Una rete ci salverà. Ebbene
sì adesso è anche la statistica che, oltre a registrare timidi segnali
di ripresa per l'economia e l'occupazione e a ricordare le molte diseguaglianze dell'Italia, conferma come siano le reti informali e sociali a risolvere i problemi di una popolazione sempre più vecchia e sola.
Due caratteristiche legate anche alla longevità della nostro Paese, che si affiancano al calo per nove anni consecutivi delle nascite e al triplicarsi del giovani che vanno all'estero in cerca di lavoro. Insomma «l'appartenenza a un sistema di reti e di relazioni sociali, lavorative, culturali può dare prospettive innovative e positive alla società italiana e scongiurare il rischio di un isolamento degli individui, specialmente anziani». È questa in sintesi la chiave di lettura scelta dal presidente dell'Istat Giorgio Alleva nel presentare il Rapporto annuale 2018 sulla situazione del Paese a Montecitorio, a cui partecipa il presidente della Camera Roberto Fico.
Il lavoro e l'economia
Nel 2017 continua la crescita del numero degli occupati (265 mila, pari a +1,2%) in tutte le aree del Paese, ma il Mezzogiorno rimane con un saldo occupazionale negativo rispetto al 2008 (-310 mila unità, -4,8%). Ma, secondo il rapporto annuale 2018, il riavvicinamento del numero di occupati ai livelli pre-crisi si deve esclusivamente alla componente femminile (404 mila unità in più, ma comunque sotto la media europea) mentre gli uomini fanno tuttora registrare un deficit di 471 mila unità. Il tasso di occupazione è in crescita e si attesta al 58%, ancora 0,7 punti percentuali sotto il livello del 2008 e lontano dalla media Ue.
Il numero di disoccupati diminuisce del 3,5% (-105 mila) e il tasso di disoccupazione passa dall'11,7% del 2016 all'11,2%. Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni si riducono per il quarto anno consecutivo e sono sotto i 13,4 milioni. Il calo è stato meno intenso rispetto al 2016 ma comunque rilevante (-242 mila unità, -1,8%); rispetto al 2008 se ne contano quasi un milione in meno. I giovani Neet (non occupati e non in formazione) scendono sotto i 2,2 milioni, con un calo dell'1,1% più debole di quello registrato nel 2016.
Sul fronte della crescita gli indicatori disponibili per i primi mesi del 2018 segnalano la prosecuzione del recupero dell'economia italiana, pur se a ritmi moderati. Nel primo trimestre dell'anno il Pil è cresciuto dello 0,3% su base congiunturale; nello stesso periodo inoltre la fiducia delle famiglie è aumentata, mentre quella delle imprese è diminuita, mantenendosi però su livelli elevati. Nel 2017 il prodotto è cresciuto dell'1,5% contro il +0,9% del 2016, sostenuto soprattutto dagli investimenti fissi lordi. Positivo anche il contributo della domanda estera. L'espansione dell'attività ha interessato tutti i settori produttivi a eccezione dell'agricoltura: l'aumento più marcato è quello dell'industria in senso stretto (+2,1%), mentre i servizi si sono fermati all'1,5% e le costruzioni allo 0,8%.
Indice di Benessere e diseguaglianze
«Nel 2017 il benessere degli italiani misurato nel Def mostra un deciso miglioramento in cinque dei dodici indicatori considerati e un arretramento nei rimanenti sette», scrive l'Istat nel rapporto, mettendo «in positivo» la riduzione della criminalità predatoria (scippi e rapine), il miglioramento della partecipazione al mercato del lavoro e la diminuzione della durata delle cause civili. Invece, risultano «in negativo» l'aumento delle disuguaglianze e della povertà assoluta, che, come rivelato già in audizione sul Def, nel 2017 secondo le stime preliminari interesserebbe l'8,3% dei residenti (circa 5 milioni) contro il 7,9% nel 2016. Inoltre, fa presente l'Istat, «gli indicatori disponibili per i primi mesi del 2018 segnalano la prosecuzione del recupero della crescita dell'economia italiana, pur se a ritmi moderati».
