Nel 1994, Linda Goldberg, Barry Ickes e Randi Ryterman conclusero il
loro articolo sulla rottura dell’area del rublo (rublozona, RZ)
cogliendo quello che hanno definito un “paradossale” contrasto con il
contemporaneo progredire dell’unione monetaria in Europa.
“Nella Comunità europea, la partecipazione all’Exchange Rate Mechanism (ERM, meccanismo del tasso di cambio, ndt) è stata in parte collegata al desiderio dei paesi di importare la disciplina monetaria imposta da un centro forte, la Germania. Questo abbraccio della disciplina monetaria in Europa non minaccia la sovranità e l’indipendenza dei paesi membri. Al contrario, la decisione dei paesi di rimanere nell’area del rublo restringe in modo chiaro il ritmo e la direzione delle loro riforme economiche. L’abbandono della zona del rublo è un rigetto del controllo da parte della Russia sia sulla politica monetaria che sulla strategia di riforme.”(1)
Questi autori non hanno colto il vero paradosso. La storia della RZ è iniziata con l’autorizzazione alle ex-Repubbliche Sovietiche (FSR) a condividere la moneta della Russia senza avere virtualmente nessun vincolo sulla propria sovranità – nel senso di essere forzati ad attenersi a determinate regole su come condurre le proprie politiche monetarie, fiscali e finanziarie. In particolare, per un certo periodo le banche centrali delle FSR sono state in grado di emettere rubli per i pagamenti non in contanti a proprio piacimento. In questo modo la RZ ha avuto due effetti: ha permesso alle FSR di non fare le riforme necessarie; e ha minato le stesse riforme russe, che miravano alla stabilizzazione macroeconomica (o, per metterla in modo più preciso, la RZ completò il cattivo lavoro che la banca centrale russa (BCR) stava facendo per proprio conto nel combattere l’inflazione in patria). Fu solo nel 1993, quando la Russia – come forma di autodifesa economica – iniziò a imporre politiche stringenti e condizioni di convergenza alle FSR, che queste ultime decisero di uscire da questa unione monetaria e introdurre le proprie monete nazionali. Nel 1994, la RZ era finita nel cestino della storia.
Questo illuminante precedente per l’eurozona (EZ) ha spinto un inviato di Bloomberg a commentare, nel giugno 2012: “Col senno di poi, è sorprendente che gli architetti dell’euro non abbiano riflettuto maggiormente sul fallimento della rublozona mentre costruivano la loro grande architettura” (2). In effetti, i cosiddetti architetti non pensarono molto alla RZ. A pochi giorni dalla firma dei Trattati di Maastricht nel dicembre 1991, l’Unione Sovietica collassò e fu stabilita la RZ, che comprendeva le FSR adesso sovrane. Nel preciso momento in cui l’Europa aveva concordato di lanciare un’unione monetaria tra stati sovrani, l’ultima cosa che volevano i funzionari europei era l’imbarazzante spettacolo del fallimento di una unione monetaria formata in modo simile, alle porte dell’Europa.
Di conseguenza, gli “architetti dell’euro” dettero un forte supporto politico alla RZ. Così come la creazione dell’euro era stata basata su un razionale economico discutibile che aveva a che fare con le aree valutarie ottimali, allo stesso modo gli architetti dell’euro determinarono una tesi economica per l’esistenza della RZ: era un mezzo per preservare i profondi legami commerciali tra le FSR. Entravano in gioco delle considerazioni politiche – che andavano dai timori della destabilizzazione di una potenza nucleare come effetto di un eccessivo disordine economico, alla preoccupazione più spicciola che aggiustamenti economici radicali nella ex-URSS – sebbene necessari e in ultima analisi benefici – potessero portare a maggiori richieste di sostegno alla bilancia dei pagamenti da parte dei paesi occidentali (i quali, sia bilateralmente che attraverso le istituzioni finanziarie internazionali, avevano rifiutato di garantire alla Russia la stessa riduzione del debito della quale avevano beneficiato altre economie post-comuniste in transizione, come la Polonia).
