Elicotteri Usa hanno attaccato per errore un check-point
dell’Esercito afghano nella provincia centrale di Logar, causando la
morte di almeno 12 militari. Il capo del distretto di Baraki Barak, ove è
avvenuto il fatto, ha dichiarato che l’attacco è durato per circa
un’ora. È l’ennesimo “incidente” da “fuoco amico” americano.
I massacri causati dallo sconsiderato impiego dei velivoli statunitensi (e dal grilletto facile di troppi piloti) sono una costante ed hanno causato vittime civili (oltre che militari) a centinaia, in un crescendo che non conosce sosta.
Quella afghana è una guerra che non poteva e non può essere vinta, meno che mai con i metodi applicati da Washington che parlano solo di violenza e corruzione. Dopo la partenza della gran parte dei contingenti, il peso del conflitto è ricaduto sulle forze afghane, che stanno pagando un prezzo durissimo (oltre 5mila morti nel 2014, con un trend in netta crescita nel 2015), causato anche da croniche carenze di mezzi e di addestramento.
La consapevolezza d’essere carne da macello, mentre alti ufficiali, membri del Governo e dell’Amministrazione trescano con trafficanti di droga e signori della guerra in una corruzione senza limiti, fa si che le diserzioni aumentino, sgretolando effettivi ed affidabilità delle Forze di Sicurezza afghane.
Ashraf Ghani, il nuovo presidente, lo ha compreso e dal momento del suo insediamento tenta la via di una difficile trattativa con i gruppi Taliban. Sa che il tempo gioca contro di lui ed ha tentato la carta disperata di coinvolgere il Pakistan, da sempre pesantemente coinvolto nelle vicende afghane.
A complicare un groviglio che, fra ingerenze straniere, rivalità fra gruppi, trafficanti e signori della guerra è già inestricabile di suo, s’è aggiunto l’apparire dell’Isis, che ha creato nell’area fra Afghanistan e Pakistan la Wilayat Khorasan, a cui, attratti dal denaro e dalla notorietà del “brend”, stanno aderendo a migliaia.
Solo il tempo dirà se l’Afghanistan potrà conoscere la pace, resta il fatto che l’intervento Usa e la lunghissima guerra che ne è seguita continua a seminare morte (oltre 92mila vittime all’aprile 2015) e distruzioni, senza che se ne veda la fine, né, tantomeno, un accenno di ricostruzione.
I massacri causati dallo sconsiderato impiego dei velivoli statunitensi (e dal grilletto facile di troppi piloti) sono una costante ed hanno causato vittime civili (oltre che militari) a centinaia, in un crescendo che non conosce sosta.
Quella afghana è una guerra che non poteva e non può essere vinta, meno che mai con i metodi applicati da Washington che parlano solo di violenza e corruzione. Dopo la partenza della gran parte dei contingenti, il peso del conflitto è ricaduto sulle forze afghane, che stanno pagando un prezzo durissimo (oltre 5mila morti nel 2014, con un trend in netta crescita nel 2015), causato anche da croniche carenze di mezzi e di addestramento.
La consapevolezza d’essere carne da macello, mentre alti ufficiali, membri del Governo e dell’Amministrazione trescano con trafficanti di droga e signori della guerra in una corruzione senza limiti, fa si che le diserzioni aumentino, sgretolando effettivi ed affidabilità delle Forze di Sicurezza afghane.
Ashraf Ghani, il nuovo presidente, lo ha compreso e dal momento del suo insediamento tenta la via di una difficile trattativa con i gruppi Taliban. Sa che il tempo gioca contro di lui ed ha tentato la carta disperata di coinvolgere il Pakistan, da sempre pesantemente coinvolto nelle vicende afghane.
A complicare un groviglio che, fra ingerenze straniere, rivalità fra gruppi, trafficanti e signori della guerra è già inestricabile di suo, s’è aggiunto l’apparire dell’Isis, che ha creato nell’area fra Afghanistan e Pakistan la Wilayat Khorasan, a cui, attratti dal denaro e dalla notorietà del “brend”, stanno aderendo a migliaia.
Solo il tempo dirà se l’Afghanistan potrà conoscere la pace, resta il fatto che l’intervento Usa e la lunghissima guerra che ne è seguita continua a seminare morte (oltre 92mila vittime all’aprile 2015) e distruzioni, senza che se ne veda la fine, né, tantomeno, un accenno di ricostruzione.
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