Nonostante la ripresa però aumentano diseguaglianza e povertà assoluta. Quest'ultima, secondo le stime preliminari, nel 2017 interesserebbe l'8,3% dei residenti contro il 7,9% del 2016. La diseguaglianza economica - misurata dal rapporto fra il totale del reddito equivalente ricevuto dal 20% della popolazione con i redditi più alti e dal 20% della popolazione con quelli più bassi - raggiunge un livello di 6,4 (6,3 nel 2016). La povertà assoluta riguarda poco meno di 1,8 milioni di famiglie e circa 5 milioni di individui. Complessivamente si tratta di 154.000 famiglie e 261.000 persone in più rispetto all'anno prima. la ripresa dell'inflazione spiega circa la metà dell'incremento dell'incidenza della povertà assoluta; l'altra metà va ascritta invece al peggioramento della capacità di spesa delle famiglie scese sotto la soglia di povertà. A livello territoriale, la povertà assoluta aumenta nel Mezzogiorno e nel Nord, mentre scende al Centro.
Il ruolo delle reti
Il 78,7% delle persone di 18 anni e più dichiara di poter fare affidamento almeno su un parente, un amico o un vicino. È questa la forza delle reti informali e sociali che il rapporto Istat considera uno dei paracadute principali del nostro Paese. Tra le persone che rappresentano un sostegno, sono gli amici la categoria più indicata (62,2% dei casi) seguita dai vicini (51,4%) e dai parenti (45,8%). Con un sostegno che è anche di tipo economico. «Il 44,7% degli individui - riferisce il report - dichiara di avere almeno una persona non coabitante su cui contare in caso di bisogno urgente di denaro (800 euro)».
All'aumentare dell'età sono sempre meno le persone che dichiarano di poter contare su una rete variegata (parenti, amici e vicini): la quota tra i più anziani (25,6% delle persone di 75 anni e oltre) è meno della metà di quella dei più giovani (57,8% delle persone tra i 18 e i 24 anni). Al crescere dell'età, invece, prevalgono le reti esclusive, in particolare quelle costituite solo da parenti o solo da vicini. La rete informale di aiuto e sostegno sociale si attiva in funzione di una serie di bisogni connessi con diversi eventi, dalla nascita dei figli alle difficoltà economiche: oltre un terzo delle famiglie sostenute informalmente ha ricevuto aiuto per attività domestiche (34,5%). Più di una famiglia su quattro per compagnia, accompagnamento, ospitalità ed espletamento pratiche burocratiche.
Il mondo del volontariato
Le istituzioni non-profit attive in Italia nel 2015 sono oltre 330 mila, l'11,6% in più rispetto al 2011, e impiegano complessivamente 788 mila dipendenti e 5,5 milioni di volontari. Rispetto al 2011 sono in aumento sia il numero di volontari (del 16,2%), sia il numero dei lavoratori dipendenti (del 15,8%). La fotografia del settore scattata dal Rapporto annuale 2018 dell'Istat perciò evidenzia come il numero di istituzioni non-profit cresca in tutte le regioni italiane, a eccezione del Molise (-2%).
Aumenti particolarmente sostenuti si registrano in Campania (+33%), nel Lazio (+29,5%) e, in misura più contenuta, in Lombardia (+14,1 %) e in Sardegna (+12,2%). Considerando la popolazione presente sul territorio, il Nord-Est presenta la più alta incidenza di istituzioni non-profit, in particolare nelle province di Gorizia (9,7 istituzioni per mille abitanti), Belluno, Trieste, Udine e Pordenone. All'interno del Nord-Ovest, l'area con più incidenza parte da Aosta e si estende tra il Piemonte e la Liguria. Nel Centro, l'area di maggiore diffusione rispetto alla popolazione residente si trova tra le province di Siena (8,2, nona provincia italiana per presenza di istituzioni), Grosseto, Pisa, Lucca, Perugia e buona parte delle Marche. Nel Mezzogiorno, invece, si distingue la Sardegna, dove tutte le province presentano valori superiori alla media nazionale (con il dato più elevato nella provincia di Oristano).