Comunque sia, le argomentazioni economiche sulle relazioni commerciali all’interno della ex-Unione Sovietica (FSU) erano viziate. Quelle relazioni erano l’eredità della pianificazione centrale; e una volta collassata l’Unione Sovietica, il razionale economico per mantenere questi legami era insufficiente. I prezzi del commercio intra-regionale, prima della liberalizzazione degli stessi, erano mal calcolati e definiti per la maggior parte sulla base del baratto, portando all’accumulazione, al mercato nero e alla carenza di scorte (3). La gran parte del commercio sovietico era basato su prodotti per i quali non c’era domanda. Operando sotto “vincoli di bilancio flessibili”, liberi dalla disciplina di un mercato competitivo, le imprese statali delle FSR fornivano beni alle altre repubbliche, senza curarsi delle loro necessità e della loro capacità di pagare – e assumendo invece che i crediti della BCR sarebbero stati sufficienti per regolare tutte le transazioni (4). Gaddy e Ickes affermarono in sintesi che le imprese industriali post-sovietiche erano sopravvissute “nonostante i loro risultati, invece che grazie ad essi” (5). Anche se c’era un’argomentazione di tipo gravitazionale, basata sulla vicinanza tra le FSR, una volta che furono introdotte le monete nazionali e liberalizzati i prezzi, la quota parte del commercio intra-FSR sul totale scese dal 57% del 1992 al 33% del 1997 (6).
In aggiunta ai razionali economici dubbi, le origini della RZ e dell’EZ condividono un’altra caratteristica comune: il volontarismo politico. Così come, nel caso dell’EZ, la classe al governo in Francia vedeva l’unione monetaria come un modo per accrescere il potere francese impedendo che la Bundesbank fosse di proprietà esclusiva della Germania (in corso di riunificazione), gran parte dell’élite russa era similmente ansiosa di mettere in salvo quanto più possibile dell’Unione Sovietica, che era stata uno strumento del potere russo. Bordo e Jonung hanno concluso che le unione monetarie sono sempre motivate politicamente – guidate (come sostenuto da Mark Mazower, riportato nello stesso articolo di Bloomberg citato sopra) da “una visione ideologica dell’elite”. (7,8)
Nel caso delle FSR, la motivazione politica era molto differente. Da poco dotate di sovranità, le FSR avevano ben poca volontà di lavorare per una RZ cooperativa, poiché la moneta comune era diventata il simbolo dell’ “ultima istituzione sovietica” (9). Allo stesso tempo, le FSR non gettarono immediatamente nella spazzatura la RZ, come invece fecero con altre iniziative russe tese a stabilire alcune istituzioni sovra-nazionali, come le forze armate. Al contrario, e in un modo che presagiva le relazioni odierne tra la BCE e le autorità fiscali dell’eurozona, le FSR erano incentivate a creare deficit quanto più grandi possibili emettendo crediti in rubli che “incrementavano gli acquisti reali del governo nazionale, facendone ricadere i i costi sui detentori di attività nominali in tutta l’area valutaria” (10,11).
Questa agenda delle FSR era supportata in Russia dagli interessi economici della potente lobby dell’industria, che voleva che i crediti della banca centrale continuassero a coprire le usuali transazioni con fornitori e compratori – molti dei quali erano nelle varie FSR. Questi interessi avevano un potente alleato nel governatore della BCR Viktor Gerashchenko (nominato il 17 luglio 1992), di mentalità sovietica, che sino alla fine del 1992 fornì abbondante liquidità e prestiti senza interessi per un totale rispettivamente del 3.1% e del 10% del PIL russo (12). Poiché nel dicembre 1991 la Russia aveva perso l’accesso al credito internazionale dopo il fallimento nel credito commerciale a breve termine della Vneshekonombank, questi oneri parafiscali erano finanziati attraverso la BCR quasi esclusivamente con la creazione di moneta, portando ad una inflazione molto alta e volatile (13).
Questa dinamica cambiò quando Boris Fyodorov fu nominato Ministro delle Finanze, nel gennaio 1993. La lotta all’inflazione divenne una delle maggiori priorità e i crediti alle FSR uno dei maggiori obiettivi. L’incentivo a limitare i costi della RZ venne dalle negoziazioni con il FMI su una nuova linea di credito progettata in particolare per la Russia (Sistemic Transformation Facility, STF). Ormai il FMI – che prima si era unito alla UE nel supportare la RZ – aveva riconosciuto la necessità per ogni FSR di introdurre la propria moneta nazionale (Pomfret, 2002) (questa dinamica FMI-UE assomiglia alla storia della preannunciata Grexit).
