Una rete ci salverà. Ebbene
sì adesso è anche la statistica che, oltre a registrare timidi segnali
di ripresa per l'economia e l'occupazione e a ricordare le molte diseguaglianze dell'Italia, conferma come siano le reti informali e sociali a risolvere i problemi di una popolazione sempre più vecchia e sola.
Due caratteristiche legate anche alla longevità della nostro Paese, che
si affiancano al calo per nove anni consecutivi delle nascite e al
triplicarsi del giovani che vanno all'estero in cerca di lavoro. Insomma
«l'appartenenza a un sistema di reti e di relazioni sociali,
lavorative, culturali può dare prospettive innovative e positive alla
società italiana e scongiurare il rischio di un isolamento degli
individui, specialmente anziani». È questa in sintesi la chiave di
lettura scelta dal presidente dell'Istat Giorgio Alleva nel presentare
il Rapporto annuale 2018 sulla situazione del Paese a Montecitorio, a
cui partecipa il presidente della Camera Roberto Fico.
Il lavoro e l'economia
Nel
2017 continua la crescita del numero degli occupati (265 mila, pari a
+1,2%) in tutte le aree del Paese, ma il Mezzogiorno rimane con un saldo
occupazionale negativo rispetto al 2008 (-310 mila unità, -4,8%). Ma,
secondo il rapporto annuale 2018, il riavvicinamento del numero di
occupati ai livelli pre-crisi si deve esclusivamente alla componente
femminile (404 mila unità in più, ma comunque sotto la media europea)
mentre gli uomini fanno tuttora registrare un deficit di 471 mila unità.
Il tasso di occupazione è in crescita e si attesta al 58%, ancora 0,7
punti percentuali sotto il livello del 2008 e lontano dalla media Ue.
Il
numero di disoccupati diminuisce del 3,5% (-105 mila) e il tasso di
disoccupazione passa dall'11,7% del 2016 all'11,2%. Gli inattivi tra i
15 e i 64 anni si riducono per il quarto anno consecutivo e sono sotto i
13,4 milioni. Il calo è stato meno intenso rispetto al 2016 ma comunque
rilevante (-242 mila unità, -1,8%); rispetto al 2008 se ne contano
quasi un milione in meno. I giovani Neet (non occupati e non in
formazione) scendono sotto i 2,2 milioni, con un calo dell'1,1% più
debole di quello registrato nel 2016.
Sul fronte della crescita
gli indicatori disponibili per i primi mesi del 2018 segnalano la
prosecuzione del recupero dell'economia italiana, pur se a ritmi
moderati. Nel primo trimestre dell'anno il Pil è cresciuto dello 0,3% su
base congiunturale; nello stesso periodo inoltre la fiducia delle
famiglie è aumentata, mentre quella delle imprese è diminuita,
mantenendosi però su livelli elevati. Nel 2017 il prodotto è cresciuto
dell'1,5% contro il +0,9% del 2016, sostenuto soprattutto dagli
investimenti fissi lordi. Positivo anche il contributo della domanda
estera. L'espansione dell'attività ha interessato tutti i settori
produttivi a eccezione dell'agricoltura: l'aumento più marcato è quello
dell'industria in senso stretto (+2,1%), mentre i servizi si sono
fermati all'1,5% e le costruzioni allo 0,8%.
Indice di Benessere e diseguaglianze
«Nel
2017 il benessere degli italiani misurato nel Def mostra un deciso
miglioramento in cinque dei dodici indicatori considerati e un
arretramento nei rimanenti sette», scrive l'Istat nel rapporto, mettendo
«in positivo» la riduzione della criminalità predatoria (scippi e
rapine), il miglioramento della partecipazione al mercato del lavoro e
la diminuzione della durata delle cause civili. Invece, risultano «in
negativo» l'aumento delle disuguaglianze e della povertà assoluta, che,
come rivelato già in audizione sul Def, nel 2017 secondo le stime
preliminari interesserebbe l'8,3% dei residenti (circa 5 milioni) contro
il 7,9% nel 2016. Inoltre, fa presente l'Istat, «gli indicatori
disponibili per i primi mesi del 2018 segnalano la prosecuzione del
recupero della crescita dell'economia italiana, pur se a ritmi
moderati».