Considerandola diffusione del settore in base al numero di dipendenti impiegati in rapporto alla popolazione residente, la provincia autonoma di Trento presenta il valore più elevato (230 dipendenti per 10 mila abitanti, rispetto a una media nazionale di 130), seguita da Lombardia (180), Lazio (173) ed Emilia-Romagna (161). La presenza dei volontari è superiore al dato nazionale (911 volontari per 10 mila abitanti) poi nelle province autonome di Trento e Bolzano (rispettivamente 3.004 e 2.200) e in Valle d'Ao sta (2.037).
Popolazione e migrazioni
Italiani più vecchi e soli. La popolazione totale infatti diminuisce per il terzo anno consecutivo di quasi 100mila persone rispetto al precedente: al 1° gennaio 2018 si stima che la popolazione ammonti a 60,5 milioni, con 5,6 milioni di stranieri (8,4%). E così l'Italia si conferma essere il secondo paese più vecchio del mondo: 168,7 anziani ogni 100 giovani. Il Paese appare anche più fragile rispetto all'Ue: il 17,2% si sente privo o quasi di sostegno sociale.
Gli anziani che vivono soli passano oltre 10 ore senza interazioni con altri. Parallelamente continuano a calare le nascite per il nono anno consecutivo: nel 2017 ne sono state stimate 464 mila, il 2% in meno sul 2016 e nuovo minimo storico. E pur mantenendosi su livelli decisamente più elevati di quelli delle cittadine italiane, cala anche il numero medio dei figli di cittadine straniere. Inoltre si diventa genitori sempre più tardi: l'età media delle donne alla nascita del primo figlio è 31 anni nel 2016, mentre nel 1980 era 25 anni.
È in crescita il numero di cittadini stranieri che diventano italiani. Nel 2016 sono oltre 201 mila le acquisizioni di cittadinanza e si stima che nel 2017 superino le 224 mila. Questa quota riguarda perlopiù cittadini non comunitari: il 18,3% dei naturalizzati nel 2016 ha come cittadinanza di origine quella albanese e il 17,5% quella marocchina nella sezione dedicata alle traiettorie migratorie. Nel 2016, inoltre, sono stati rilasciati quasi 227 mila nuovi permessi di soggiorno. Di questi il 5,7% riguarda le migrazioni per lavoro dei non comunitari (che toccano un nuovo minimo storico), il 34,3% è per asilo politico e motivi umanitari e il 45,1% per ricongiungimento familiare.
Aumenta anche il numero dei "nuovi italiani" che lasciano l'Italia: tra il 2012 e il 2016 circa 25 mila naturalizzati si sono trasferiti altrove, nella maggior parte dei casi in Paesi Ue (quasi 19 mila, pari al 75,6% degli emigrati naturalizzati). Ma nel complesso il saldo migratorio, positivo da oltre vent'anni, si contrae ma è in lieve ripresa negli ultimi due anni (stimato in 184 mila unità nel 2017): le immigrazioni dall'estero si sono ridotte da 527 mila iscritti in anagrafe nel 2007 a 337 mila stimati nel 2017. Le emigrazioni per l'estero invece sono triplicate, passando da 51 mila a 153 mila.
Istruzione e cultura
Per una quota consistente di italiani arte, patrimonio e, in generale, cultura sono poco attraenti: si tratta di attività che si praticano soprattutto quando si va a scuola o all'università, ma che non attecchiscono e che si abbandonano a mano a mano che avanza l'età. Nel 2016, il 66,3 per cento della popolazione di 6 anni e più ha dedicato il proprio tempo, almeno una volta nei 12 mesi
precedenti, a intrattenimenti e spettacoli fuori casa; il 40,5 per cento si è dedicato alla lettura di libri (per motivi non strettamente scolastici o professionali) e il 43,9 per cento ha letto quotidiani almeno una volta alla settimana.
