La Grecia può tranquillamente affondare. Dopo la conclusione
dell’Eurogruppo – convocato proprio per sciogliere le incertezze sul
destino da scrivere per Atene – bisogna prendere atto che “i creditori”
sono profondamente divisi e che le loro divisioni portano a non decidere
nulla. Tranne che la Grecia deve pagare secondo le scadenze previste,
anche se non ha soldi per farlo.
Se vi sembra contorto… avete ragione. La colpa è ovviamente degli accordi bizantini presi sulla testa dei greci e a loro imposti a bruttissimo muso. Per capirci: Atene deve restituire a luglio 7 miliardi di prestiti, soprattutto nei confronti della Bce, ma non li ha. Il meccanismo disegnato a suo tempo prevede che siano gli stessi creditori a forniglieli sotto forma di una nuova tranche di “aiuti”.
Ma non si sono messi d’accordo fra loro, anche per l’opposizione convergente di Germania e Fondo Monetario Internazionale, su posizioni opposte. Il Fmi, quasi a dispetto della sua fama, vorrebbe che il debito greco fosse “ristrutturato” (ossia tagliato, ridotto) fino a diventare sostenibile, in modo da rendere credibili i piani di rientro. Per la stessa ragione, vorrebbe che ad Atene fosse imposto un avanzo primario più basso di quello previsto oggi (3,5% rispetto al Pil), dando un filo di fiato in più alla derelitta economia ellenica. Altrimenti non prevede di partecipre a nuovi piani di “aiuto” che richiedono prestiti impossibili da restituire.
Sul fronte opposto il cerbero numero uno, il ministro delle finanze di Berlino, Wolfgang Schaeuble, che ha il problema tutto politico di non concedere un euro di prestito prima delle elezioni di fine settembre (lui stesso è la fonte della bufala che circola in Germania sui “laboriosi tedeschi” costretti a regalare soldi alle “cicale mediterranee”). Ragion per cui sostiene che si deve aspettare la chiusura del terzo pacchetto nell’estate 2018, «e poi vedremo quali altre misure siano necessarie».
In mezzo è rimasto il giovane ma spietato presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, secondo cui Atene obbedisce quanto basta (“molto lavoro è stato fatto”, soprattutto per quanto riguarda “azioni prioritarie” come taglio ulteriore di sanità, pensioni e ultime privatizzazioni). Questo era dunque sembrato un via libera per il pagamento della tranche di aiuti già prevista per il 15 giugno. Tanto più che sia il nuovo governo francese che il commissario europeo per gli affari economici (l’altrettanto francese Pierre Moscovici) si erano già pronunciati a favore sia della “promozione” di Atene nella “seconda revisione”, sia della (piccola) ristrutturazione del debito greco.
Nulla di fatto, invece. Le necessità elettorali della Cdu tedesca vengono prima di tutto il resto. A conferma che l’Unione Europea è un meccanismo impersonale architettato per favorire il capitale finanziario multinazionale, ma “rispettoso” di un solo interesse nazionale.
Se vi sembra contorto… avete ragione. La colpa è ovviamente degli accordi bizantini presi sulla testa dei greci e a loro imposti a bruttissimo muso. Per capirci: Atene deve restituire a luglio 7 miliardi di prestiti, soprattutto nei confronti della Bce, ma non li ha. Il meccanismo disegnato a suo tempo prevede che siano gli stessi creditori a forniglieli sotto forma di una nuova tranche di “aiuti”.
Ma non si sono messi d’accordo fra loro, anche per l’opposizione convergente di Germania e Fondo Monetario Internazionale, su posizioni opposte. Il Fmi, quasi a dispetto della sua fama, vorrebbe che il debito greco fosse “ristrutturato” (ossia tagliato, ridotto) fino a diventare sostenibile, in modo da rendere credibili i piani di rientro. Per la stessa ragione, vorrebbe che ad Atene fosse imposto un avanzo primario più basso di quello previsto oggi (3,5% rispetto al Pil), dando un filo di fiato in più alla derelitta economia ellenica. Altrimenti non prevede di partecipre a nuovi piani di “aiuto” che richiedono prestiti impossibili da restituire.
Sul fronte opposto il cerbero numero uno, il ministro delle finanze di Berlino, Wolfgang Schaeuble, che ha il problema tutto politico di non concedere un euro di prestito prima delle elezioni di fine settembre (lui stesso è la fonte della bufala che circola in Germania sui “laboriosi tedeschi” costretti a regalare soldi alle “cicale mediterranee”). Ragion per cui sostiene che si deve aspettare la chiusura del terzo pacchetto nell’estate 2018, «e poi vedremo quali altre misure siano necessarie».
In mezzo è rimasto il giovane ma spietato presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, secondo cui Atene obbedisce quanto basta (“molto lavoro è stato fatto”, soprattutto per quanto riguarda “azioni prioritarie” come taglio ulteriore di sanità, pensioni e ultime privatizzazioni). Questo era dunque sembrato un via libera per il pagamento della tranche di aiuti già prevista per il 15 giugno. Tanto più che sia il nuovo governo francese che il commissario europeo per gli affari economici (l’altrettanto francese Pierre Moscovici) si erano già pronunciati a favore sia della “promozione” di Atene nella “seconda revisione”, sia della (piccola) ristrutturazione del debito greco.
Nulla di fatto, invece. Le necessità elettorali della Cdu tedesca vengono prima di tutto il resto. A conferma che l’Unione Europea è un meccanismo impersonale architettato per favorire il capitale finanziario multinazionale, ma “rispettoso” di un solo interesse nazionale.
Nessun commento:
Posta un commento