Nell’aprile 1993 i crediti furono tecnicamente aboliti e tutti i crediti alle FSR precedentemente accumulati nel 1992-1993 furono trasformati in debito statale (denominato in dollari USA e con un tasso d’interesse collegato al Libor), trasferiti sul bilancio pubblico e quindi sotto il controllo del Ministero delle Finanze. Questo limitò la generosità del presidente della BCR verso le FSR. Con la stretta creditizia verso le FSR, la loro domanda di liquidità aumentò drasticamente e divenne la principale minaccia. La Russia agì il 24 luglio 1993 introducendo una riforma monetaria con cui le banconote dell’era sovietica (raffiguranti Lenin) in circolazione nelle FSR cessavano di avere corso legale in Russia. Le FSR furono costrette a scegliere tra: introdurre le proprie monete; o negoziare con la Russia per criteri simili a quelli di Maastricht. Preferirono andare per la propria strada valutaria (14).
Così, per tornare alla citazione dello studio di Goldberg, Ickes e Ryterman dal quale siamo partiti, la lezione “paradossale” della RZ per l’Europa è che quando l’ERM si è trasformato nell’EZ i paesi periferici dell’EZ hanno sperimentato precisamente quell’erosione della loro sovranità e indipendenza che la Russia finì col richiedere alle FSR come condizione per continuare a condividere il rublo. Applicata all’EZ, l’analogia col collasso della RZ suggerisce due scenari: o i corrispettivi delle FSR – ad esempio, i paesi meno competitivi della Germania – alla fine si sottraggono ai vincoli dell’odierna unione di trasferimento e decidono di uscire; o, in alternativa, la Germania arriva a considerare gli accordi esistenti, secondo i quali la BCE (e l’ESM) in effetti finanziano i deficit di bilancio così come la BCR finanziava le FSR, come un intollerabile onere fiscale – e/o un onere potenzialmente inflazionistico – sui propri contribuenti. A quel punto, la Germani stessa potrebbe decidere di lasciare, o insistere su regole più stringenti (o almeno, su un’applicazione più stringente delle regole attuali) col risultato che altri paesi più deboli usciranno.
“Nella Comunità europea, la partecipazione all’Exchange Rate Mechanism (ERM, meccanismo del tasso di cambio, ndt) è stata in parte collegata al desiderio dei paesi di importare la disciplina monetaria imposta da un centro forte, la Germania. Questo abbraccio della disciplina monetaria in Europa non minaccia la sovranità e l’indipendenza dei paesi membri. Al contrario, la decisione dei paesi di rimanere nell’area del rublo restringe in modo chiaro il ritmo e la direzione delle loro riforme economiche. L’abbandono della zona del rublo è un rigetto del controllo da parte della Russia sia sulla politica monetaria che sulla strategia di riforme.”(1)
Questi autori non hanno colto il vero paradosso. La storia della RZ è iniziata con l’autorizzazione alle ex-Repubbliche Sovietiche (FSR) a condividere la moneta della Russia senza avere virtualmente nessun vincolo sulla propria sovranità – nel senso di essere forzati ad attenersi a determinate regole su come condurre le proprie politiche monetarie, fiscali e finanziarie. In particolare, per un certo periodo le banche centrali delle FSR sono state in grado di emettere rubli per i pagamenti non in contanti a proprio piacimento. In questo modo la RZ ha avuto due effetti: ha permesso alle FSR di non fare le riforme necessarie; e ha minato le stesse riforme russe, che miravano alla stabilizzazione macroeconomica (o, per metterla in modo più preciso, la RZ completò il cattivo lavoro che la banca centrale russa (BCR) stava facendo per proprio conto nel combattere l’inflazione in patria). Fu solo nel 1993, quando la Russia – come forma di autodifesa economica – iniziò a imporre politiche stringenti e condizioni di convergenza alle FSR, che queste ultime decisero di uscire da questa unione monetaria e introdurre le proprie monete nazionali. Nel 1994, la RZ era finita nel cestino della storia.