La quota di cittadini che, nello stesso periodo, non ha svolto alcuna attività culturale, neppure semplice e occasionale, è del 18,6 per cento. La quota di non partecipazione delle donne è più alta di quella degli uomini (21,5 contro 15,5 per cento). Il fenomeno è molto legato all'età: l'inattività culturale totale, minima tra i giovani, è considerevolmente più frequente tra gli adulti, già a partire dai 25 anni, anche se il crollo della partecipazione avviene dopo i 75 anni, quando tocca il 43,5 per cento, in misura molto più elevata per le donne (49,7 per cento) che per gli uomini (34,0 per cento).
L'esclusione culturale colpisce soprattutto le famiglie a basso reddito con stranieri e quelle degli operai in pensione, tra le quali più della metà delle persone non svolge nessuna forma di attività culturale, per quanto limitata e occasionale. Altri gruppi sociali dove questi comportamenti sono pervasivi sono quelli in cui sono più presenti gli esclusi dal lavoro: anziane sole e giovani disoccupati e le famiglie a basso reddito di soli italiani.
A non aiutare l'accesso alla cultura anche una rete di luoghi culturali certo capillare, ma non a sistema soprattutto sul fronte musei. Le biblioteche e i musei italiani, infatti, costituiscono secondo l'Istat «reti di servizi diffusi capillarmente; se la prime hanno una rete altamente strutturata, quella dei musei non presenta ancora caratteristiche di sistema». Il panorama dei frequentatori delle biblioteche in Italia non è consolante: l'ente di statistica rileva infatti che sono frequentate di più dai giovani mentre casalinghe e ritirati dal lavoro rappresentano il "non pubblico" di questo servizio culturale. Alla fine del 2016 sono attive circa 14 mila biblioteche, pubbliche per oltre l'81%.
Rispetto al numero di abitanti, i valori più alti sono in Valle d'Aosta (42 biblioteche ogni centomila abitanti), Trentino-Alto Adige, Sardegna e Molise (dove si superano le 37 unità per centomila residenti). In Puglia e Campania non si arriva a 20 biblioteche ogni centomila abitanti. «Nel 2015 - rileva ancora l'Istat - il 15,1% degli italiani è stato in biblioteca almeno una volta in 12 mesi. I servizi bibliotecari sono utilizzati in misura prevalente da bambini, adolescenti e giovani (la percentuale si mantiene ben al di sopra del 30% fino ai 24 anni)».
Servizi di trasporto pubblico
In Italia il trasporto pubblico locale appare sottoutilizzato: gli utenti abituali di autobus, filobus e tram sono l'11 dei residenti dai 14 anni in su. Nel 2016, infatti, quasi quattro italiani su cinque si sostano giornalmente utilizzando mezzi propri per un tasso di motorizzazione di 625 auto ogni 1.000 abitanti. Un dato largamente superiore a quello registrato nei maggiori Paesi europei (555 in Germania, 492 in Spagna, 479 in Francia, 469 nel Regno Unito).
Nel biennio 2015-16 l'offerta del trasporto pubblico locale ha recuperato una parte della flessione registrata nel quadriennio precedente, ma è ancora inferiore del 2,2% rispetto a quella del 2011. Tra il 2011 e il 2016 si poi modificata anche la ripartizione dell'offerta. Nei capoluoghi o città metropolitane l'offerta di autobus e filobus è diminuita del 12,6%, quella del tram è aumentata del 3,7%, così come quella della metropolitana (+18,1%).
L'Istat inoltre analizza la diseguaglianza sociale delle tre più grandi città italiane (Milano, Roma e Napoli) che viene rappresentata in forma cartografica e tramite i tracciati delle linee metropolitane che aiutano a percorrere idealmente le città. La metodologia usata è un indice sintetico di vulnerabilità sociale e materiale e un indicatore di valore immobiliare delle città con cui è possibile mettere in luce le differenze tra le diverse zone urbane. E così si vede che Milano ha una struttura radiale, che procede per espansioni a partire dal centro storico per cerchi concentrici che si sono via via definiti nel tempo.
