sabato 4 luglio 2015

Il salvataggio ad ogni costo delle banche

È decisamente preferibile che ex-ante esistano procedure precodificate che indichino chi si fa carico del tentativo di salvataggio, in quali tempi, con quali modalità. Che si tratti di un tentativo deriva dal fatto che, per definizione, un salvataggio non ha mai un esito certo e può in effetti mettere in pericolo lo stesso soccorritore, oltre al soggetto soccorso, che è già in pericolo. Lungo le nostre spiagge ci sono i bagnini, che sono pronti ad intervenire per l’eventuale salvataggio di chi si dovesse trovare in difficoltà, nuotando, e le motovedette e i rimorchiatori, per chi altro si dovesse trovare in difficoltà, navigando.
Chi paga tutto ciò?
Che ci debba essere un sistema di soccorso in mare, lo diamo per scontato. In tutte le ulteriori situazioni in cui le persone si trovano con una certa frequenza in difficoltà, pure ci aspettiamo che esista un sistema di salvataggio organizzato con perizia. Non ci sorprendiamo dunque dell’esistenza del soccorso alpino, e del soccorso stradale (sia pure, di solito, con riferimento ad un disagio di viaggio piuttosto che a un vero pericolo di vita). Lo sviluppo della sensibilità generale ha portato ad organizzare un sistema organico preordinato per affrontare le grandi emergenze. Ed è stata così creata (nel 1992) la Protezione civile.
Il sistema che preordina gli strumenti per un salvataggio (in mare, in montagna, …) è certamente costoso e qualcuno lo deve pagare. Ci sono alcune ipotesi: lo può pagare l’Erario, lo possono pagare le persone che affrontano il pericolo, lo possono pagare le persone di cui si organizza il salvataggio. Se il sistema di salvataggio lo paga l’erario, ne consegue che ogni contribuente subirà una tassazione aggiuntiva a questo fine. In certi casi è ragionevole andare in questa direzione. In altri casi è inaccettabile. Ci sono casi in cui indubbiamente pagheranno le persone soccorse, come nel caso del soccorso stradale (ma appunto di solito non si tratta di pericolo di vita…). Nel caso dei bagnini sulla spiaggia, e nelle piscine, pagherà il gestore che incassa il vantaggio direttamente legato alla sicurezza della balneazione in quel luogo.
Il fatto che esista un sistema di soccorso e che il bagnante o l’alpinista non paghi per questo, spinge indubbiamente un poco verso il pericolo. Ci sarà sicuramente un bagnante non abbastanza cauto dopo aver visto un bagnino affidabile nella sua postazione di osservazione. Ci sarà sicuramente uno scalatore che azzarda un percorso più arduo dopo aver verificato che l’elicottero del soccorso alpino è nella sua postazione in condizioni di piena operatività. Ma questo effetto di ampliamento del rischio è tutto sommato contenuto.
Oltre ai bagnanti, agli scalatori, agli automobilisti e a tutti gli altri, occorre organizzare anche un sistema di salvataggio dei … risparmiatori. Questo è problema assai complesso e molto rilevante in ogni contesto fortemente bancarizzato, come il nostro. Non si tratta di un rischio di vita, ma di un rischio di perdita del risparmio, che è a un gradino notevolmente più in basso del rischio di perdita della vita umana, ma insomma sufficientemente importante da meritare esplicita attenzione.
La prima regola condivisa è che non è affatto opportuno salvare il banchiere, ma è opportuno salvare la banca. Il banchiere è stato causa della difficoltà della banca. È stata causa attiva nel senso che ha fatto qualcosa che ha causato la difficoltà (è colpa sua) o non fatto ciò che era necessario per non mettersi in pericolo (che nel caso del banchiere è poco diverso, essendo sempre causa sua). Quindi il banchiere deve essere rapidamente allontanato e magari deprivato dei guadagni personali da lui monetizzati nel periodo precedente.
La Lettera Enciclica Laudato Sì del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune tocca il punto con la seguente espressione: “Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà generare nuove crisi dopo una lunga, costosa ed apparente cura”. L’indicazione si rivolge alla possibilità di salvataggio di una banca facendo pagare il relativo prezzo a interlocutori deboli, in base ad una regola iniqua per cui “ad ogni costo”, ossia con qualsivoglia conseguenza, si debba ottenere il risanamento della banca, senza una corretta individuazione delle responsabilità personali e anche sistemiche. Il Santo Padre precisa in sostanza che il salvataggio di una banca deve essere operato in base ad una analisi attenta delle cause e non può in ogni caso essere un salvataggio in capo alla popolazione e a beneficio di un interlocutore forte.