Questo illuminante precedente per l’eurozona (EZ) ha spinto un inviato di Bloomberg a commentare, nel giugno 2012: “Col senno di poi, è sorprendente che gli architetti dell’euro non abbiano riflettuto maggiormente sul fallimento della rublozona mentre costruivano la loro grande architettura” (2). In effetti, i cosiddetti architetti non pensarono molto alla RZ. A pochi giorni dalla firma dei Trattati di Maastricht nel dicembre 1991, l’Unione Sovietica collassò e fu stabilita la RZ, che comprendeva le FSR adesso sovrane. Nel preciso momento in cui l’Europa aveva concordato di lanciare un’unione monetaria tra stati sovrani, l’ultima cosa che volevano i funzionari europei era l’imbarazzante spettacolo del fallimento di una unione monetaria formata in modo simile, alle porte dell’Europa.
Di conseguenza, gli “architetti dell’euro” dettero un forte supporto politico alla RZ. Così come la creazione dell’euro era stata basata su un razionale economico discutibile che aveva a che fare con le aree valutarie ottimali, allo stesso modo gli architetti dell’euro determinarono una tesi economica per l’esistenza della RZ: era un mezzo per preservare i profondi legami commerciali tra le FSR. Entravano in gioco delle considerazioni politiche – che andavano dai timori della destabilizzazione di una potenza nucleare come effetto di un eccessivo disordine economico, alla preoccupazione più spicciola che aggiustamenti economici radicali nella ex-URSS – sebbene necessari e in ultima analisi benefici – potessero portare a maggiori richieste di sostegno alla bilancia dei pagamenti da parte dei paesi occidentali (i quali, sia bilateralmente che attraverso le istituzioni finanziarie internazionali, avevano rifiutato di garantire alla Russia la stessa riduzione del debito della quale avevano beneficiato altre economie post-comuniste in transizione, come la Polonia).
Comunque sia, le argomentazioni economiche sulle relazioni commerciali all’interno della ex-Unione Sovietica (FSU) erano viziate. Quelle relazioni erano l’eredità della pianificazione centrale; e una volta collassata l’Unione Sovietica, il razionale economico per mantenere questi legami era insufficiente. I prezzi del commercio intra-regionale, prima della liberalizzazione degli stessi, erano mal calcolati e definiti per la maggior parte sulla base del baratto, portando all’accumulazione, al mercato nero e alla carenza di scorte (3). La gran parte del commercio sovietico era basato su prodotti per i quali non c’era domanda. Operando sotto “vincoli di bilancio flessibili”, liberi dalla disciplina di un mercato competitivo, le imprese statali delle FSR fornivano beni alle altre repubbliche, senza curarsi delle loro necessità e della loro capacità di pagare – e assumendo invece che i crediti della BCR sarebbero stati sufficienti per regolare tutte le transazioni (4). Gaddy e Ickes affermarono in sintesi che le imprese industriali post-sovietiche erano sopravvissute “nonostante i loro risultati, invece che grazie ad essi” (5). Anche se c’era un’argomentazione di tipo gravitazionale, basata sulla vicinanza tra le FSR, una volta che furono introdotte le monete nazionali e liberalizzati i prezzi, la quota parte del commercio intra-FSR sul totale scese dal 57% del 1992 al 33% del 1997 (6).
In aggiunta ai razionali economici dubbi, le origini della RZ e dell’EZ condividono un’altra caratteristica comune: il volontarismo politico. Così come, nel caso dell’EZ, la classe al governo in Francia vedeva l’unione monetaria come un modo per accrescere il potere francese impedendo che la Bundesbank fosse di proprietà esclusiva della Germania (in corso di riunificazione), gran parte dell’élite russa era similmente ansiosa di mettere in salvo quanto più possibile dell’Unione Sovietica, che era stata uno strumento del potere russo. Bordo e Jonung hanno concluso che le unione monetarie sono sempre motivate politicamente – guidate (come sostenuto da Mark Mazower, riportato nello stesso articolo di Bloomberg citato sopra) da “una visione ideologica dell’elite”. (7,8)
Nel caso delle FSR, la motivazione politica era molto differente. Da poco dotate di sovranità, le FSR avevano ben poca volontà di lavorare per una RZ cooperativa, poiché la moneta comune era diventata il simbolo dell’ “ultima istituzione sovietica” (9). Allo stesso tempo, le FSR non gettarono immediatamente nella spazzatura la RZ, come invece fecero con altre iniziative russe tese a stabilire alcune istituzioni sovra-nazionali, come le forze armate. Al contrario, e in un modo che presagiva le relazioni odierne tra la BCE e le autorità fiscali dell’eurozona, le FSR erano incentivate a creare deficit quanto più grandi possibili emettendo crediti in rubli che “incrementavano gli acquisti reali del governo nazionale, facendone ricadere i i costi sui detentori di attività nominali in tutta l’area valutaria” (10,11).
