Nel suo romanzo Saggio sulla lucidità, Saramago racconta la
storia di una città nella quale si svolgono le elezioni politiche. Il
risultato è sorprendente: ben il 73% dei votanti ha imbucato una scheda
bianca. Le elezioni si ripetono: le schede bianche aumentano ancora. In
un crescendo di repressione e intimidazione, le istituzioni provano a
convincere gli elettori della città a scendere a più miti consigli. Un
romanzo, dicevamo; frutto della fantasia dello scrittore portoghese.
Eppure, quel che sta avvenendo in queste ore in Italia non è molto
diverso.
Sia chiaro: in tempi normali, dovremmo essere tutti contenti di aver evitato un governo di razzisti e finti anti-europeisti. Eppure quel che è accaduto nel tardo pomeriggio al Quirinale è profondamente inquietante. Allo stesso tempo, i fatti che si sono svolti oggi aiutano a mettere in evidenza la natura fortemente antidemocratica e antipopolare che si nasconde dietro la retorica dell’integrazione europea.
Un breve riassunto della serata: Giuseppe Conte, indicato da Lega e Movimento 5 Stelle come Presidente del Consiglio, è salito al Quirinale per conferire col Presidente della Repubblica, per comunicargli l’esito delle consultazioni e per presentargli la lista dei ministri. Già da diversi giorni si rincorrevano voci riguardanti la casella fondamentale di tale lista, quella legata al Ministro dell’Economia. Il Movimento 5 Stelle e la Lega avevano indicato Paolo Savona, già Ministro dell’industria durante il Governo Ciampi (1993-94). Le voci, dicevamo: dalle stanze del Quirinale era trapelato lo scontento del Presidente della Repubblica sul nome di Savona, considerato eccessivamente euroscettico. Un nome del genere, si argomentava, non sarebbe stato gradito né alle principali cancellerie europee, né ai famigerati mercati.
Poco prima dello scoccare delle 20, si sono aperte le porte della Sala della Vetrata, luogo nel quale avvengono le consultazioni. Ne è uscito il segretario generale della Presidenza della Repubblica, per leggere uno stringato comunicato che confermava le voci che si rincorrevano già da alcune ore: Giuseppe Conte ha rimesso il mandato nelle mani del Presidente. In altri termini, ha rinunciato a formare un governo. Dopo un breve e alquanto insignificante intervento dello stesso ex Presidente del Consiglio incaricato, è stata la volta di Mattarella.
In un discorso breve, ma molto denso, il Capo dello Stato ha spiegato le ragioni per le quali non si era giunti a una soluzione della più lunga crisi di governo della Storia repubblicana. Conviene riportare qui le parole di Mattarella.
“Ho chiesto per il ministero dell’Economia l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con il programma, che non sia visto come sostenitore di una linea più volte manifestata che potrebbe provocare l’uscita dell’Italia dall’euro.
La designazione del Ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato per gli operatori economici e finanziari. Ho chiesto per quel ministero l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, che al di là della stima e della considerazione della persona non sia visto come sostenitore di linee che potrebbe provocare la fuoriuscita dell’Italia dall’euro, cosa differente dal cambiare l’UE in meglio dal punto di vista italiano. A fronte di questa mia sollecitazione ho constatato con rammarico indisponibilità a ogni altra soluzione, e il presidente del consiglio incaricato ha rimesso il mandato”.
Proviamo a tradurre in italiano il linguaggio istituzionale di Mattarella. I partiti che insieme detengono la maggioranza assoluta delle Camere gli hanno sottoposto il nome di Paolo Savona. Il nome è sgradito ai mercati e ai rappresentanti delle istituzioni europee, quindi non ha firmato il decreto di nomina e ha proposto loro un nome più moderato e digeribile, ben consapevole che non avrebbero accettato. Ricevuto l’atteso rifiuto, ha ritenuto impossibile formare un governo.
Da queste parole dovrebbe derivare una sana inquietudine. Quel che è accaduto stasera conferma, laddove ve ne fosse ancora bisogno, alcuni fatti difficilmente contestabili. Sono cose che erano già lampanti, ma che mai erano state espresse in maniera così esplicite dalla prima carica dello Stato. Ecco cosa emerge dal discorso di Mattarella.