Le aree più benestanti coincidono con quelle con i più alti valori immobiliari e si addensano soprattutto nel centro geografico della città mentre le zone con più alta vulnerabilità sociale e materiale si trovano tutte al di fuori del nucleo centrale della città.
Due caratteristiche legate anche alla longevità della nostro Paese, che si affiancano al calo per nove anni consecutivi delle nascite e al triplicarsi del giovani che vanno all'estero in cerca di lavoro. Insomma «l'appartenenza a un sistema di reti e di relazioni sociali, lavorative, culturali può dare prospettive innovative e positive alla società italiana e scongiurare il rischio di un isolamento degli individui, specialmente anziani». È questa in sintesi la chiave di lettura scelta dal presidente dell'Istat Giorgio Alleva nel presentare il Rapporto annuale 2018 sulla situazione del Paese a Montecitorio, a cui partecipa il presidente della Camera Roberto Fico.
Il lavoro e l'economia
Nel 2017 continua la crescita del numero degli occupati (265 mila, pari a +1,2%) in tutte le aree del Paese, ma il Mezzogiorno rimane con un saldo occupazionale negativo rispetto al 2008 (-310 mila unità, -4,8%). Ma, secondo il rapporto annuale 2018, il riavvicinamento del numero di occupati ai livelli pre-crisi si deve esclusivamente alla componente femminile (404 mila unità in più, ma comunque sotto la media europea) mentre gli uomini fanno tuttora registrare un deficit di 471 mila unità. Il tasso di occupazione è in crescita e si attesta al 58%, ancora 0,7 punti percentuali sotto il livello del 2008 e lontano dalla media Ue.
Il numero di disoccupati diminuisce del 3,5% (-105 mila) e il tasso di disoccupazione passa dall'11,7% del 2016 all'11,2%. Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni si riducono per il quarto anno consecutivo e sono sotto i 13,4 milioni. Il calo è stato meno intenso rispetto al 2016 ma comunque rilevante (-242 mila unità, -1,8%); rispetto al 2008 se ne contano quasi un milione in meno. I giovani Neet (non occupati e non in formazione) scendono sotto i 2,2 milioni, con un calo dell'1,1% più debole di quello registrato nel 2016.
Sul fronte della crescita gli indicatori disponibili per i primi mesi del 2018 segnalano la prosecuzione del recupero dell'economia italiana, pur se a ritmi moderati. Nel primo trimestre dell'anno il Pil è cresciuto dello 0,3% su base congiunturale; nello stesso periodo inoltre la fiducia delle famiglie è aumentata, mentre quella delle imprese è diminuita, mantenendosi però su livelli elevati. Nel 2017 il prodotto è cresciuto dell'1,5% contro il +0,9% del 2016, sostenuto soprattutto dagli investimenti fissi lordi. Positivo anche il contributo della domanda estera. L'espansione dell'attività ha interessato tutti i settori produttivi a eccezione dell'agricoltura: l'aumento più marcato è quello dell'industria in senso stretto (+2,1%), mentre i servizi si sono fermati all'1,5% e le costruzioni allo 0,8%.
Indice di Benessere e diseguaglianze
«Nel 2017 il benessere degli italiani misurato nel Def mostra un deciso miglioramento in cinque dei dodici indicatori considerati e un arretramento nei rimanenti sette», scrive l'Istat nel rapporto, mettendo «in positivo» la riduzione della criminalità predatoria (scippi e rapine), il miglioramento della partecipazione al mercato del lavoro e la diminuzione della durata delle cause civili. Invece, risultano «in negativo» l'aumento delle disuguaglianze e della povertà assoluta, che, come rivelato già in audizione sul Def, nel 2017 secondo le stime preliminari interesserebbe l'8,3% dei residenti (circa 5 milioni) contro il 7,9% nel 2016. Inoltre, fa presente l'Istat, «gli indicatori disponibili per i primi mesi del 2018 segnalano la prosecuzione del recupero della crescita dell'economia italiana, pur se a ritmi moderati».
