L’alternanza obbligatoria scuola-lavoro per gli studenti degli ultimi
tre anni delle superiori e che, dal 2018, è prevista come materia
dell’esame di Stato sta causando non pochi problemi agli istituti e ai
professori, che non sanno dove piazzare gli studenti. E su cui ora è
possibile fare un primo bilancio. Lo scrive L’Espresso in una inchiesta.
Per evitare il flop, il ministero dell’istruzione ha messo sul piatto oltre 100 milioni di euro per la formazione dei professori-tutor e ha inserito tra le strutture che possono ospitare i ragazzi associazioni del terzo settore, enti ecclesiastici e sportivi, che si vanno ad aggiungere ad aziende, camere di commercio e ordini professionali.
Per quanto riguarda i criteri che rendono valida un’alternanza, però, si naviga ancora a vista, mentre l’alternanza corre lungo la penisola tra casi di eccellenza e storie di sfruttamento e che finisce per ricalcare il divario tra Nord e Sud quando si parla di lavoro, con gli studenti settentrionali privilegiati rispetto ai compagni meridionali. Si scopre, senza troppe sorprese, riporta L’Espresso, che l’innovazione si registra nelle scuole vicine ai cluster industriali, alla meccanica 4.0, ai poli manifatturieri, alle reti d’impresa, alla Confindustria.
Per Assolombarda, che tiene insieme 5.786 imprese, esiste un problema per le aziende: «Non è che non vogliano gli studenti», spiega il vice presidente Massimo Giovanardi, «è che non sanno come muoversi. Per questo abbiamo predisposto un manuale per spiegare che si può fare».
L’Assolombarda ha creato una piattaforma digitale in cui far incontrare progetti e competenze e ha stilato un elenco per le competenze acquisite a fine progetto, oltre a una tabella su quelle trasversali. Un modello rigido, spiegano, «ma inevitabile».
Per il demografo dell’università Cattolica Alessandro Rosina, che coordina il Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, «il problema non è la rigidità dei modelli o pulire bagni e pavimenti, ma fare in modo che i ragazzi si inseriscano in un tessuto socio-culturale ricco, che ci sia occasione di motivazione e sviluppo delle competenze: più ti scontri con i tuoi limiti, più vuoi imparare. Invece l’alternanza della Buona scuola ha obiettivi generici, nessun piano di stima d’impatto, scarsa uniformità sulla valutazione. Eppure gli studenti, che vedono e temono la disoccupazione, chiedono alla scuola di essere rafforzati proprio sulle competenze per poi stare sul mercato»
Per evitare il flop, il ministero dell’istruzione ha messo sul piatto oltre 100 milioni di euro per la formazione dei professori-tutor e ha inserito tra le strutture che possono ospitare i ragazzi associazioni del terzo settore, enti ecclesiastici e sportivi, che si vanno ad aggiungere ad aziende, camere di commercio e ordini professionali.
Per quanto riguarda i criteri che rendono valida un’alternanza, però, si naviga ancora a vista, mentre l’alternanza corre lungo la penisola tra casi di eccellenza e storie di sfruttamento e che finisce per ricalcare il divario tra Nord e Sud quando si parla di lavoro, con gli studenti settentrionali privilegiati rispetto ai compagni meridionali. Si scopre, senza troppe sorprese, riporta L’Espresso, che l’innovazione si registra nelle scuole vicine ai cluster industriali, alla meccanica 4.0, ai poli manifatturieri, alle reti d’impresa, alla Confindustria.
Per Assolombarda, che tiene insieme 5.786 imprese, esiste un problema per le aziende: «Non è che non vogliano gli studenti», spiega il vice presidente Massimo Giovanardi, «è che non sanno come muoversi. Per questo abbiamo predisposto un manuale per spiegare che si può fare».
L’Assolombarda ha creato una piattaforma digitale in cui far incontrare progetti e competenze e ha stilato un elenco per le competenze acquisite a fine progetto, oltre a una tabella su quelle trasversali. Un modello rigido, spiegano, «ma inevitabile».
Per il demografo dell’università Cattolica Alessandro Rosina, che coordina il Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, «il problema non è la rigidità dei modelli o pulire bagni e pavimenti, ma fare in modo che i ragazzi si inseriscano in un tessuto socio-culturale ricco, che ci sia occasione di motivazione e sviluppo delle competenze: più ti scontri con i tuoi limiti, più vuoi imparare. Invece l’alternanza della Buona scuola ha obiettivi generici, nessun piano di stima d’impatto, scarsa uniformità sulla valutazione. Eppure gli studenti, che vedono e temono la disoccupazione, chiedono alla scuola di essere rafforzati proprio sulle competenze per poi stare sul mercato»
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