Nonostante la ripresa però aumentano diseguaglianza e
povertà assoluta. Quest'ultima, secondo le stime preliminari, nel 2017
interesserebbe l'8,3% dei residenti contro il 7,9% del 2016. La
diseguaglianza economica - misurata dal rapporto fra il totale del
reddito equivalente ricevuto dal 20% della popolazione con i redditi più
alti e dal 20% della popolazione con quelli più bassi - raggiunge un
livello di 6,4 (6,3 nel 2016). La povertà assoluta riguarda poco meno di
1,8 milioni di famiglie e circa 5 milioni di individui.
Complessivamente si tratta di 154.000 famiglie e 261.000 persone in più
rispetto all'anno prima. la ripresa dell'inflazione spiega circa la metà
dell'incremento dell'incidenza della povertà assoluta; l'altra metà va
ascritta invece al peggioramento della capacità di spesa delle famiglie
scese sotto la soglia di povertà. A livello territoriale, la povertà
assoluta aumenta nel Mezzogiorno e nel Nord, mentre scende al Centro.
Il ruolo delle reti
Il
78,7% delle persone di 18 anni e più dichiara di poter fare affidamento
almeno su un parente, un amico o un vicino. È questa la forza delle
reti informali e sociali che il rapporto Istat considera uno dei
paracadute principali del nostro Paese. Tra le persone che rappresentano
un sostegno, sono gli amici la categoria più indicata (62,2% dei casi)
seguita dai vicini (51,4%) e dai parenti (45,8%). Con un sostegno che è
anche di tipo economico. «Il 44,7% degli individui - riferisce il report
- dichiara di avere almeno una persona non coabitante su cui contare in
caso di bisogno urgente di denaro (800 euro)».
All'aumentare
dell'età sono sempre meno le persone che dichiarano di poter contare su
una rete variegata (parenti, amici e vicini): la quota tra i più anziani
(25,6% delle persone di 75 anni e oltre) è meno della metà di quella
dei più giovani (57,8% delle persone tra i 18 e i 24 anni). Al crescere
dell'età, invece, prevalgono le reti esclusive, in particolare quelle
costituite solo da parenti o solo da vicini. La rete informale di aiuto e
sostegno sociale si attiva in funzione di una serie di bisogni connessi
con diversi eventi, dalla nascita dei figli alle difficoltà economiche:
oltre un terzo delle famiglie sostenute informalmente ha ricevuto aiuto
per attività domestiche (34,5%). Più di una famiglia su quattro per
compagnia, accompagnamento, ospitalità ed espletamento pratiche
burocratiche.
Il mondo del volontariato
Le
istituzioni non-profit attive in Italia nel 2015 sono oltre 330 mila,
l'11,6% in più rispetto al 2011, e impiegano complessivamente 788 mila
dipendenti e 5,5 milioni di volontari. Rispetto al 2011 sono in aumento
sia il numero di volontari (del 16,2%), sia il numero dei lavoratori
dipendenti (del 15,8%). La fotografia del settore scattata dal Rapporto
annuale 2018 dell'Istat perciò evidenzia come il numero di istituzioni
non-profit cresca in tutte le regioni italiane, a eccezione del Molise
(-2%).
Aumenti particolarmente sostenuti si registrano in
Campania (+33%), nel Lazio (+29,5%) e, in misura più contenuta, in
Lombardia (+14,1 %) e in Sardegna (+12,2%). Considerando la popolazione
presente sul territorio, il Nord-Est presenta la più alta incidenza di
istituzioni non-profit, in particolare nelle province di Gorizia (9,7
istituzioni per mille abitanti), Belluno, Trieste, Udine e Pordenone.
All'interno del Nord-Ovest, l'area con più incidenza parte da Aosta e si
estende tra il Piemonte e la Liguria. Nel Centro, l'area di maggiore
diffusione rispetto alla popolazione residente si trova tra le province
di Siena (8,2, nona provincia italiana per presenza di istituzioni),
Grosseto, Pisa, Lucca, Perugia e buona parte delle Marche. Nel
Mezzogiorno, invece, si distingue la Sardegna, dove tutte le province
presentano valori superiori alla media nazionale (con il dato più
elevato nella provincia di Oristano).