Nonostante la ripresa però aumentano diseguaglianza e povertà assoluta. Quest'ultima, secondo le stime preliminari, nel 2017 interesserebbe l'8,3% dei residenti contro il 7,9% del 2016. La diseguaglianza economica - misurata dal rapporto fra il totale del reddito equivalente ricevuto dal 20% della popolazione con i redditi più alti e dal 20% della popolazione con quelli più bassi - raggiunge un livello di 6,4 (6,3 nel 2016). La povertà assoluta riguarda poco meno di 1,8 milioni di famiglie e circa 5 milioni di individui. Complessivamente si tratta di 154.000 famiglie e 261.000 persone in più rispetto all'anno prima. la ripresa dell'inflazione spiega circa la metà dell'incremento dell'incidenza della povertà assoluta; l'altra metà va ascritta invece al peggioramento della capacità di spesa delle famiglie scese sotto la soglia di povertà. A livello territoriale, la povertà assoluta aumenta nel Mezzogiorno e nel Nord, mentre scende al Centro.
Il ruolo delle reti
Il 78,7% delle persone di 18 anni e più dichiara di poter fare affidamento almeno su un parente, un amico o un vicino. È questa la forza delle reti informali e sociali che il rapporto Istat considera uno dei paracadute principali del nostro Paese. Tra le persone che rappresentano un sostegno, sono gli amici la categoria più indicata (62,2% dei casi) seguita dai vicini (51,4%) e dai parenti (45,8%). Con un sostegno che è anche di tipo economico. «Il 44,7% degli individui - riferisce il report - dichiara di avere almeno una persona non coabitante su cui contare in caso di bisogno urgente di denaro (800 euro)».
All'aumentare dell'età sono sempre meno le persone che dichiarano di poter contare su una rete variegata (parenti, amici e vicini): la quota tra i più anziani (25,6% delle persone di 75 anni e oltre) è meno della metà di quella dei più giovani (57,8% delle persone tra i 18 e i 24 anni). Al crescere dell'età, invece, prevalgono le reti esclusive, in particolare quelle costituite solo da parenti o solo da vicini. La rete informale di aiuto e sostegno sociale si attiva in funzione di una serie di bisogni connessi con diversi eventi, dalla nascita dei figli alle difficoltà economiche: oltre un terzo delle famiglie sostenute informalmente ha ricevuto aiuto per attività domestiche (34,5%). Più di una famiglia su quattro per compagnia, accompagnamento, ospitalità ed espletamento pratiche burocratiche.
Il mondo del volontariato
Le istituzioni non-profit attive in Italia nel 2015 sono oltre 330 mila, l'11,6% in più rispetto al 2011, e impiegano complessivamente 788 mila dipendenti e 5,5 milioni di volontari. Rispetto al 2011 sono in aumento sia il numero di volontari (del 16,2%), sia il numero dei lavoratori dipendenti (del 15,8%). La fotografia del settore scattata dal Rapporto annuale 2018 dell'Istat perciò evidenzia come il numero di istituzioni non-profit cresca in tutte le regioni italiane, a eccezione del Molise (-2%).
Aumenti particolarmente sostenuti si registrano in Campania (+33%), nel Lazio (+29,5%) e, in misura più contenuta, in Lombardia (+14,1 %) e in Sardegna (+12,2%). Considerando la popolazione presente sul territorio, il Nord-Est presenta la più alta incidenza di istituzioni non-profit, in particolare nelle province di Gorizia (9,7 istituzioni per mille abitanti), Belluno, Trieste, Udine e Pordenone. All'interno del Nord-Ovest, l'area con più incidenza parte da Aosta e si estende tra il Piemonte e la Liguria. Nel Centro, l'area di maggiore diffusione rispetto alla popolazione residente si trova tra le province di Siena (8,2, nona provincia italiana per presenza di istituzioni), Grosseto, Pisa, Lucca, Perugia e buona parte delle Marche. Nel Mezzogiorno, invece, si distingue la Sardegna, dove tutte le province presentano valori superiori alla media nazionale (con il dato più elevato nella provincia di Oristano).
