mercoledì 2 dicembre 2015

Le Guerre Povere

Tanti sono i conflitti in corso al giorno d’ oggi sul nostro pianeta. Pochi sono purtroppo quelli che di cui i media parlano, mentre la maggior parte non trovano la giusta risonanza e sono dimenticati semplicemente perché ritenuti a livello economico o geopolitico poco interessanti.
I “piccoli” conflitti dimenticati continuano a mietere vittime, lontani dalle telecamere e nell’indifferenza del “mondo civilizzato”. Non c’è solo l’ Iraq o il Medio Oriente, dunque, ma c’è tutto un mondo parallelo e inquietante ignorato dai media e quindi pressoché sconosciuto all’ opinione pubblica. Ci sono zone della terra dove guerre e genocidi sono all’ ordine del giorno, dove i caschi blu non possono nulla e la soluzione sembra non arrivare mai.
Al di là della loro lontananza geografica, questi conflitti presentano varie caratteristiche geopolitiche che permettono di catalogarli in due grandi categorie.
La prima è costituita da conflitti di lunga data che coinvolgono Stati che furono poco o niente affatto colonizzati, come la Birmania, lo Yemen, la Liberia, la Sierra Leone, l’ Afghanistan, il Sudan, la Somalia; Stati nei quali la resistenza agli occidentali è stata tanto tenace da rendere a volte la colonizzazione precaria e tardiva e ha cementato un contratto sociale arcaico.
La seconda categoria di conflitti, più recente, è costituita dalle cosiddette “crisi da fine impero”: ieri la fine gli imperi coloniali francese, olandese, portoghese e britannico, oggi la fine dell’impero sovietico che controllava numerose nazioni non solo in Europa orientale, ma in tutto il mondo. Cessato un vecchio equilibrio (sia pure sotto una forma di dominio coloniale), spesso passa per la violenza la ricerca di un nuovo equilibrio.
Nelle risoluzioni dell’ ONU o nei comunicati ufficiali delle grandi potenze viene espressa viva preoccupazione per la situazione di qualcuno dei Paesi citati. Tuttavia, ognuno torna poi ad occuparsi dei propri affari.
Gli attori di queste crisi, i signori della guerra locali, sono ormai autonomi, guidati non più da una strategia politica unificata, ma da microstrategie, e stringono alleanze di circostanza, imprevedibili.
Ciò non toglie che in quegli scenari violenti trovino occasione di speculazione anche protagonisti occidentali: imprese legali e illegali o trafficanti di importanza mondiale, che hanno interessi nella regione (produttori di diamanti, compagnie petrolifere…); i mercenari sempre pronti a sfruttare la situazione.
Le grandi potenze si limitano a volgere altrove lo sguardo e queste crisi, definite a bassa intensità poiché non minacciano la pace mondiale, permangono, e per molte di loro anche internet tace.
Anche la maggior parte dell’ opinione pubblica “pacifista”, spesso, quando non sono protagonisti gli Stati Uniti e Israele, tace. Forse vien meno il comodo schema per cui la violenza è frutto soltanto dello sfruttamento capitalista e della cultura occidentale imperialista. Magari le cose fossero così semplici!
Mentre le situazioni in Siria, Iraq e Ucraina riscuotono l’interesse dei mezzi d’informazione occidentali, anche se molte volte gli stessi mezzi di informazione utilizzano, modificano e manipolano a loro piacimento le notizie anche su questi conflitti, sono una trentina le altre guerre di cui si parla pochissimo e che, in assenza di interventi, continueranno a colpire ed uccidere milioni di persone.

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