Considerandola diffusione
del settore in base al numero di dipendenti impiegati in rapporto alla
popolazione residente, la provincia autonoma di Trento presenta il
valore più elevato (230 dipendenti per 10 mila abitanti, rispetto a una
media nazionale di 130), seguita da Lombardia (180), Lazio (173) ed
Emilia-Romagna (161). La presenza dei volontari è superiore al dato
nazionale (911 volontari per 10 mila abitanti) poi nelle province
autonome di Trento e Bolzano (rispettivamente 3.004 e 2.200) e in Valle
d'Ao sta (2.037).
Popolazione e migrazioni
Italiani
più vecchi e soli. La popolazione totale infatti diminuisce per il
terzo anno consecutivo di quasi 100mila persone rispetto al precedente:
al 1° gennaio 2018 si stima che la popolazione ammonti a 60,5 milioni,
con 5,6 milioni di stranieri (8,4%). E così l'Italia si conferma essere
il secondo paese più vecchio del mondo: 168,7 anziani ogni 100 giovani.
Il Paese appare anche più fragile rispetto all'Ue: il 17,2% si sente
privo o quasi di sostegno sociale.
Gli anziani che vivono soli
passano oltre 10 ore senza interazioni con altri. Parallelamente
continuano a calare le nascite per il nono anno consecutivo: nel 2017 ne
sono state stimate 464 mila, il 2% in meno sul 2016 e nuovo minimo
storico. E pur mantenendosi su livelli decisamente più elevati di quelli
delle cittadine italiane, cala anche il numero medio dei figli di
cittadine straniere. Inoltre si diventa genitori sempre più tardi: l'età
media delle donne alla nascita del primo figlio è 31 anni nel 2016,
mentre nel 1980 era 25 anni.
È in crescita il numero di cittadini
stranieri che diventano italiani. Nel 2016 sono oltre 201 mila le
acquisizioni di cittadinanza e si stima che nel 2017 superino le 224
mila. Questa quota riguarda perlopiù cittadini non comunitari: il 18,3%
dei naturalizzati nel 2016 ha come cittadinanza di origine quella
albanese e il 17,5% quella marocchina nella sezione dedicata alle
traiettorie migratorie. Nel 2016, inoltre, sono stati rilasciati quasi
227 mila nuovi permessi di soggiorno. Di questi il 5,7% riguarda le
migrazioni per lavoro dei non comunitari (che toccano un nuovo minimo
storico), il 34,3% è per asilo politico e motivi umanitari e il 45,1%
per ricongiungimento familiare.
Aumenta anche il numero dei
"nuovi italiani" che lasciano l'Italia: tra il 2012 e il 2016 circa 25
mila naturalizzati si sono trasferiti altrove, nella maggior parte dei
casi in Paesi Ue (quasi 19 mila, pari al 75,6% degli emigrati
naturalizzati). Ma nel complesso il saldo migratorio, positivo da oltre
vent'anni, si contrae ma è in lieve ripresa negli ultimi due anni
(stimato in 184 mila unità nel 2017): le immigrazioni dall'estero si
sono ridotte da 527 mila iscritti in anagrafe nel 2007 a 337 mila
stimati nel 2017. Le emigrazioni per l'estero invece sono triplicate,
passando da 51 mila a 153 mila.
Istruzione e cultura
Per
una quota consistente di italiani arte, patrimonio e, in generale,
cultura sono poco attraenti: si tratta di attività che si praticano
soprattutto quando si va a scuola o all'università, ma che non
attecchiscono e che si abbandonano a mano a mano che avanza l'età. Nel
2016, il 66,3 per cento della popolazione di 6 anni e più ha dedicato il
proprio tempo, almeno una volta nei 12 mesi
precedenti, a
intrattenimenti e spettacoli fuori casa; il 40,5 per cento si è dedicato
alla lettura di libri (per motivi non strettamente scolastici o
professionali) e il 43,9 per cento ha letto quotidiani almeno una volta
alla settimana.