Considerandola diffusione del settore in base al numero di dipendenti impiegati in rapporto alla popolazione residente, la provincia autonoma di Trento presenta il valore più elevato (230 dipendenti per 10 mila abitanti, rispetto a una media nazionale di 130), seguita da Lombardia (180), Lazio (173) ed Emilia-Romagna (161). La presenza dei volontari è superiore al dato nazionale (911 volontari per 10 mila abitanti) poi nelle province autonome di Trento e Bolzano (rispettivamente 3.004 e 2.200) e in Valle d'Ao sta (2.037).
Popolazione e migrazioni
Italiani più vecchi e soli. La popolazione totale infatti diminuisce per il terzo anno consecutivo di quasi 100mila persone rispetto al precedente: al 1° gennaio 2018 si stima che la popolazione ammonti a 60,5 milioni, con 5,6 milioni di stranieri (8,4%). E così l'Italia si conferma essere il secondo paese più vecchio del mondo: 168,7 anziani ogni 100 giovani. Il Paese appare anche più fragile rispetto all'Ue: il 17,2% si sente privo o quasi di sostegno sociale.
Gli anziani che vivono soli passano oltre 10 ore senza interazioni con altri. Parallelamente continuano a calare le nascite per il nono anno consecutivo: nel 2017 ne sono state stimate 464 mila, il 2% in meno sul 2016 e nuovo minimo storico. E pur mantenendosi su livelli decisamente più elevati di quelli delle cittadine italiane, cala anche il numero medio dei figli di cittadine straniere. Inoltre si diventa genitori sempre più tardi: l'età media delle donne alla nascita del primo figlio è 31 anni nel 2016, mentre nel 1980 era 25 anni.
È in crescita il numero di cittadini stranieri che diventano italiani. Nel 2016 sono oltre 201 mila le acquisizioni di cittadinanza e si stima che nel 2017 superino le 224 mila. Questa quota riguarda perlopiù cittadini non comunitari: il 18,3% dei naturalizzati nel 2016 ha come cittadinanza di origine quella albanese e il 17,5% quella marocchina nella sezione dedicata alle traiettorie migratorie. Nel 2016, inoltre, sono stati rilasciati quasi 227 mila nuovi permessi di soggiorno. Di questi il 5,7% riguarda le migrazioni per lavoro dei non comunitari (che toccano un nuovo minimo storico), il 34,3% è per asilo politico e motivi umanitari e il 45,1% per ricongiungimento familiare.
Aumenta anche il numero dei "nuovi italiani" che lasciano l'Italia: tra il 2012 e il 2016 circa 25 mila naturalizzati si sono trasferiti altrove, nella maggior parte dei casi in Paesi Ue (quasi 19 mila, pari al 75,6% degli emigrati naturalizzati). Ma nel complesso il saldo migratorio, positivo da oltre vent'anni, si contrae ma è in lieve ripresa negli ultimi due anni (stimato in 184 mila unità nel 2017): le immigrazioni dall'estero si sono ridotte da 527 mila iscritti in anagrafe nel 2007 a 337 mila stimati nel 2017. Le emigrazioni per l'estero invece sono triplicate, passando da 51 mila a 153 mila.
Istruzione e cultura
Per una quota consistente di italiani arte, patrimonio e, in generale, cultura sono poco attraenti: si tratta di attività che si praticano soprattutto quando si va a scuola o all'università, ma che non attecchiscono e che si abbandonano a mano a mano che avanza l'età. Nel 2016, il 66,3 per cento della popolazione di 6 anni e più ha dedicato il proprio tempo, almeno una volta nei 12 mesi
precedenti, a intrattenimenti e spettacoli fuori casa; il 40,5 per cento si è dedicato alla lettura di libri (per motivi non strettamente scolastici o professionali) e il 43,9 per cento ha letto quotidiani almeno una volta alla settimana.
