Nell’ultima
versione del contratto di governo tra Lega e Movimento Cinque Stelle
(quella che, almeno secondo l’Ansa, sarebbe definitiva), a pagina 12
appaiono 100 parole (702 battute, spazi inclusi) sul terremoto.
Non ci sono cifre, non si sa quanti soldi hanno intenzione di impegnare sul tema, né si va troppo nel dettaglio.
Per punti, questo è il pensiero di Di Maio e Salvini sul tema:
– «Chiudere la fase dell’emergenza», che finirà ad agosto, come deciso dal governo Gentiloni
– «Creare le condizioni per un rilancio economico delle aree colpite». Come? Non si sa. In teoria lo stavano facendo anche quelli di prima, con l’apertura di centri commerciali. La speranza è che questi qua abbiano idee diverse, ma onestamente non oso immaginare.
– «Semplificazione delle procedure, sia per le opere pubbliche che per la ricostruzione privata». E ci sta. D’altra parte è la stessa idea che ebbe Berlusconi a L’Aquila, con tutti i processi su criminalità e appalti che ne conseguirono.
– «Certezza nella disciplina generale contenuta nei decreti e nelle ordinanze». Che pure ci sta, come Monsieur Jacques de La Palice, che cinque minuti prima di morire era ancora vivo.
– «Modifiche da apportare al decreto». Saremmo tipo al quarto decreto terremoto, ogni volta annunciato come definitivo e ogni volta cambiato.
– «Maggiore coinvolgimento dei comuni, mediante il conferimento di maggiori poteri ai sindaci». Gli stessi sindaci che per urbanizzare le aree per le casette provvisorie ci hanno messo tra i nove e i dodici mesi, quelli.
La verità è che per ricostruire le aree distrutte dal sisma, prima di tutto bisogna volerlo, cosa che il governo Renzi prima e il governo Gentiloni dopo non sono mai stati in grado di garantire davvero; poi servono i soldi. Senza di quelli non si va da nessuna parte. Ad esempio – seguitemi un attimo perché è complicato -, l’accordo fatto dalla Cassa depositi e prestiti con l’Associazione bancaria italiana il 7 novembre del 2016 prevede stanziamenti di 60 milioni di euro annui fino a un massimo di 1.5 miliardi. Una cifra che non basterà mai per coprire tutti i danni (stimati in 23.5 miliardi di euro, in totale). È uno degli effetti della Legge di stabilità del 2016.
Ecco, magari, se Movimento Cinque Stelle e Lega volessero davvero cambiare le politiche di gestione del post-sisma (e ce ne sarebbe un gran bisogno) farebbero bene a partire da qui, non da dieci righe scarse di proclami senza l’ombra di una cifra, di un conto economico, un’idea della spesa e dell’impegno che questo comporterebbe.
Nella discussione che ha portato al famigerato contratto di governo, con ogni probabilità, tutti quanti si erano scordati che sull’Appennino un paio d’anni fa c’è stato un brutto terremoto che ha distrutto tutto. Quando se ne sono accorti, Di Maio e Salvini in fretta e furia hanno buttato giù cento parole per mettere a tacere noi biechi radical chic, rosiconi e produttori seriali di fake news.
E va bene, anche se poi alla fine è sempre il solito discorso: non parlare del terremoto è una tragedia, parlarne così è una farsa.
Non ci sono cifre, non si sa quanti soldi hanno intenzione di impegnare sul tema, né si va troppo nel dettaglio.
Per punti, questo è il pensiero di Di Maio e Salvini sul tema:
– «Chiudere la fase dell’emergenza», che finirà ad agosto, come deciso dal governo Gentiloni
– «Creare le condizioni per un rilancio economico delle aree colpite». Come? Non si sa. In teoria lo stavano facendo anche quelli di prima, con l’apertura di centri commerciali. La speranza è che questi qua abbiano idee diverse, ma onestamente non oso immaginare.
– «Semplificazione delle procedure, sia per le opere pubbliche che per la ricostruzione privata». E ci sta. D’altra parte è la stessa idea che ebbe Berlusconi a L’Aquila, con tutti i processi su criminalità e appalti che ne conseguirono.
– «Certezza nella disciplina generale contenuta nei decreti e nelle ordinanze». Che pure ci sta, come Monsieur Jacques de La Palice, che cinque minuti prima di morire era ancora vivo.
– «Modifiche da apportare al decreto». Saremmo tipo al quarto decreto terremoto, ogni volta annunciato come definitivo e ogni volta cambiato.
– «Maggiore coinvolgimento dei comuni, mediante il conferimento di maggiori poteri ai sindaci». Gli stessi sindaci che per urbanizzare le aree per le casette provvisorie ci hanno messo tra i nove e i dodici mesi, quelli.
La verità è che per ricostruire le aree distrutte dal sisma, prima di tutto bisogna volerlo, cosa che il governo Renzi prima e il governo Gentiloni dopo non sono mai stati in grado di garantire davvero; poi servono i soldi. Senza di quelli non si va da nessuna parte. Ad esempio – seguitemi un attimo perché è complicato -, l’accordo fatto dalla Cassa depositi e prestiti con l’Associazione bancaria italiana il 7 novembre del 2016 prevede stanziamenti di 60 milioni di euro annui fino a un massimo di 1.5 miliardi. Una cifra che non basterà mai per coprire tutti i danni (stimati in 23.5 miliardi di euro, in totale). È uno degli effetti della Legge di stabilità del 2016.
Ecco, magari, se Movimento Cinque Stelle e Lega volessero davvero cambiare le politiche di gestione del post-sisma (e ce ne sarebbe un gran bisogno) farebbero bene a partire da qui, non da dieci righe scarse di proclami senza l’ombra di una cifra, di un conto economico, un’idea della spesa e dell’impegno che questo comporterebbe.
Nella discussione che ha portato al famigerato contratto di governo, con ogni probabilità, tutti quanti si erano scordati che sull’Appennino un paio d’anni fa c’è stato un brutto terremoto che ha distrutto tutto. Quando se ne sono accorti, Di Maio e Salvini in fretta e furia hanno buttato giù cento parole per mettere a tacere noi biechi radical chic, rosiconi e produttori seriali di fake news.
E va bene, anche se poi alla fine è sempre il solito discorso: non parlare del terremoto è una tragedia, parlarne così è una farsa.
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