sabato 19 dicembre 2015

Governo, lo sportello in faccia

Mezze ammissioni, frasi smozzicate, occhi vaganti nel vuoto. La preoccupazione, anzi la paura del Pd la percepisci a pelle, non la trovi nelle dichiarazioni ufficiali. Renzi si sente su una graticola composta da diversi elementi, tra i quali la raffica di mozioni di sfiducia sia sulla Boschi che sul governo tutto è in fondo la meno temibile. Da Porta a Porta reagisce come d’uso, contrattaccando e ostentando una sicurezza posticcia. La mozione di sfiducia? «Un autogol per chi la presenta». Il caso Boschi? «Ma se era anche lei una piccola azionista e ha visto il suo valore azzerato». Dette azioni si aggiravano sui 2mila euro, per inciso. Il conflitto di interessi? «Abbiamo mandato a casa il cda col padre della Boschi, che ha pagato una sanzione. Il tempo delle leggi ad personam è finito». In questo caso si parla in effetti di legge ad bancam. La truffa? «Se verrà dimostrata, i truffati verranno risarciti». Se invece si tratta di una classica «truffa legale», ciccia.
E’ una difesa debole, che rivela le difficoltà del governo. Che in parte dipendono davvero dalle mozioni di sfiducia. Dopo averla presentata alla Camera, nell’ansia di incassare subito i dividendi in termini di grancassa mediatica, l’M5S ne ha depositato una identica anche al Senato. Qui le cose per il governo sono molto più spinose, perché per respingere la mozione potrebbero essere necessari i voti di Denis e della sua Ala: «Verdini salva la Boschi» non è un titolo che possa riempire Renzi di gioia. Oggi, sempre alla Camera, Forza Italia e la Lega dovrebbero invece presentare la mozione contro il governo, decisione presa un po’ perché in effetti Fi si è sempre detta contraria alle mozioni individuali e molto, moltissimo per differenziarsi da un M5S che ha preso d’impeto la guida della campagna anti-Boschi.
Al Senato, invece, Fi si dichiara contraria anche alla mozione contro il governo e punta invece su una commissione d’inchiesta sul sistema bancario. Uno di quei rilanci per finta che servono in realtà ad allentare a tensione, tanto più che Forza Italia ha anche fatto blocco con il governo per impedire una calendarizzazione immediata del voto sulla ministra, e la scelta dei senatori azzurri è stata accolta nel Pd come l’unica buona notizia in una giornata nerissima. L’ordine sparso delle opposizioni in realtà si spiega facilmente: dietro l’angolo ci sono elezioni comunali importantissime, e nessuno vuole avvantaggiare il competitor. Ovvio quindi che Fi faccia il possibile per stemperare il caso Boschi, dal momento che nessuna campagna su un conflitto di interessi può tornare a vantaggio del leader che di quel conflitto è simbolo vivente.
Ma le mozioni, temute più perché amplificheranno il caso che per il loro esito, sono il meno. I veri brividi arrivano dalle inchieste sull’operato di Banca Etruria. L’ex presidente dell’istituto Lorenzo Rosi e l’ex componente del cda Luciano Nataloni, sono indagati per «omessa dichiarazione di conflitto di interessi», ma è solo un primo passo, e oltretutto della vicenda si starebbe occupando, a partire dal ruolo della Consob, anche la procura di Roma.
Inevitabilmente, poi, lo scandalo ha riportato alla luce la faccenda spinosa della legge sulle banche popolari e delle speculazioni che potrebbe aver innescato grazie all’insider trading permesso da eventuali indiscrezioni di componenti del governo stesso. Tutto, soprattutto ad Arezzo, viene tenuto quanto più blindato possibile, ma ieri tutti nel Pd erano convinti che la faccenda sia destinata non a sgonfiarsi ma a montare ulteriormente.
A tutto questo si somma un danno d’immagine senza precedenti, che forse costituisce l’elemento più esiziale. Dall’intera vicenda emerge infatti un quadro che con l’immagine innovativa, totalmente diversa da un passato ormai rottamato, non ha davvero nulla a che spartire. Assunzioni e promozioni basate sulla conoscenza e le amicizie di famiglia, aiuti reciproci, ambiguità, reticenze, ipocrisie. Ieri in rete campeggiavano ovunque le dichiarazioni della stessa Boschi ai tempi della mozione di sfiducia sull’allora ministra Cancellieri: «Io al posto suo mi sarei dimessa. E’ in gioco la fiducia nelle istituzioni». E poi, uno dopo l’altro, riaffiorano tutti i casi di dimissioni chieste o imposte per casi molto meno gravi di questo: dall’Imu non pagata dalla ministra Idem al rolex del figlio di Lupi agli scontrini del sindaco Marino. E per Renzi nulla è più letale del verdetto: «Sono come tutti gli altri».

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