Questa agenda delle FSR era supportata in Russia dagli interessi economici della potente lobby dell’industria, che voleva che i crediti della banca centrale continuassero a coprire le usuali transazioni con fornitori e compratori – molti dei quali erano nelle varie FSR. Questi interessi avevano un potente alleato nel governatore della BCR Viktor Gerashchenko (nominato il 17 luglio 1992), di mentalità sovietica, che sino alla fine del 1992 fornì abbondante liquidità e prestiti senza interessi per un totale rispettivamente del 3.1% e del 10% del PIL russo (12). Poiché nel dicembre 1991 la Russia aveva perso l’accesso al credito internazionale dopo il fallimento nel credito commerciale a breve termine della Vneshekonombank, questi oneri parafiscali erano finanziati attraverso la BCR quasi esclusivamente con la creazione di moneta, portando ad una inflazione molto alta e volatile (13).
Questa dinamica cambiò quando Boris Fyodorov fu nominato Ministro delle Finanze, nel gennaio 1993. La lotta all’inflazione divenne una delle maggiori priorità e i crediti alle FSR uno dei maggiori obiettivi. L’incentivo a limitare i costi della RZ venne dalle negoziazioni con il FMI su una nuova linea di credito progettata in particolare per la Russia (Sistemic Transformation Facility, STF). Ormai il FMI – che prima si era unito alla UE nel supportare la RZ – aveva riconosciuto la necessità per ogni FSR di introdurre la propria moneta nazionale (Pomfret, 2002) (questa dinamica FMI-UE assomiglia alla storia della preannunciata Grexit).
Nell’aprile 1993 i crediti furono tecnicamente aboliti e tutti i crediti alle FSR precedentemente accumulati nel 1992-1993 furono trasformati in debito statale (denominato in dollari USA e con un tasso d’interesse collegato al Libor), trasferiti sul bilancio pubblico e quindi sotto il controllo del Ministero delle Finanze. Questo limitò la generosità del presidente della BCR verso le FSR. Con la stretta creditizia verso le FSR, la loro domanda di liquidità aumentò drasticamente e divenne la principale minaccia. La Russia agì il 24 luglio 1993 introducendo una riforma monetaria con cui le banconote dell’era sovietica (raffiguranti Lenin) in circolazione nelle FSR cessavano di avere corso legale in Russia. Le FSR furono costrette a scegliere tra: introdurre le proprie monete; o negoziare con la Russia per criteri simili a quelli di Maastricht. Preferirono andare per la propria strada valutaria (14).
Così, per tornare alla citazione dello studio di Goldberg, Ickes e Ryterman dal quale siamo partiti, la lezione “paradossale” della RZ per l’Europa è che quando l’ERM si è trasformato nell’EZ i paesi periferici dell’EZ hanno sperimentato precisamente quell’erosione della loro sovranità e indipendenza che la Russia finì col richiedere alle FSR come condizione per continuare a condividere il rublo. Applicata all’EZ, l’analogia col collasso della RZ suggerisce due scenari: o i corrispettivi delle FSR – ad esempio, i paesi meno competitivi della Germania – alla fine si sottraggono ai vincoli dell’odierna unione di trasferimento e decidono di uscire; o, in alternativa, la Germania arriva a considerare gli accordi esistenti, secondo i quali la BCE (e l’ESM) in effetti finanziano i deficit di bilancio così come la BCR finanziava le FSR, come un intollerabile onere fiscale – e/o un onere potenzialmente inflazionistico – sui propri contribuenti. A quel punto, la Germani stessa potrebbe decidere di lasciare, o insistere su regole più stringenti (o almeno, su un’applicazione più stringente delle regole attuali) col risultato che altri paesi più deboli usciranno.
Nessun commento:
Posta un commento