La banca deve essere salvata perché ne va del risparmio dei clienti. Ma la conseguenza è anche più importante: il rimborso dei debiti di una banca è alla radice della fiducia sistemica che noi abbiamo verso le banche. Il pubblico non può maturare una sensazione di pericolo circa la solvibilità delle banche. Le banche creano moneta e credito per l’economia e devono essere (per così dire) al di sopra di ogni sospetto. Quindi le banche si salvano per salvare i risparmiatori, ma anche per salvare la stabilità generale di un meccanismo che crea benessere attraverso il credito.
Chi paga in questo caso?
Tradizionalmente in Italia l’Erario si è fatto carico (con modalità tecniche complesse che non è utile esplicitare qui) della differenza tra valore dell’attivo della banca insolvente e il valore (superiore) dei debiti da pagare. Lo sbilancio causato da Michele Sindona è stato pagato dall’Erario. Anche lo sbilancio causato da Roberto Calvi, e così via. Al mondo politico di quegli anni non pareva ragionevole fare pagare quel danno ai risparmiatori che avevano depositato presso le banche di Sindona e Calvi. L’idea che prevaleva è che i risparmiatori non potevano per definizione accorgersi di quello che accadeva nei Cda di quelle banche e andavano tutelati così come i cittadini sorpresi da un terremoto. Il danno materiale è del medesimo livello.
La comunità europea ha recentemente cambiato orientamento e ha imposto anche all’Italia di scaricare sui depositanti una quota della perdita connessa al fallimento della loro banca. Questa regola è in corso di attuazione e sta entrando in piena operatività. Nel gergo tecnico si chiama regola di “bail-in”. Questo riorientamento ha i suoi vantaggi tecnici, ma è assai discutibile sotto il profilo etico. Gli svantaggi sono probabilmente prevalenti. I casi di banche che sono cadute recentemente in difficoltà dimostrano chiaramente che dall’esterno dei Cda (e in qualche caso pure stando lì …) non era possibile capire l’avanzamento dei comportamenti fraudolenti. Le stesse visite ispettive della Banca d’Italia in diversi casi non avevano messo sufficientemente in evidenza i comportanti truffaldini e non si capisce come, in questo, si possa addossare una quota di perdita al risparmiatore.
La teoria preferita dal legislatore europeo distingue tra risparmiatore inconsapevole (da difendere sempre al 100%) e risparmiatore consapevole (che invece in teoria può capire il pericolo e se ne può allontanare e se non se allontana deve compartecipare alla perdita). La teoria è sensata, ma ciò non è sufficiente per determinare la sua veridicità. La logica basata sul risparmiatore consapevole ha senso solo dopo che se ne trovi un paio nel mondo reale.
Se invece i risparmiatori consapevoli non esistono (cosa non certa, ma possibile in base al fatto che non se ne trovano) ne deriva che andiamo verso un sistema basato su un elicottero finanziario che ti porta via dal pericolo di una banca insolvente, ma che ti addebita il viaggio sulla carta di credito, prima che tu salga.
Quando esiste un sistema di soccorso, effettivamente si corre il rischio che gli utenti potenziali si mettano in pericolo. Ma se il costo del salvataggio diviene questione privata, ne deriva che il sistema di vigilanza ex-ante può allentare la precisione d’intervento. Anche questo è azzardo morale. Con un sistema di partecipazione del costo del fallimento a carico del risparmiatore (bail-in) diviene meno rilevante per l’autorità di vigilanza non accorgersi di comportamenti fraudolenti in corso. In sintesi: questa soluzione del bail-in è discutibile e mina alla radice il meccanismo fiduciario. Che si realizzi in questo mondo un effetto di stabilizzazione del sistema bancario è dubbio. Di sicuro si realizza un nuovo costo per il risparmiatore che incappa nella banca gestita fraudolentemente. Un poco come nel gioco del Monopoli, quando si estrae la carta sfortunata. Pura sfortuna.

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