Ma sarebbe troppo semplicistico prendersela soltanto con Mattarella. È evidente che c’è, anche nel panorama politico italiano, chi ha qualcosa da guadagnare da questa impasse. La Lega, ad esempio, potrà presentarsi alle prossime elezioni come il partito vittima principale dei veti europei e raccogliere i dividendi elettorali di questi eventi. Questo spiegherebbe la scelta di impuntarsi su un nome, quello di Savona, che il Quirinale aveva già fatto sapere essere sgradito e ostativo alla formazione del governo giallo-verde.
Nubi oscure si addensano all’orizzonte. Nell’attesa di avere ulteriori elementi, utili a capire come vadano distribuite le responsabilità tra i vari guardiani dell’austerità (ne capiremo di più molto presto, quando si andrà alla conta per il prossimo governo), bisogna prendere atto del fatto che le istituzioni europee e quelle italiane che ne rappresentano la diretta emanazione hanno definitivamente gettato la maschera. Possiamo votare chi ci pare, ci mancherebbe. Ma il governo che verrà dovrà essere gradito in primo luogo ai mercati, alla Commissione europea e ai governi degli Stati che decidono, di fatto, i destini dell’Unione Europea. Abbiamo iniziato con Saramago, chiudiamo con Kafka. Austerità, disoccupazione e precarietà sono nuovi principi costituzionali, che prevalgono su tutto. Il guardiano di questo principio è ancora il Presidente della Repubblica, ma questo è soltanto il meno potente dei guardiani. Dietro di lui, ve ne sono altri ancora più forti: i mercati.
È un giorno nero, certo, ma gli eventi di oggi possono essere l’inizio di un nuovo percorso, segnato da una maggiore consapevolezza di quelli che sono i meccanismi che si nascondono (o, per meglio dire, si nascondevano: ora sono in piena luce) dietro la retorica europeistica. Il bivio che ci si para davanti è chiaro: possiamo scegliere di sottostare ai diktat e di arrenderci al fatto che non vi siano alternative, oppure possiamo continuare a denunciare le storture e i veri obiettivi del progetto europeo, forti del fatto che soltanto chi non vuol aprire gli occhi, ora, non ne vede la natura.
Sia chiaro: in tempi normali, dovremmo essere tutti contenti di aver evitato un governo di razzisti e finti anti-europeisti. Eppure quel che è accaduto nel tardo pomeriggio al Quirinale è profondamente inquietante. Allo stesso tempo, i fatti che si sono svolti oggi aiutano a mettere in evidenza la natura fortemente antidemocratica e antipopolare che si nasconde dietro la retorica dell’integrazione europea.
Un breve riassunto della serata: Giuseppe Conte, indicato da Lega e Movimento 5 Stelle come Presidente del Consiglio, è salito al Quirinale per conferire col Presidente della Repubblica, per comunicargli l’esito delle consultazioni e per presentargli la lista dei ministri. Già da diversi giorni si rincorrevano voci riguardanti la casella fondamentale di tale lista, quella legata al Ministro dell’Economia. Il Movimento 5 Stelle e la Lega avevano indicato Paolo Savona, già Ministro dell’industria durante il Governo Ciampi (1993-94). Le voci, dicevamo: dalle stanze del Quirinale era trapelato lo scontento del Presidente della Repubblica sul nome di Savona, considerato eccessivamente euroscettico. Un nome del genere, si argomentava, non sarebbe stato gradito né alle principali cancellerie europee, né ai famigerati mercati.
Poco prima dello scoccare delle 20, si sono aperte le porte della Sala della Vetrata, luogo nel quale avvengono le consultazioni. Ne è uscito il segretario generale della Presidenza della Repubblica, per leggere uno stringato comunicato che confermava le voci che si rincorrevano già da alcune ore: Giuseppe Conte ha rimesso il mandato nelle mani del Presidente. In altri termini, ha rinunciato a formare un governo. Dopo un breve e alquanto insignificante intervento dello stesso ex Presidente del Consiglio incaricato, è stata la volta di Mattarella.
In un discorso breve, ma molto denso, il Capo dello Stato ha spiegato le ragioni per le quali non si era giunti a una soluzione della più lunga crisi di governo della Storia repubblicana. Conviene riportare qui le parole di Mattarella.
“Ho chiesto per il ministero dell’Economia l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con il programma, che non sia visto come sostenitore di una linea più volte manifestata che potrebbe provocare l’uscita dell’Italia dall’euro.
