Tra i due estremi della massa continentale euroasiatica la distanza,
fisica quanto politica, sembra sempre più accorciarsi lungo le
direttrici di una sempre più ramificata via della seta. Lo dimostrano
due fatti, uno di poco successivo all'altro. Partiamo dal più recente,
vale a dire l'ingresso della Cina popolare nella lista dei 64 azionisti –
molti Paesi dell'Europa orientale e dell'Asia centrale - della European
Bank for Reconstruction and Development, banca, con sede a Londra, che
opera dal 1991 con investimenti in una quarantina di Paesi (South China
Morning Post, “European development bank approves China’s application to
become shareholder”, 15 dicembre). Contrariamente al peso formale dello
0,1% del capitale sottoscritto, la presenza nell'istituzione
finanziaria potrebbe consentire a Pechino l'approfondimento di progetti
infrastrutturali nella fascia orientale e meridionale del Mediterraneo,
oltre che il consolidamento di rapporti diplomatici con l'Europa e –
come sottolineato da diversi esperti – un altro tassello sulla via
dell'internazionalizzazione del renminbi. Non va inquadrata altrimenti
questa adesione – richiesta da Pechino dal 2014 – vista la lontananza
ideologica di una istituzione finanziaria regionale che, a differenza di
altre come la giovanissima Banca asiatica di investimento per le
infrastrutture (Aiib), si distingue per una chiara impostazione
ideologica: privatizzazione e libero mercato. Di più: la partecipazione
di aziende private cinesi ai diversi progetti potrebbe aprire una
qualche contraddizione, alla luce del condizionamento statale (quindi
del Partito comunista cinese) sulla loro azione internazionale.
Non è tutto. A metà novembre a Suhzou il gigante asiatico ha ospitato il quarto vertice Cina-Cee, acronimo quest'ultimo che si riferisce ai Paesi dell'Europa centrale ed orientale (Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Macedonia , Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia e Ungheria), molti dei quali membri dell'Unione europea, che completano da qualche anno il tavolo “16+1”. Un blocco che, benché eterogeneo, rappresenta un vero e proprio “ponte”, quando non un “banco di prova” per le aziende cinesi - per l'Europa, per approfondirne legami economici e politici, e un importante “terminal” geografico ad ovest per la rete infrastrutturale che alimenta il progetto della via della seta.
E proprio la parola “infrastrutture” è stata al centro di un vertice simbolicamente ospitato su un treno ad alta velocità: sono stati firmati accordi con la Serbia e l'Ungheria per la costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità tra le capitali Belgrado e Budapest, che dovrà essere completata entro il 2017, parte di un più ampio progetto di “passaggio espresso terra-mare” il cui punto di partenza è il porto del Pireo in Grecia e che attraversa anche la Macedonia. A disposizione c'è una linea di credito di 10 miliardi di dollari con la prospettiva di creare un fondo specifico di 3 miliardi, e di istituirne uno in renminbi. (Xinhua, “Enhanced China-CEE cooperation injects vigor into Sino-European ties”, 26 novembre).
In questo quadro si potrebbe dare anche una valutazione più ampia del processo di integrazione nella Nato del Montenegro, non limitandola ad una mossa (e nuova provocazione) anti-russa, ma collegandola proprio alla messa in opera nell'area balcanica di una parte della strategia globale cinese e alla conseguente volontà di Washington di tenerla d'occhio.
A parlare, appunto, di tassello europeo di una strategia globale sono studiosi e opinionisti cinesi (Jiang Shixue, “A 16+1 Think Tank Network for better China-CEECs relations”, China.org) – dalle nostre parti si preferisce ricorrere al termine “interferenza” per stigmatizzare l'iniziativa cinese come tentativo di fomentare divisioni in Europa – sull'onda degli impegni annunciati dal premier Li Keqiang, che danno davvero il senso di una diplomazia economica ad ampio raggio: finanziamento e costruzione di porti e parchi industriali dalle aree costiere del Mediterraneo fino a quelle del Baltico.
Non è tutto. A metà novembre a Suhzou il gigante asiatico ha ospitato il quarto vertice Cina-Cee, acronimo quest'ultimo che si riferisce ai Paesi dell'Europa centrale ed orientale (Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Macedonia , Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia e Ungheria), molti dei quali membri dell'Unione europea, che completano da qualche anno il tavolo “16+1”. Un blocco che, benché eterogeneo, rappresenta un vero e proprio “ponte”, quando non un “banco di prova” per le aziende cinesi - per l'Europa, per approfondirne legami economici e politici, e un importante “terminal” geografico ad ovest per la rete infrastrutturale che alimenta il progetto della via della seta.
E proprio la parola “infrastrutture” è stata al centro di un vertice simbolicamente ospitato su un treno ad alta velocità: sono stati firmati accordi con la Serbia e l'Ungheria per la costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità tra le capitali Belgrado e Budapest, che dovrà essere completata entro il 2017, parte di un più ampio progetto di “passaggio espresso terra-mare” il cui punto di partenza è il porto del Pireo in Grecia e che attraversa anche la Macedonia. A disposizione c'è una linea di credito di 10 miliardi di dollari con la prospettiva di creare un fondo specifico di 3 miliardi, e di istituirne uno in renminbi. (Xinhua, “Enhanced China-CEE cooperation injects vigor into Sino-European ties”, 26 novembre).
In questo quadro si potrebbe dare anche una valutazione più ampia del processo di integrazione nella Nato del Montenegro, non limitandola ad una mossa (e nuova provocazione) anti-russa, ma collegandola proprio alla messa in opera nell'area balcanica di una parte della strategia globale cinese e alla conseguente volontà di Washington di tenerla d'occhio.
A parlare, appunto, di tassello europeo di una strategia globale sono studiosi e opinionisti cinesi (Jiang Shixue, “A 16+1 Think Tank Network for better China-CEECs relations”, China.org) – dalle nostre parti si preferisce ricorrere al termine “interferenza” per stigmatizzare l'iniziativa cinese come tentativo di fomentare divisioni in Europa – sull'onda degli impegni annunciati dal premier Li Keqiang, che danno davvero il senso di una diplomazia economica ad ampio raggio: finanziamento e costruzione di porti e parchi industriali dalle aree costiere del Mediterraneo fino a quelle del Baltico.
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