La quota di cittadini che, nello stesso periodo, non ha svolto alcuna attività culturale, neppure semplice e occasionale, è del 18,6 per cento. La quota di non partecipazione delle donne è più alta di quella degli uomini (21,5 contro 15,5 per cento). Il fenomeno è molto legato all'età: l'inattività culturale totale, minima tra i giovani, è considerevolmente più frequente tra gli adulti, già a partire dai 25 anni, anche se il crollo della partecipazione avviene dopo i 75 anni, quando tocca il 43,5 per cento, in misura molto più elevata per le donne (49,7 per cento) che per gli uomini (34,0 per cento).
L'esclusione culturale colpisce soprattutto le famiglie a basso reddito con stranieri e quelle degli operai in pensione, tra le quali più della metà delle persone non svolge nessuna forma di attività culturale, per quanto limitata e occasionale. Altri gruppi sociali dove questi comportamenti sono pervasivi sono quelli in cui sono più presenti gli esclusi dal lavoro: anziane sole e giovani disoccupati e le famiglie a basso reddito di soli italiani.
A non aiutare l'accesso alla cultura anche una rete di luoghi culturali certo capillare, ma non a sistema soprattutto sul fronte musei. Le biblioteche e i musei italiani, infatti, costituiscono secondo l'Istat «reti di servizi diffusi capillarmente; se la prime hanno una rete altamente strutturata, quella dei musei non presenta ancora caratteristiche di sistema». Il panorama dei frequentatori delle biblioteche in Italia non è consolante: l'ente di statistica rileva infatti che sono frequentate di più dai giovani mentre casalinghe e ritirati dal lavoro rappresentano il "non pubblico" di questo servizio culturale. Alla fine del 2016 sono attive circa 14 mila biblioteche, pubbliche per oltre l'81%.
Rispetto al numero di abitanti, i valori più alti sono in Valle d'Aosta (42 biblioteche ogni centomila abitanti), Trentino-Alto Adige, Sardegna e Molise (dove si superano le 37 unità per centomila residenti). In Puglia e Campania non si arriva a 20 biblioteche ogni centomila abitanti. «Nel 2015 - rileva ancora l'Istat - il 15,1% degli italiani è stato in biblioteca almeno una volta in 12 mesi. I servizi bibliotecari sono utilizzati in misura prevalente da bambini, adolescenti e giovani (la percentuale si mantiene ben al di sopra del 30% fino ai 24 anni)».
Servizi di trasporto pubblico
In Italia il trasporto pubblico locale appare sottoutilizzato: gli utenti abituali di autobus, filobus e tram sono l'11 dei residenti dai 14 anni in su. Nel 2016, infatti, quasi quattro italiani su cinque si sostano giornalmente utilizzando mezzi propri per un tasso di motorizzazione di 625 auto ogni 1.000 abitanti. Un dato largamente superiore a quello registrato nei maggiori Paesi europei (555 in Germania, 492 in Spagna, 479 in Francia, 469 nel Regno Unito).
Nel biennio 2015-16 l'offerta del trasporto pubblico locale ha recuperato una parte della flessione registrata nel quadriennio precedente, ma è ancora inferiore del 2,2% rispetto a quella del 2011. Tra il 2011 e il 2016 si poi modificata anche la ripartizione dell'offerta. Nei capoluoghi o città metropolitane l'offerta di autobus e filobus è diminuita del 12,6%, quella del tram è aumentata del 3,7%, così come quella della metropolitana (+18,1%).
L'Istat inoltre analizza la diseguaglianza sociale delle tre più grandi città italiane (Milano, Roma e Napoli) che viene rappresentata in forma cartografica e tramite i tracciati delle linee metropolitane che aiutano a percorrere idealmente le città. La metodologia usata è un indice sintetico di vulnerabilità sociale e materiale e un indicatore di valore immobiliare delle città con cui è possibile mettere in luce le differenze tra le diverse zone urbane. E così si vede che Milano ha una struttura radiale, che procede per espansioni a partire dal centro storico per cerchi concentrici che si sono via via definiti nel tempo.
Le aree più benestanti coincidono con quelle con i più alti valori immobiliari e si addensano soprattutto nel centro geografico della città mentre le zone con più alta vulnerabilità sociale e materiale si trovano tutte al di fuori del nucleo centrale della città.
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