La quota di cittadini che, nello stesso periodo,
non ha svolto alcuna attività culturale, neppure semplice e
occasionale, è del 18,6 per cento. La quota di non partecipazione delle
donne è più alta di quella degli uomini (21,5 contro 15,5 per cento). Il
fenomeno è molto legato all'età: l'inattività culturale totale, minima
tra i giovani, è considerevolmente più frequente tra gli adulti, già a
partire dai 25 anni, anche se il crollo della partecipazione avviene
dopo i 75 anni, quando tocca il 43,5 per cento, in misura molto più
elevata per le donne (49,7 per cento) che per gli uomini (34,0 per
cento).
L'esclusione culturale colpisce soprattutto le famiglie a
basso reddito con stranieri e quelle degli operai in pensione, tra le
quali più della metà delle persone non svolge nessuna forma di attività
culturale, per quanto limitata e occasionale. Altri gruppi sociali dove
questi comportamenti sono pervasivi sono quelli in cui sono più presenti
gli esclusi dal lavoro: anziane sole e giovani disoccupati e le
famiglie a basso reddito di soli italiani.
A non aiutare
l'accesso alla cultura anche una rete di luoghi culturali certo
capillare, ma non a sistema soprattutto sul fronte musei. Le biblioteche
e i musei italiani, infatti, costituiscono secondo l'Istat «reti di
servizi diffusi capillarmente; se la prime hanno una rete altamente
strutturata, quella dei musei non presenta ancora caratteristiche di
sistema». Il panorama dei frequentatori delle biblioteche in Italia non è
consolante: l'ente di statistica rileva infatti che sono frequentate di
più dai giovani mentre casalinghe e ritirati dal lavoro rappresentano
il "non pubblico" di questo servizio culturale. Alla fine del 2016 sono
attive circa 14 mila biblioteche, pubbliche per oltre l'81%.
Rispetto
al numero di abitanti, i valori più alti sono in Valle d'Aosta (42
biblioteche ogni centomila abitanti), Trentino-Alto Adige, Sardegna e
Molise (dove si superano le 37 unità per centomila residenti). In Puglia
e Campania non si arriva a 20 biblioteche ogni centomila abitanti. «Nel
2015 - rileva ancora l'Istat - il 15,1% degli italiani è stato in
biblioteca almeno una volta in 12 mesi. I servizi bibliotecari sono
utilizzati in misura prevalente da bambini, adolescenti e giovani (la
percentuale si mantiene ben al di sopra del 30% fino ai 24 anni)».
Servizi di trasporto pubblico
In
Italia il trasporto pubblico locale appare sottoutilizzato: gli utenti
abituali di autobus, filobus e tram sono l'11 dei residenti dai 14 anni
in su. Nel 2016, infatti, quasi quattro italiani su cinque si sostano
giornalmente utilizzando mezzi propri per un tasso di motorizzazione di
625 auto ogni 1.000 abitanti. Un dato largamente superiore a quello
registrato nei maggiori Paesi europei (555 in Germania, 492 in Spagna,
479 in Francia, 469 nel Regno Unito).
Nel biennio 2015-16
l'offerta del trasporto pubblico locale ha recuperato una parte della
flessione registrata nel quadriennio precedente, ma è ancora inferiore
del 2,2% rispetto a quella del 2011. Tra il 2011 e il 2016 si poi
modificata anche la ripartizione dell'offerta. Nei capoluoghi o città
metropolitane l'offerta di autobus e filobus è diminuita del 12,6%,
quella del tram è aumentata del 3,7%, così come quella della
metropolitana (+18,1%).
L'Istat inoltre analizza la
diseguaglianza sociale delle tre più grandi città italiane (Milano, Roma
e Napoli) che viene rappresentata in forma cartografica e tramite i
tracciati delle linee metropolitane che aiutano a percorrere idealmente
le città. La metodologia usata è un indice sintetico di vulnerabilità
sociale e materiale e un indicatore di valore immobiliare delle città
con cui è possibile mettere in luce le differenze tra le diverse zone
urbane. E così si vede che Milano ha una struttura radiale, che procede
per espansioni a partire dal centro storico per cerchi concentrici che
si sono via via definiti nel tempo.
Le aree più benestanti
coincidono con quelle con i più alti valori immobiliari e si addensano
soprattutto nel centro geografico della città mentre le zone con più
alta vulnerabilità sociale e materiale si trovano tutte al di fuori del
nucleo centrale della città.