La designazione del Ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato per gli operatori economici e finanziari. Ho chiesto per quel ministero l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, che al di là della stima e della considerazione della persona non sia visto come sostenitore di linee che potrebbe provocare la fuoriuscita dell’Italia dall’euro, cosa differente dal cambiare l’UE in meglio dal punto di vista italiano. A fronte di questa mia sollecitazione ho constatato con rammarico indisponibilità a ogni altra soluzione, e il presidente del consiglio incaricato ha rimesso il mandato”.
Proviamo a tradurre in italiano il linguaggio istituzionale di Mattarella. I partiti che insieme detengono la maggioranza assoluta delle Camere gli hanno sottoposto il nome di Paolo Savona. Il nome è sgradito ai mercati e ai rappresentanti delle istituzioni europee, quindi non ha firmato il decreto di nomina e ha proposto loro un nome più moderato e digeribile, ben consapevole che non avrebbero accettato. Ricevuto l’atteso rifiuto, ha ritenuto impossibile formare un governo.
Da queste parole dovrebbe derivare una sana inquietudine. Quel che è accaduto stasera conferma, laddove ve ne fosse ancora bisogno, alcuni fatti difficilmente contestabili. Sono cose che erano già lampanti, ma che mai erano state espresse in maniera così esplicite dalla prima carica dello Stato. Ecco cosa emerge dal discorso di Mattarella.
- Nell’Unione Europea, la tanto decantata sovranità popolare è fortemente limitata. Se un governo, pur sostenuto dalla maggioranza assoluta del Parlamento, non è gradito all’Unione Europea, alla Germania e ai mercati, il voto popolare non conta nulla. O si fa il governo che dicono questi ultimi, o si torna al voto (“e stavolta cercate di votare come diciamo noi, tanto è inutile”).
- Le ingerenze europee vanno ben oltre quanto previsto dai Trattati e passano per canali leggermente diversi rispetto a quelli previsti dalla Costituzione: l’intimidazione, la speculazione, le pressioni informali.
- Di uscire dall’Euro non se ne parla, in senso letterale. Chi ne parla, chi anche accenna alla possibilità di farlo, addirittura chi lo dice e poi se ne pente (vedi Savona) perde qualsiasi dignità istituzionale. E il Presidente della Repubblica può tenerlo lontano dal governo, con ogni mezzo necessario.
Ma sarebbe troppo semplicistico prendersela soltanto con Mattarella. È evidente che c’è, anche nel panorama politico italiano, chi ha qualcosa da guadagnare da questa impasse. La Lega, ad esempio, potrà presentarsi alle prossime elezioni come il partito vittima principale dei veti europei e raccogliere i dividendi elettorali di questi eventi. Questo spiegherebbe la scelta di impuntarsi su un nome, quello di Savona, che il Quirinale aveva già fatto sapere essere sgradito e ostativo alla formazione del governo giallo-verde.
Nubi oscure si addensano all’orizzonte. Nell’attesa di avere ulteriori elementi, utili a capire come vadano distribuite le responsabilità tra i vari guardiani dell’austerità (ne capiremo di più molto presto, quando si andrà alla conta per il prossimo governo), bisogna prendere atto del fatto che le istituzioni europee e quelle italiane che ne rappresentano la diretta emanazione hanno definitivamente gettato la maschera. Possiamo votare chi ci pare, ci mancherebbe. Ma il governo che verrà dovrà essere gradito in primo luogo ai mercati, alla Commissione europea e ai governi degli Stati che decidono, di fatto, i destini dell’Unione Europea. Abbiamo iniziato con Saramago, chiudiamo con Kafka. Austerità, disoccupazione e precarietà sono nuovi principi costituzionali, che prevalgono su tutto. Il guardiano di questo principio è ancora il Presidente della Repubblica, ma questo è soltanto il meno potente dei guardiani. Dietro di lui, ve ne sono altri ancora più forti: i mercati.
È un giorno nero, certo, ma gli eventi di oggi possono essere l’inizio di un nuovo percorso, segnato da una maggiore consapevolezza di quelli che sono i meccanismi che si nascondono (o, per meglio dire, si nascondevano: ora sono in piena luce) dietro la retorica europeistica. Il bivio che ci si para davanti è chiaro: possiamo scegliere di sottostare ai diktat e di arrenderci al fatto che non vi siano alternative, oppure possiamo continuare a denunciare le storture e i veri obiettivi del progetto europeo, forti del fatto che soltanto chi non vuol aprire gli occhi, ora, non ne vede la natura.
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