò con l’idea che spetti all’individuo decidere di se stesso e del suo rapporto con gli altri. Nulla di più semplice, ed il lettore leggendo queste parole avrà istintivamente annuito, come se in tale concezione non vi fosse nulla di ideologico bensì di integralmente naturale. La contemporaneità altro non vive che un’esacerbazione del suddetto concetto. Il nemico naturale di tale impostazione è, naturalmente, il nucleo familiare.
Andiamo nel dettaglio. L’ideologia liberal prospera nel sotteso che l’arbitrio individuale sul sé e sui rapporti prossimi che il sé intrattiene sia qualcosa di naturale e che, a ben vedere, anche il capitalismo lo sia, in quanto l’individuo, al di la da sé, non potrà che instaurare rapporti puramente economicistici. L’ideologia liberal non contempla l’altro, se non come limite al proprio arbitrio. Not In My Backyard, come dicono gli americani. Fai quello che vuoi, purché non infastidisci il mio arbitrio su di me o sulle cose di cui ho diritto. La Famiglia, intesa come istituzione esulante dal do ut des e scevra da rapporti interni di carattere economico non può coesistere con tale ideologia. In Famiglia non vi sono diritti se non quelli del sangue, e ciò ha tanto dato da scrivere (anche a ragione) sulla figura dispotica del Padre, anche in ambito Marxista, dove alcuni autori vedevano replicati nella relazione genitori-figli i medesimi meccanismi capitalistici del rapporto tra proprietari dei mezzi di produzione e lavoratori salariati.

Non è oggi il momento di ignorare la letteratura sul tema ma di costruire nuovamente la Famiglia, ripartendo con orgoglio dalle sue fondamenta antieconomiche, approntando alla gerarchia dei componenti il rigetto della violenza fisica, l’eliminazione di qualunque forma di distacco affettivo, di freddezza emotiva dei genitori nei confronti dei figli, e financo una tolleranza conscia di una pedagogia senza prevaricazione al di fuori del proprio ruolo di educatore. Non dobbiamo pensare di arrenderci all’idea di una Famiglia non migliorabile, consci che il modello familiare Novecentesco pre-consumista non è attuabile né desiderabile. Non abbiamo da desiderare l’abrogazione della legge del divorzio, ma la ricostruzione di una Comunità, che non può che partire dalle prime figure di convivenza disinteressata con le quali inizia la nostra vita. Oggi è forse la Post-Modernità a darci la possibilità di riflettere da una prospettiva disincantata, facendoci riscoprire la Famiglia come l’unico meccanismo comunitario sopravvissuto (e morente) della contemporaneità, unico baluardo rimasto a parlarci dell’altro da noi, di una convivenza come compromesso, di limitazione dell’arbitrio, di un “fuori” dalla logica spietata del Mercato. Una volta che verrà meno quest’ultimo simulacro, rimarremo completamente soli. Sarà finalmente compiuta la palingenesi trionfale dell’ultimo prototipo di uomo nuovo, probabilmente il più riuscito. E quando, pienamente atomi, ci renderemo e chiederemo conto della nostra solitudine, quelli con più stomaco si consoleranno dei propri diritti.

Nessun commento:

Posta un commento